22 dicembre, 2012

Gli ultimi Maya, a 15 anni dalla strage di Acteal

Il mondo non finisce il 21 dicembre 2012. Ma il giorno dopo ricorre il quindicesimo anniversario di una barbara strage dimenticata, quella di Acteal. Ne furono vittima 45 indigeni tzotziles (e quindi Maya) del Chiapas, nel Sud-est messicano. Riuniti in preghiera, chiedevano pace, libertad, justicia y dignidad, ma furono crivellati di colpi  

di Luca Martinelli e Giulio Sensi - 18 dicembre 2012


 
Quando vi sveglierete il 22 dicembre, finalmente consapevoli che il mondo "non finiva quel giorno" (cit.), cioè che nessun Maya ha mai detto che il 21 dicembre 2012 la vita degli esseri umani sarebbe scomparsa dal Pianeta, ricordatevi degli ultimi Maya. Quelli che vivono nel Sud-est messicano, e la fine del mondo l'hanno già vista, oltre che annunciata: non era il 21 ma il 22 dicembre, di quindici anni fa.
Il 22 dicembre del 1997 la furia dei gruppi paramilitari si scagliò sulla piccola comunità di Acteal, nella zona degli Altos del Chiapas. Era in corso una “guerra di bassa intensità”: da una parte l'esercito messicano e gruppi paramilitari, dall'altra l'Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln), l'esercito indigeno che nel gennaio del 1994 si era sollevato in armi per chiedere dignidad, justicia y libertad per le comunità indigene del Chiapas.
Le vittime del massacro di Acteal, 45 indigeni assassinati senza che nessuna autorità pubblica muovesse un dito, non erano zapatisti, però. Facevano parte di un'associazione pacifista, Las Abejas, nata cinque anni prima, e quasi alla vigilia di Natale erano riuniti in chiesa a pregare per la pace.
Las Abejas è nata seguendo il lavoro della Diocesi guidata dal vescovo Don Samuel Ruiz, il Tatik (padre, in tzeltal) degli indigeni, scomparso quasi due anni fa, e da vent'anni si batte senza armi per gli stessi obiettivi degli zapatisti: la pace con dignità.
Quel 22 dicembre il tempo si fermò. Non solo in Chiapas, non solo nel Messico, ma in tutto il mondo. E anche in Italia, un Paese che era -allora- capace di indignarsi, e di fare qualcosa per le ingiustizie del Pianeta. Se ne discusse alla Camera, con un'interrogazione promossa dall'onorevole Ramon Mantovani. Ne scrissero, quasi immediatamente, i grandi giornali: “Gli squadroni della morte arrivano con il buio. Appena si spegne il sole, dietro le ultime montagne del Chiapas, tra i contadini di molte contrade appollaiate sui monti al confine con il Guatemala, s' insinua una paura tangibile che si materializza in due parole: la 'Maschera Rossa'. I gruppi paramilitari della provincia di Chenalho dov' è accaduto il massacro di Acteal si sono soprannominati così. Da mesi terrorizzano le basi d' appoggio degli zapatisti con una tecnica molto nota. Con la complicità della notte calano sui villaggi, rassicurati dalle loro uniformi scure e dai loro AK-47, e seminano paura, maltrattano, saccheggiano, rubano ed esigono quell' assurda 'tassa di guerra' che qui gran parte dei campesinos si rifiuta di pagare” scrisse il 6 gennaio '98 Carlo Pizzati, inviato a San Cristobal de Las Casas per “la Repubblica”. 
La risposta più importante, però, venne dai molti attivisti che reagirono dando corpo a una stagione di solidarietà con gli indigeni del Chiapas oggi ridotta al lumicino: le testimonianze della mattanza mossero la solidarietà, che niente ha potuto di fronte alla mancanza di giustizia: dopo periodi di detenzione troppo brevi, molti dei responsabili della strage girano ancora liberamente per la regione e la loro liberazione ha facilitato il riformarsi di alcune bande paramilitari così utili alla strategia di contro-insurrezione del Governo federale e di quello del Chiapas.
È la stessa impunità che vivono gli autori di altre stragi che insanguinarono la stagione della repressione, come quella della comunità di El Bosque, sempre negli Altos de Chiapas. L'impunità è scesa nell'oblio, la lotta per la giustizia no. 
Per i media italiani, specie quelli mainstream, oggi il Messico “pesa” solo in quanto narco-Stato e per il problema dei femminicidio. È passato in secondo piano il tema dei diritti umani, e in particolare quelli delle popolazioni indigene, che pure dovrebbero essere tutelati anche in virtù dell'Accordo di libero scambio firmato dall'inizio del millennio dal Messico e dai Paesi dell'Unione europea.    

Noi, però, non abbiamo dimenticato Acteal. Non possiamo farlo. Se oggi leggete le nostre firme su “Altreconomia”, o i nostri nomi come animatori di associazioni ed esperienze di movimento, è perché nel dicembre del 1998, un anno dopo, incontrammo un “testimone” della strage, che ci raccontò il peso dell'ingiustizia. E ci spinse a lavorare al suo fianco, per cambiare le regole.
Oggi chiediamo anche a voi di farvene carico: in questi giorni, anche in Italia, ogni mezzo d'informazione e di comunicazione è invaso da articoli che riflettono (a vanvera) della “profetica” scadenza della fine del mondo annunciata dai Maya.
A tutti chiediamo di alzare lo sguardo e guardare ad una vera notizia, l'ingiustizia e l'impunità di chi seminò morte e terrore in un popolo di pace che chiedeva solo rispetto e dignità. Invece che alla “fine del mondo” potremmo contribuire all'inizio di una nuova stagione, per non far inghiottire la giustizia da un enorme buco nero.

Luca Martinelli, redattore di “Altreconomia”
Giulio Sensi, collaboratore di “Altreconomia”

17 dicembre, 2012

Parlamento destituisce magistrati e apre una nuova crisi politica in Honduras



Honduras
Un colpo di Stato tecnico? Per molti, dietro la crisi si nasconde il riaccomodamento dei gruppi di potere honduregni dopo le elezioni interne del mese scorso

Tre anni e mezzo dopo il colpo di stato che nel 2009 depose il presidente Manuel Zelaya, l’Honduras sembra nuovamente sull’orlo di una crisi politico-istituzionale. 
 
Alle prime ore del mattino dello scorso 12 dicembre, il Congresso (Parlamento) ha dato lettura alla relazione della Commissione speciale d’indagine sulla condotta amministrativa dei magistrati che integrano la Sala Costituzionale della Corte Suprema di Giustizia. 
 
Subito dopo, con una mozione firmata da non meno di 110 deputati, i congressisti hanno votato la destituzione di 4 magistrati di questa Sala - Antonio Gutierrez Navas, Francisco Ruiz, Rosalinda Cruz e Gustavo Enrique Bustillo –, accusandoli di “avere messo in pericolo immediato la sicurezza cittadina e perché la loro condotta è stata apertamente contraria all'interesse dello Stato dell’Honduras", si legge nella mozione che è stata approvata con 97 voti a favore e 31 contrari. 
 
"C’è stata una cospirazione e dobbiamo occuparci di questo tema. Siamo qui per difendere gli interessi del paese e non è possibile che si continui con questi comportamenti delinquenziali", ha detto Juan Orlando Hernández, presidente del Congresso. 
 
I locali del primo potere dello Stato sono stati circondati da un folto numero di soldati durante tutta la durata della seduta parlamentare, creando preoccupazione nella popolazione e negli stessi deputati che non approvavano la decisione della maggioranza. 
 
Il conflitto che durante l’ultimo anno ha interessato i due candidati presidenziali del Partito Nazionale, Juan Orlando Hernández e Ricardo Álvarez, quell'ultimo sindaco della capitale Tegucigalpa, si è ulteriormente acceso durante le ultime settimane.  
 
Durante le elezioni politiche interne dello scorso 18 novembre, Álvarez aveva denunciato una frode elettorale che, secondo lui, avrebbe facilitato la vittoria del suo avversario, il quale gode del totale appoggio del governo. 
 
L’11 dicembre, il sindaco della capitale ha presentato alla Corte Suprema Elettorale la richiesta di sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato, chiedendo di fatto di sospendere gli effetti della lettura dei risultati finali delle elezioni e di svolgere un nuovo conteggio dei voti.
 
Pochi giorni prima, la Sala Costituzionale, i cui magistrati, secondo vari analisti politici, risponderebbero agli interessi di gruppi economici che appoggiano la candidatura di Álvarez, ha emesso una sentenza con la quale dichiarava l'incostituzionalità della macchina della verità, alla quale sono sottoposti i poliziotti come parte del processo di depurazione di questa istituzione.  
 
Questa stessa Sala aveva inoltre rifiutato varie leggi considerate strategiche dal governo, come per esempio la creazione delle città modello (charter cities), l’approvazione di nuove imposte per i grandi capitali e una riforma fiscale.

Lotta tra poteri
 
La risposta del presidente Lobo non si era quindi fatta attendere. La settimana successiva aveva reso pubblico il timore per un nuovo colpo di Stato ordito da vari gruppi economici e corporazioni mediatiche, accusando direttamente il direttore dei giornali El Heraldo e La Prensa, Jorge Canahuati, e varie istituzioni statali. 
 
La creazione di una commissione d’indagine sulla condotta amministrativa dei magistrati della Sala Costituzionale, così come la destituzione dei 4 magistrati, potrebbe ora creare le condizioni per un conflitto istituzionale, che avebbe come obiettivo il riaccomodamento dei gruppi di potere che gestiscono l’economia e la politica del paese. 
 
"Questi magistrati non stanno compiendo il ruolo per cui sono stati nominati e preferiscono approvare leggi in funzione di gruppi minoritari di potere, senza rispondere agli aneliti della maggior parte degli honduregni. Non permetteremo un altro colpo di Stato e qualsiasi tentativo di questo gruppo che ha finanziato, diretto e promosso il colpo di Stato del 2009, fallirà", ha detto il deputato del partito di Unificazione democratica, Ud, Sergio Castellanos. 
 
Contraria a questa posizione, la deputata del Partito liberale, Waldina Paz, ha assicurato che la destituzione è un delitto che potrebbe anche essere considerato come un tradimento alla patria. 
 
"Questa destituzione è un cattivo messaggio che inviamo alla comunità internazionale e come ha detto il Procuratore generale aggiunto, Roy Urtecho, può essere catalogata come un tradimento alla patria, nonché un attacco all’indipendenza di poteri", ha detto. 
 
Urtecho aveva sostenuto che ci sarebbero stati anche gli estremi per la detenzione da tutti i deputati che avevano votato a favore della destituzione. Per il momento, né la cupola dell'esercito honduregno, né l’impresa privata si sono espressi. 
 
Per Marvin Ponce, vicepresidente del Congresso, questa decisione è completamente valida es ha precedenti. Nel 1992, infatti, il Congresso rimosse Osvaldo Ramos Soto dall'incarico di presidente della Corte Suprema di Giustizia, e fece la stessa cosa nel 1998, quando destituì il Procuratore generale, Porfirio Navarro. 
 
Nessuna dichiarazione ufficiale da parte del partito Libertà e Rifondazione (Libre) dell'ex presidente Manuel Zelaya, la cui moglie, Xiomara Castro, ha ottenuo più di 600 mila voti come candidata presidenziale durante le recenti elezioni interne.

Articoli relazionati: Destituzione dei magistrati genera critiche. (spagnolo)

© Testo Giorgio Trucchi - Lista Informativa "Nicaragua y más" di Associazione Italia-Nicaragua - www.itanica.org

09 dicembre, 2012

Fracking, l’ultima diavoleria dei petrolieri per spremere la Terra

La parola fracking è arrivata al grande pubblico da quando il regista americano Josh Fox ha realizzato un documentario sulle estrazioni di “gas non convenzionale” negli USA. Correva l’anno 2009, sebbene il fracking fosse stato inventato nel 1947, poi ottimizzato e diffuso su larga scala a partire dal 1997 nel Barnett Shale in Texas. Il fracking ha poi preso il definitivamente il sopravvento nel 2005 grazie all’amministrazione del duo petrolifero Bush-Cheney che esentò questa pratica dalle leggi di protezione ambientale negli USA, fra cui il Safe Water Drinking Act e che aprì le terre demaniali degli stati centrali degli USA ai petrolieri.
Fracking è una abbreviazione di “hydraulic fracturing” che significa fratturazione idraulica. Queste due parole racchiudono tutto il concetto del fracking: frantumare la roccia usando fluidi saturi di sostanze chimiche ed iniettati nel sottosuolo ad alta pressione. Il fracking è un modo “non convenzionale” per estrarre gas da roccia porosa di origine argillosa detta scisti (shale in inglese), le cui vacuità ospitano in prevalenza metano. Con le tecniche “tradizionali” questo gas non potrebbe essere estratto, visto che il gas è intrappolato in una miriade di pori sotterranei e la classica trivella verticale non arriverebbe ad aprirli tutti.
Con il fracking invece, giunti ad una certa profondità la trivella ed i fluidi di perforazione vengono direzionati orizzontalmente e l’alta pressione innesca una serie di microsismi frantumando la roccia e lasciando sprigionare il gas. Esistono varianti per petrolio, per geotermia e per metano intrappolato in carbone invece che in scisti, detto Coal Bed Methane.
Insomma, questo fracking è l’ultima diavoleria inventata dai petrolieri per spremere dalla pancia della terra più idrocarburi possible.
Credo che molti associno la questione fracking ai terremoti, ed è vero, ma le occorrenze seppure gravi, sono rare. Ci sono invece una moltitudine di altri problemi collegati al fracking e collegati al vivere quotidiano: l’acqua che si beve, l’aria che si respira, il cibo che si mangia.
Intanto, come per quasi tutti le miscele che l’industria petrolifera inietta nel sottosuolo, non è dato sapere esattamente cosa usano. Ci sono proppanti -per aprire e tenere aperte le fessure nel sottosuolo- ci sono acidi, biocidi, stabilizzatori, inibitori di corrosione, surfattanti, inibitori, agenti per aumentare la viscosità.
E di cosa sono fatti? Fra le sostanze possibili presenti nei fluidi da fracking, secondo un rapporto della Camera USA: naftalene, benzene, toluene, xylene, etilbenzene, piombo, diesel, formadelhyde, acido solforico, thiourea, cloruro di benzile, acido nitrilotriacetico, acrylamide, ossido di propilene, ossido di etilene, acetaldehyde, Di (2-ethylhexyl) phtalati. Sono tutti cancerogeni. Fra le sostanze radioattive invece si elencano vari isotopi di antimonio, cromo, cobalto, iodio, zirconio, potassio, lanthanio, rubidio, scandio, iridio, kripton, zinco, xenon, manganese.
Bastano? Sul link di cui sopra – quello della camera – le miscele note occupano circa 17 pagine.
Proprio l’altro ieri the Independent di Londra riporta che e’ venuto fuori un misterioso componente usato per fare fracking in Texas che ha causato danni ai reni e al fegato di chi vive vicino a questi pozzi e che per ora non si sa cosa sia. Si sa solo che e’ siglato EXP-F0173-11.
Ogni pozzo da fracking necessita dai 2-4 milioni di galloni di acqua per poter operare, che si traducono in 7-14 milioni di litri di acqua satura di sostanze chimiche. E dove finisce il tutto? Nonostante la propaganda dei petrolieri secondo cui le cementificazioni e le impermeabilizzazioni dei pozzi sono perfetti, nessuna attività dell’uomo è esente dal logorio, dall’uso, da difetti, ed evidente che continuando a pompare miscele inquinanti nel terreno, prima o poi qualcosa deve pure cedere.  E migrare. E arrivare, prima o poi, nei rubinetti delle persone.
Per di più, a volte lo shale del sottosuolo contiene già sostanze radioattive di per conto suo, che madre natura ha nel corso dei millenni separato dal resto, e che stuzzicate dal fracking possono arrivare in superficie.
E cosi, ecco una perfetta inchiesta del New York Times sulle concentrazioni fuori da ogni grazia di Dio di livelli di materiale radioattivo nei pozzi artesiani vicino ai pozzi del fracking in Pennsylvania. In alcuni casi si è arrivati 1500 volte i valori stabiliti per legge.
E non è questo un caso isolato. L’inquinamento delle riserve acquifere in seguito ad interventi di fracking si e’ verificato anche in Texas, Ohio, Pennsylvania, Colorado, Wyoming, dove innumerevoli sono le famiglie che riportano casi di metano nell’acqua dei rubinetti che si infiammano, acqua nei pozzi artesiani color marroncino e puzzolente, assolutamente inutilizzabile e satura di inquinanti. Il risultato è che la gente non ha più acqua potabile in casa – nella nazione più ricca del mondo! – e  ci si ammala. Ci sono anche casi di ruscelli inquinati, morie di animali, mini-geyser di acqua e metano che schizzano anche 30 metri dal suolo a causa delle forti pressioni sotterranee.
Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/07/fracking-lultima-diavoleria-dei-petrolieri-per-spremere-terra/438727/

Tratto da: Fracking, l’ultima diavoleria dei petrolieri per spremere la Terra | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/12/08/fracking-lultima-diavoleria-dei-petrolieri-per-spremere-la-terra/#ixzz2EW75y2GZ

08 dicembre, 2012

Americhe, difensori dei diritti umani sempre più sotto attacco

Le persone e la dignita Corriere della Sera Amnesty International
dic
07
Dina_Meza_at_Amnesty_Media_Awards Libertà di espressione

“Bruceremo la tua f*** col succo di lime fino a quando non urlerai e a quel punto godremo tutti quanti. Non c’è niente di meglio che fottere una p******. Finirai ammazzata”. Questa è solo una delle minacce ricevute quest’anno da Dina Meza, giornalista ed esponente del Comitato dei familiari dei detenuti e degli scomparsi dell’Honduras (nella foto, con l’Amnesty Media Award, nel 2007). Messaggi del genere continuano ad arrivarle, senza che gli autori vengano individuati. Ne avevamo già parlato sul nostro blog e da allora niente è cambiato.
Quello contro Dina Meza è uno dei 300 attacchi in meno di 1000 giorni subiti dai difensori dei diritti umani delle Americhe da gennaio 2010 a settembre 2012.
Le loro storie sono raccontate da un nuovo rapporto pubblicato oggi da Amnesty International, che denuncia la recente escalation di aggressioni, intimidazioni, minacce e omicidi nei confronti dei difensori del diritti umani nelle Americhe, ad opera delle forze di sicurezza, dei gruppi paramilitari e del crimine organizzato. Nel 2011 il secondo rapporto sui difensori dei diritti umani nelle Americhe redatto dalla Commissione interamericana dei diritti umani, aveva confermato la preoccupante tendenza.
Criminali, corrotti, bugiardi, agitatori, sovversivi, amici di pregiudicati o di guerriglieri. Così vengono etichettati, talora dalla stampa nazionale e dalle autorità di governo, i difensori dei diritti umani: donne e uomini le cui attività pacifiche hanno per obiettivo la difesa dei diritti umani, soprattutto dei gruppi più deboli.
Solo pochi giorni fa, il 28 novembre, una campagna di Amnesty International ha spinto la Corte suprema del Messico ad annullare le condanne a sette anni di carcere inflitte il 12 luglio 2010 a José Ramón Aniceto Gómez e Pascual Agustín Cruz. I due uomini, difensori dei diritti delle popolazioni native impegnati in una campagna per l’accesso libero e gratuito all’acqua pubblica, erano stati giudicati colpevoli del furto di un’automobile, sulla base di prove precostituite da un gruppo di interessi economici dello stato di Puebla.
Sono proprio i grandi e piccoli progetti di sviluppo, con le dispute sui terreni che ne conseguono, sempre più spesso al centro dell’azione dei difensori dei diritti umani. È il caso di Argentina, Brasile, Colombia e Honduras. La metà dei 300 casi analizzati dal rapporto di Amnesty International si colloca proprio in questo contesto.
Altrove, come a Cuba, i difensori dei diritti umani subiscono persecuzione giudiziaria o arresti sulla base di prove false, spesso brevi periodi di fermo di polizia ma sistematici e con lo stesso obiettivo: far desistere. Se quello della blogger Yoani Sanchez è il caso più noto, sono le Damas de blanco il bersaglio preferito delle autorità dell’Avana.
Quanto le vite dei difensori dei diritti umani siano quotidianamente a rischio lo dimostra questa storia.
Il 9 novembre 2011 una coppia armata ha fatto irruzione nell’abitazione di Jackeline Rojas Castañeda a Barrancabermeja, in Colombia. Jackeline Rojas Castañeda fa parte dell’Organizzazione femminile popolare e si occupa della tutela dei diritti delle donne, soprattutto le più povere. I due intrusi hanno chiuso la donna e sua figlia di 15 anni in due stanze separate puntandogli contro le armi da fuoco. Le hanno intimato di non provare a telefonare per chiedere aiuto, altrimenti sua figlia sarebbe stata uccisa. L’hanno legata e imbavagliata, le hanno imbrattato con vernice rossa il corpo e i vestiti, chiedendole al contempo informazioni su suo figlio e suo marito, il sindacalista Juan Carlos Galvis. I due aggressori si sono allontanati portando con sé due computer, chiavette usb, cellulari e documenti.
Il giorno dopo Jackeline Castañeda ha denunciato l’aggressione alla procura generale. Inizialmente, hanno rifiutato di ricevere la denuncia, sostenendo che la donna si era inventata l’accaduto. Alla fine l’hanno registrata, ma da allora non è stato fatto un passo avanti nelle indagini.
Sugli oltre 300 casi esaminati da Amnesty International, solo quattro si sono conclusi con la condanna dei diretti responsabili: un chiaro segnale di tolleranza, se non di attiva complicità, con gli aggressori.
Il rapporto di Amnesty International indirizza ai governi delle Americhe una serie di raccomandazioni. Le autorità, afferma l’organizzazione, devono garantire che i difensori dei diritti umani siano pienamente protetti, come minimo attraverso il riconoscimento dell’importanza e della legittimità del loro lavoro, lo svolgimento di indagini approfondite sugli attacchi subiti e l’adozione di misure efficaci di protezione.

http://lepersoneeladignita.corriere.it/2012/12/07/americhe-difensori-dei-diritti-umani-sempre-piu-sotto-attacco/

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