25 giugno, 2007

GUATEMALA: Apoyo=Solidarietà: alle Donne contro la violenza

Tento di mettere insieme le notizie ricevute, come il comunicato delledonne guatemaltesi. Non c'è solo da commuoversi. C'è anche da muoversi.Chiedono Apoyo, significa Solidarietà. Intanto conoscere perchè. E perchènon se ne parla, non se ne scrive, non si fa. Come se niente fosse...nelmondo.Grazie per diffondere il più possibile.
Doriana Goracci
http://reset.netsons.org/modules/news/article.php?storyid=361
Guatemala - Città del Guatemala - 20.6.2006
Strage di donne
Guatemala, 135 donne ammazzate in cinque mesi. Ma le forze di polizia non indagano
di Mario Polanco
Tra gennaio e maggio di quest’anno sono state sequestrate circa 150donne: 135 sono state torturate, minacciate, violentate e poi ammazzate.Le poche sopravvissute preferiscono tacere, non denunciare l’accadutoper timore di rappresaglie. E’ la tragica realtà del Guatemala, dove leautorità preferiscono far finta che tutto ciò non avvenga.Anche Messico ed El Salvador. E a comportarsi come se niente fosse nonsono soltanto le forze dell’ordine guatemalteche: le autorità di moltialtri paesi, come Messico ed El Salvador, fanno lo stesso, nonostantenel loro territorio si commettano gravi crimini, rivolti in particolarmodo contro la popolazione più povera. E questo scenario si fa più gravequando si tratta di donne. E’ usuale che questi casi siano addiritturalasciati irrisolti a priori, come se si trattasse di esseri inesistenti.Gli assassinii delle donne vengono semplicemente occultati, non sidenunciano e quando si apre qualche caso viene, poi, insabbiato lamaggior parte delle volte.Le 135 donne uccise in soli cinque mesi si vanno ad aggiungere alle2.600 ammazzate dal 2001. Eppure, esaminando gli archivi dei tribunali,la lista dei detenuti è vuota: non una sola persona è stata detenuta oalmeno indagata per questi crimini.Le autorità, per la maggioranza composte da uomini, vedono queste morticon indifferenza e hanno cominciato a far qualcosa solo nel momento incui le pressioni internazionali sono aumentate. A partire dalle campagnein altri paesi e di fronte a organizzazioni come l’Organizzazione degliStati Americani (OSA) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU),hanno cominciato a darsi da fare, a incarcerare qualche responsabile, afare statistiche sugli arresti, basandosi per lo più su dati gonfiati.Le diverse informazioni che le autorità guatemalteche danno alla comunitàinternazionale sono solo sulla carta. Dicono che esistono leggi opolitiche di protezione della donna contro gli abusi o che si stainvestendo a favore delle bambine, ma nonostante le leggi siano moltopromettenti, il problema non è la loro carenza, ma il loro rispetto.La preoccupazione per la strage di donne ha investito diversi paesi.Alcuni membri del congresso degli Stati Uniti hanno inviato lettere aparlamentari e ministri del governo del Guatemala. Jan Schakowky,parlamentare democratica dell’Illinois, ha lanciato al Congresso unacampagna per esigere dalle autorità guatemalteche di indagare e punirecon la detenzione l’uccisione delle donne.Il problema è assai complesso. E’ necessario cambiare l’intera realtàdelle donne guatemalteche, non solo evitare che si verifichino ancoraomicidi. Il Guatemala ha bisogno di campagne di sensibilizzazione cheparlino alla donna nubile o vedova, indigena o latina, cattolica oevangelica, giovane o anziana, e le racconti i suoi diritti e a qualiistituzioni rivolgersi per salvaguardarli.In questo paese, la violenza domestica è all’ordine del giorno.Nonostante le poche denuncie e le poche indagini, si sa di abusi eviolenze dei mariti sulle mogli, che subiscono in silenzio poichédipendono economicamente dai loro uomini.Il Guatemala è una società altamente maschilista, pertanto è estremamentenecessario che si facciano valere i diritti delle donne.La comunità internazionale deve supervisionare la situazione delle donnedel Guatemala e di altri paesi giocando il ruolo di vigile: sologlobalizzando le lotte a favore della giustizia si otterrà unavanzamento nel rispetto di tutte le cittadine del mondo.
COMUNICATO STAMPA: MINACCIA CONTRO LE ORGANIZZAZIONI CHE LAVORANO A FAVORE DEI DIRITTI DELLE DONNE
Denunciamo alla opinione pubblica le gravi minacce contro le organizzazioni che lavorano a favore dei diritti delle donne. Si attenta contro la vita e l’integrità umana, con minacce specifiche di violenza sessuale. Questo mette in evidenza come le minacce contro chi difende i diritti umani si sono maggiormente sviluppate attualmente in Guatemala.“Non seguiti a impegnarsi in quello che fa se non vuole essere un’altra donna violentata e vedova! “Questa è stata la minaccia ad una che fa parte del Consorzio “Attrici di Cambio” organizzato dalla Unione Nazionale delle Donne Guatemalteche – UNAMG – e l’Equipe di StudiComunitari e Azione Psicosociale – ECAP.Il Consorzio Attrici di Cambio offre accompagnamento psicosociale eformazione dei diritti umani a donne che sono state vittime di violenzasessuale durante il conflitto armato, con lo scopo di rinforzarle opermettere loro di riprendere un ruolo di protagoniste nellatrasformazione dei propri progetti di vita, di comunità e nel paese.E’ chiaro che tale minaccia, che compromette l’integrità fisica e emotivadi tutta l’equipe del Consorzio Attrici di Cambio, ha come scopol’intenzione politica di impedire che si seguiti nel lavoro di sviluppodella presa di coscienza, di dignità e di riparazione delle donne chehanno subito violenza sessuale durante il conflitto armato.Durante la guerra e nel dopoguerra la violazione sessuale seguita adessere utilizzata come arma per generare terrore. Questi fatti, insiemeal femminicidio e alla crescente violenza sessuale contemporanea,evidenziano la continuità della violenza nella vita delle donne, comerisultato di un sistema di oppressione basato sulle relazioni disegualidi genere. Questi fatti sono fomentati dall’impunità regnante inGuatemala, sono il prodotto delle molteplici strutturre ingiuste chepersistono in questo paese dove i criminali agiscono impunemente con lacomplicità delle istituzioni statali sia grazie alle loro azioni cheomissioni.Siamo solidali con tutte le organizzazioni nazionali e internazionali chedifendono i diritti umani in Guatemala che sono state vittime diattacchi o minacce. Esigiamo che il Governo del Guatemala faccia unainvestigazione esaustiva di tutti questi fatti e castighi i responsabili.Chiediamo la solidarietà delle organizzazioni nazionali, alla comunitàinternazionale e ai mezzi di comunicazione domandiamo che esigano daparte delle autorità governative perchè compiano tutto il necessarioper difendere il rispetto ai Diritti Umani di tutta la cittadinanza,particolarmente per coloro che lottano per la difesa di questi diritti.
Consorcio Actoras de Cambio
UNAMG ECAP
traduzione di Luisa De Gaetano
Guatemala, 15 Giugno 2007

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Con Evo Morales: “il movimento indigeno è la riserva morale dell’umanità”

Il primo governo indigeno nella storia della Bolivia, ha vissuto pericolosamente il suo primo anno e mezzo di vita. Tra difficoltà ed errori, soprattutto sul fronte di un’Assemblea Costituente oramai in fase di stallo, e successi come quello della nazionalizzazione del gas, incontriamo Evo Morales, primo presidente indigeno del paese.
Gennaro Carotenuto intervista Evo Morales
Evo, come tutti lo chiamano, non è stato cambiato per nulla dal potere e continua ad essere lontano dallo stereotipo del capo di stato. Nonostante il decoroso giubbino che sostituisce la tenuta presidenziale all’occidentale dei suoi predecessori, continua ad essere il sindacalista che per una vita ha difeso quegli indigeni che da 5.000 anni in Bolivia coltivano la pianta di coca, la base identitaria della cultura andina. La sua cultura continua ad essere altra, antitetica a quella Occidentale. Ascolta attentamente, parla piano, senza iattanza, con modestia. Il suo parlare è semplice, diretto, privo di retorica o artifici. Tanto la cultura aymara, alla quale appartiene, come la tradizione sindacale, fanno del dialogo, della trattativa, delle decisioni condivise che maturano lentamente, la base di ogni processo democratico.Lo incontriamo a Cochabamba, dove ha inaugurato il “V Incontro mondiale di intellettuali e artisti in difesa dell’umanità”, nel quale si è discusso per due giorni di media e diritto all’informazione. E’ un tema chiave anche in Bolivia dove, secondo uno studio dell’Università Cattolica, Evo Morales ha il 66% di appoggio popolare ma ha l’80% dei media contro. Morales mi corregge: “E’ il 66% nelle città, dove la gente ha il telefono e risponde ai sondaggi. Ma nelle campagne abbiamo l’80%. E’ importante discutere di democratizzazione dei media perché spesso, per mancanza di informazione, non si hanno i mezzi per cercare giustizia ed equilibrio nella società. Sono preoccupato dalla concentrazione mediatica, ma allo stesso tempo sono contento, perché nel mondo stanno crescendo fonti di comunicazione alternativa che si interessano alle necessità dell’essere umano”. Per marcare la differenza, come primo atto del suo governo, Evo dimezzò il suo stipendio, portandolo a 1.500 ¤ al mese. Altrettanto fece con ministri e parlamentari. Qualcuno lo considererà demagogico, ma il ragionamento è opposto a quello occidentale: solo chi accetta di entrare in politica rinunciando ad un’ascensione di carriera, lo farà per spirito di servizio. Poi stabilì che se i boliviani avevano bisogno del visto per entrare negli Stati Uniti allora anche gli statunitensi avevano bisogno del visto per entrare in Bolivia. Qualcuno sorrise, ma i boliviani sentirono che per la prima volta non erano più cittadini di serie B. Ma, soprattutto, lo scorso anno Evo fece parlare di sé per la nazionalizzazione degli idrocarburi, creando uno scandalo internazionale. La settimana scorsa ha chiuso i conti, acquistando per 112 milioni di dollari le raffinerie di proprietà di Petrobras, dimostrando che contrasti col Brasile dell’amico Lula non ve n’erano. Evo, sulla stampa italiana qualcuno ti definì un “narcoindio fuori di testa”. Sorride: “Il nostro impegno è quello di rifondare la Bolivia. Su basi etiche ma anche su basi economiche. Per farlo abbiamo nazionalizzato gli idrocarburi”. Oggi perfino i mercati appaiono tranquilli, e pochi discutono che sia stato il tuo più grande successo: “Pochi giorni fa ho visitato un municipio poverissimo nei dintorni di Potosí. Fino al 2005 aveva un bilancio di 840.000 bolivianos (la moneta locale, circa 85.000 ¤, ndr). Nel 2007 ha un bilancio di oltre 9 milioni di bolivianos (930.000 ¤). Ed è così in tutto il paese e speriamo che questi soldi siano ben amministrati da sindaci e prefetti. Ti faccio un altro esempio: dal 1970 fino al 2005, ogni fine anno, fosse chi fosse il capo del governo, per poter pagare le tredicesime dovevano partire dei funzionari per gli Stati Uniti a farsi fare un prestito. Lo scorso anno per la prima volta ciò non è avvenuto. E ciò non è avvenuto perché abbiamo recuperato la sovranità sui nostri idrocarburi. Nel 2005 dagli idrocarburi allo Stato rimanevano solo 300 milioni di dollari. Adesso entrano 1.600 milioni di dollari, ridistribuiti tra le amministrazioni locali, le università e il tesoro. Il succo di questa esperienza è che le risorse naturali non devono mai essere privatizzate perché sono quelle che risolvono i problemi”.Fin qui i successi. Ma ci sono anche le difficoltà, soprattutto con l’Assemblea Costituente, sulla quale il partito di maggioranza, il MAS (Movimento Al Socialismo), aveva puntato molto per cambiare lo Stato. Dopo la vittoria dell’opposizione, che ha imposto che ogni singolo articolo debba passare con una maggioranza dei due terzi, per molti osservatori è già una scommessa perduta. Ha ceduto sul regionalismo, che favorisce i ricchi e bianchi dell’Oriente, altre volte mantiene le posizioni con difficoltà. E’ il caso dell’abolizione del cattolicesimo come religione ufficiale, una misura che vuole terminare con sovvenzioni ed esenzioni fiscali. “Non nego che ci siano delle difficoltà su punti importanti e l’opposizione stia ritardando o bloccando il processo. E’ possibile che vengano allungati i tempi (i lavori per legge dovrebbero concludersi il 2 luglio, scadenza oramai saltata, n.d.r.) e che si ricorra a referendum popolari per dirimere le divergenze”. Il problema del latifondo è tra questi: “Gli allevatori pretendono che, per ogni capo di bestiame posseduto, ben cinque ettari di terra siano considerati produttivi e quindi esclusi dalla riforma agraria”. Emergono continuamente due idee di paese; per Evo va conciliata la giustizia comunitaria indigena con quella tradizionale occidentale e abolita quella militare che tocca nodi come quello dell’impunità. Tuttavia il Presidente, come un nation builder del XIX secolo, è favorevole al servizio militare obbligatorio: “Per gli indigeni il servizio militare è stato una maniera di essere riconosciuti socialmente. I creoli riuscivano ad evitarlo con ogni pretesto e io sono il primo presidente –civile- della storia ad aver fatto il servizio militare”. La permanenza della leva si concilia con la rinuncia alla guerra voluta dal presidente nella nuova Costituzione: “Nessuna delle guerre della storia che hanno coinvolto il mio paese, sono state volute dal popolo. Dalle guerre i popoli perdono e le multinazionali guadagnano. Le multinazionali provocano conflitti per accumulare e concentrare capitali, e questo non è utile e non risolve alcun problema per i poveri del mondo. Quindi, nella nuova Costituzione, la Bolivia rinuncerà alla guerra. Perché se c’è guerra si devono costruire più armi e se si costruiscono più armi si producono meno alimenti e meno medicine per l’umanità”. Evo, l’uomo del Sud del mondo, è deciso: “bisogna pensare a modelli diversi di società rispetto al capitalismo. Non è accettabile che nel XXI secolo alcuni paesi e multinazionali continuino a provocare l’umanità e cerchino di conquistare l’egemonia sul pianeta. Sono arrivato alla conclusione che il capitalismo è il peggior nemico dell’umanità perché crea egoismo, individualismo, guerre mentre è interesse dell’umanità lottare per cambiare la situazione sociale ed ecologica del mondo”.
Che sfida culturale è stata quella del potere, per un uomo profondamente radicato nella cultura andina come te? “Avevo paura perché la nostra gente considerava il politico commediante, malfattore e ladro. Fare il sindacalista invece era difendere i diritti umani, la terra, la foglia di coca. E allora io non volevo lasciare il sindacato, nonostante mi avessero proposto di essere deputato e già nel 1997 rifiutai una prima candidatura alla Presidenza. Temevo che come politico mi avrebbero malvisto. Poi capii che la politica è la scienza di servire il popolo e che è possibile vivere per il popolo e non del popolo”. La sfiducia per l’Occidente espressa da Morales resta grande: “Nella cultura occidentale, chi viene eletto pensa immediatamente a come guadagnare denaro. A quale impresa esigere il 10%, il 15%, in cambio del privatizzare questo o quello; sono quelle che chiamate tangenti. Ma se guardiamo alla nazione come una famiglia, e la famiglia per noi è molto importante, questo tipo di autorità non risponde alle esigenze della famiglia, di quella famiglia che è la Bolivia. La nostra cultura, le comunità indigene, si muovono su altre basi. I nostri principi si basano sul ‘ama sua, ama llulla, ama qh'ella’, che in lingua aymara significa non rubare, non mentire e non battere la fiacca. Questi precetti, che ci vengono dalle nostre autorità originali, sono così importanti che ritengo che basandosi su questi si possa cambiare la società. Pertanto io affermo che il movimento indigeno è la riserva morale dell’umanità”. Se sul fronte delle nazionalizzazioni il successo è evidente, dalla Corte suprema al Tribunale costituzionale il governo sembra trovare difficoltà crescenti, dimissioni, decisioni sfavorevoli: “L’opposizione continua a considerare la nazionalizzazione incostituzionale, così come continua a considerare incostituzionale ogni decreto contro la corruzione. Hai ragione; purtroppo non abbiamo una giustizia che faccia giustizia per la maggioranza, ma continuiamo ad avere un sistema giudiziario che pretende di amministrare giustizia per continuare a fare accumulare le ricchezze in poche mani”.A giorni in Costituente comincerà un’altra battaglia, quella delle miniere, che oggi pagano un risibile 3% di imposte al fisco. E’ solo un altro dei conflitti aperti: “Siccome la situazione economica sta migliorando, tutti vogliono tutto. Più salario, ma anche settarismi, interessi, regionalismo. Abbiamo dimostrato che possiamo migliorare l’economia per tutti, ma ovviamente è ben più difficile recuperare il ritardo storico di 500 anni e gli anni del neoliberismo, delle privatizzazioni selvagge, della svendita dello stato, in pochi mesi o pochi anni. Le nostre politiche oggi sono orientate contro quel modello economico, a recuperare la dignità della Patria, a favorire l’uguaglianza tra i boliviani. E poi c’è un altro tema di fondo, quello della madre terra, della Pachamama. I popoli indigeni crediamo che dobbiamo vivere in armonia e difendere la madre terra. Risorse naturali come l’acqua, che il capitalismo considera una mercanzia, noi invece le consideriamo un diritto umano”.
http://www.gennarocarotenuto.it

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18 giugno, 2007

E' uscito il libro "I colori del mais. Società, economia e risorse in Centro America" di Luca Martinelli

La ricchezza dei popoli del Centroamerica attraverso un lungo impegno sul territorio da parte dell'autore.La terra delle donne e degli uomini di mais, che prova a rinascere dalle macerie degli anni Ottanta e Novanta, dalla guerra dei contras e dei marines e dal genocidio dei popoli indigeni, fa il conto con le sfide della globalizzazione. Gli accordi di libero commercio firmati -con gli Stati Uniti d’America- e quelli in corso di negoziato -con l’Unione europea-, i megaprogetti come il Plan Puebla Panamá, lo sfruttamento delle risorse naturali (acqua, diversità biologica, minerali) da parte di imprese multinazionali, la fine dell’agricoltura con l’abbandono della campagna e l’emigrazione verso le città o gli Usa, sono i moderni "cavalli di Troia" che arrivano a fiaccare la resistenza delle popolazioni locali.

Questo libro ne dà conto, grazie al contributo del Centro di ricerche economiche e politiche di azione comunitaria (Ciepac), partner dell’organizzazione non governativa Mani Tese. Ciepac "accompagna" i movimenti sociali in Chiapas, Messico e Centro America realizzando percorsi di formazione all’interno delle comunità indigene chiapaneche e partecipando alle reti "resistenti" nate in tutta la regione, all’inizio del XXI secolo, per rispondere all’attacco degli alfieri del credo neoliberista.
Una scheda la trovate su: http://www.manitese.it/index.php?id=12,775,0,0,1,0

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CAMPAGNA per sollecitare la ratifica da parte del parlamento italiano del Trattato n. 169 dell’ ILO

Si sta realizzando una campagna per sollecitare la ratifica da parte del parlamento italiano del Trattato n. 169 dell’ ILO, la Organizzazione Internazionale del Lavoro, organizzazione delle Nazioni Unite con sede a Ginevra, trattato che ad oggi è l’ unico documento giuridico in essere a livello internazionale che riconosca una serie di diritti riguardanti i popoli indigeni. L’ Italia da vari anni ha firmato il Trattato che però non è mai stato sottoposto alla ratifica del Parlamento. Per aderire raccogliere le firme e rinviarle entro il 30 giugno o via fax (0583.469627) o via posta (Fondazione Neno Zanchetta – Via Pieroni 27 – 55010 Gragnano).
Di seguito il testo:
PETIZIONE AL GOVERNO ITALIANO PER LA RATIFICA DEL TRATTATO 169 DELL’ UFFICIO DEL LAVORO DELLE NAZIONI UNITE SUI DIRITTI DEI POPOLI INDIGENI E PER L’ APPOGGIO ALL’ APPROVAZIONE DELLA DICHIARAZIONE SUI DIRITTI COMUNITARI DEI POPOLI INDIGENI DELLE NAZIONI UNITE
Da ormai 20 anni la Dichiarazione sui Diritti Comunitari dei popoli indigeni e tribali viene sballottata da una commissione all’ altra delle Nazioni unite senza giungere ad una approvazione finale. I firmatari della presente petizione chiedono al governo italiano di impegnarsi affinché nell’ Assemblea generale del prossimo dicembre essa venga portata in aula e sostenuto dal nostro governo. Chiedono altresì che il Parlamento italiano proceda alla ratifica del Trattato n. 169 dell’ Ufficio Internazionale del Lavoro, organismo permanente delle Nazioni Unite, a tutt’ oggi unico documento giuridico internazionale che riconosca seppur in maniera non completa tali diritti. L’ Italia, in virtù della sua partecipazione a numerosi progetti di cooperazione aventi un impatto sulle popolazioni indigene e in considerazione delle attività di molte società transnazionali a capitale italiano nei territori da questi abitati, ha il dovere di rispettare e far rispettare tali diritti.
Nome e Cognome (stampatello) - Indirizzo (leggibile) - Indirizzo mail - Firma

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15 giugno, 2007

Lavoro infantile frena lo sviluppo rurale

Sono più di 132 milioni i bambini e bambine tra i 5 ed i 14 anni che lavorano ancora nell'agricoltura.
Rappresentano il 70 per cento di tutti i bambini che lavorano nel mondo e costituiscono un gruppo molto vulnerabile a causa dei pericoli insiti in queste attività.
Studi realizzati dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) hanno permesso di stabilire che molti bambini ed adolescenti manipolano pesticidi, utilizzano attrezzi taglienti o macchinari senza nessun tipo di protezione. La giornata dei bambini e bambine che lavorano nel settore rurale inizia normalmente prima dell'alba e si prolunga per molte ore, in condizioni climatiche molto difficili che incidono sulla loro salute. Molti di loro soffrono di problemi psicologici a causa dello stress generato dalla pressione a cui sono sottoposti per raggiungere determinate quote di produzione. Oltre a questo, il lavoro di bambini ed adolescenti nel settore rurale incide negativamente sul loro inserimento e permanenza a scuola. Particolarmente colpite da questo fenomeno sono le bambine, le quali oltre al lavoro nei campi, devono svolgere i lavori domestici, incrementando gli indici di diserzione scolastica. Di fronte a questa situazione, l'OIL chiama in causa direttamente i governi e le società in generale, affinché vengano raddoppiati gli sforzi che si stanno realizzando per prevenire e combattere lo sfruttamento di bambini, bambine ed adolescenti nel settore rurale. Per questo, il 12 Giugno - Giornata Mondiale contro il Lavoro Infantile viene celebrata con il motto: "Agricoltura libera dal lavoro infantile. Il raccolto futuro".
Il panorama nella regione latinoamericana
Benché non esistano cifre globali sulla magnitudine di questo fenomeno nel settore rurale dell'America Latina ed i Caraibi, in molti paesi sono state realizzate ricerche all'interno dei più importanti settori produttivi, ottenendo informazioni sulla situazione e sulle caratteristiche dei lavori in cui vengono coinvolti i bambini e le bambine.
In Brasile, per esempio, si è stabilito che 1 milione 200 mila bambini, bambine ed adolescenti tra i 5 ed i 17 anni lavorano nel settore agricolo. Di questi, 500 mila hanno tra i 5 ed i 15 anni.
In base alla Encuesta Continua de Hogares del 2005, in Colombia circa il 37 per cento dei bambini, bambine ed adolescenti tra i 5 ed i 17 anni sono vincolati all'attività agricola.
In Ecuador, una ricerca dell'OIL ha segnalato che nelle province di Los Ríos, El Oro y Guayas, dove si concentra la maggior produzione di banane del paese, esistono circa 8 mila bambini, bambine ed adolescenti minori di 18 anni che lavorano in varie attività agricole. Uno studio realizzato durante la raccolta della canna da zucchero, ha rivelato che in Bolivia circa 10 mila bambini, bambine ed adolescenti tra i 9 ed i 18 anni hanno partecipato, insieme ai loro genitori e fratelli maggiori, all'attività produttiva nei dipartimenti di Santa Cruz e Tarija.
In Perù esistono 972 mila bambini e bambine tra i 6 ed i 13 anni che lavorano nel settore agrario e di allevamento. Un recente studio realizzato dall'OIL sulle dimensioni del lavoro infantile in Paraguay ha rivelato che più di 90 mila bambini, bambine ed adolescenti tra i 5 ed i 17 anni realizzano attività agricole, di allevamento e pesca.
In America Centrale ed in Repubblica Domenicana, secondo le ultime ricerche, la metà dei 2 milioni di bambini, bambine ed adolescenti che lavorano, lo fanno nel settore agricolo ed il 50 per certo non frequentano nessun tipo di scuola o centro di formazione professionale.
Percorsi per una soluzione
Affrontare il tema del lavoro dei bambini e bambine nell'agricoltura, specialmente quello che comporta seri pericoli e rischi per la loro istruzione, salute ed integrità, è una questione urgente ed improrogabile. L'OIL considera che le azioni debbano includere l'applicazione effettiva delle leggi vigenti nei paesi per proibire la realizzazione di attività agricole pericolose e la creazione di misure di sicurezza e programmi di formazione per chi è già in età di lavoro.
I lavoratori agricoli si trovano solitamente tra le frange più povere della popolazione e quindi, affrontare il problema del lavoro infantile nell'agricoltura, significa migliorare le condizioni di vita di queste zone ed incorporare l'obiettivo di prevenzione e riduzione del lavoro infantile all'interno di programmi destinati ad incrementare le entrate ed a migliorare la salute e la sicurezza di questo settore. La soluzione al problema del lavoro dei bambini nell'agricoltura è direttamente vincolata alla possibilità che i produttori ottengano prezzi giusti per i loro prodotti. Il tema dell'istruzione è poi cruciale per affrontare il tema del lavoro infantile nell'agricoltura. Nonostante molti genitori desiderino inviare i propri figli a scuola, i costi della scolarizzazione glielo impediscono ed alla fine optano per inviarli al lavoro. È quindi urgente che i governi si sforzino per garantire un'istruzione gratuita e di qualità o almeno ad un costo accessibile per queste famiglie. I recenti progressi nella riduzione del lavoro infantile in America Latina e Caraibi incoraggiano a continuare su questa strada ed a concentrare gli sforzi soprattutto nel settore agricolo.Per poter ottenere ulteriori risultati è importante che governi, datori di lavoro e lavoratori della regione facciano un passo importante, impegnandosi nel seno dell'OIL a sviluppare misure urgenti e prioritarie per porre fine alle peggiori forme di lavoro infantile entro il 2015 e per eliminarlo definitivamente entro il 2020. Rendere concrete queste intenzioni attraverso politiche pubbliche e programmi di forte impatto sarà la chiave per raggiungere l'obiettivo di una America Latina libera dal lavoro infantile e fare in questo modo un passo da gigante nella lotta contro la povertà ed il raggiungimento degli Obiettivi e Mete del Millennio all'interno della regione.

OIL 12 giugno 2007
Maggiori informazioni su: www.oit.org.pe/ipec/agricultura
Pagina speciale della OIL su: www.oit.org.pe/ipec/diamundial

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06 giugno, 2007

Contro la guerra globale permanente di Bush e l’interventismo militare del governo Prodi



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04 giugno, 2007

Marcos invita all'unità dei popoli indigeni dell'America Latina

da La Jornada – 3 giugno 2007
di ULISES GUTIERREZ
Il subcomandante Marcos ha rivolto un appello a tutti i popoli indigeni dell'America, dall'Alaska fino alla Patagonia, in Argentina, ad unirsi per affrontare insieme la disuguaglianza sociale che subiscono.
Nel dodicesimo Incontro Iberoamericano di Scrittori Horas de Junio, il delegato zero ha sottolineato il coraggio ed il valore dei popoli indios in Messico che si confrontano con una società impegnata nel condurre una vita frivola che li margina sempre di più.
"Ci sono storie piene di luce, tesori fatti parole, allegrie che scoppiano e tutto lo macchiano con i loro colori, ma ci sono anche dolori, ferite che non si chiudono, tristezze che solo si alleviano, ma che non si curano assolutamente con le parole".
Durante l'incontro nelle installazioni della Società Sonorense di Storia, Marcos ha letto poesie insieme al poeta nicaraguense Ernesto Cardenal, davanti ad un pubblico di più di 500 persone.
"Uscendo da Vícam, siamo passati a fianco del monte Boca abierta, una delle porte dell'assediato territorio della tribù yaqui, forse la luna aveva pensato bene il suo cammino, perché quando la sua luce mi è arrivata era già a vari quarti dall'orizzonte e la sua luce piena disegnava perfettamente la sagoma del monte che da alcune settimane grida un appello per tutti i popoli indios del continente americano, l'Incontro dei Popoli Indios di ottobre" - ha detto Marcos.
Il leader zapatista si riferisce alla riunione delle comunità indios dell'America che si realizzerà dall'11 al 14 ottobre in Vícam, territorio della tribù yaqui, ubicato nel municipio di Guaymas, in Sonora.
Nel suo intervento Ernesto Cardenal ha riconosciuto la lotta dell'EZLN ed ha menzionato l'influenza del Messico sulla rivoluzione sandinista in Nicaragua. Cardinal ha letto la poesia Las Loras, per esemplificare gli enormi sacrifici di coloro che hanno dato la loro vita per il cambiamento sociale e la giustizia a favore degli emarginati.
"Il mio amico Michel è responsabile militare in Somoto e mi ha raccontato che scoprì un contrabbando di pappagalline che dovevano essere esportate negli Stati Uniti per imparare a parlare inglese".

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