28 maggio, 2007

9 giugno tutti a Roma No Bush-No War Day

Contro la guerra globale permanente di Bush
contro l'interventismo militare del governo Prodi.
Il presidente Usa, George Bush verrà in Italia il 9 giugno, su invito del governo Prodi per ribadire in questo modo la convinta alleanza militare e politica dell´Italia con gli Stati Uniti. Oggi il presidente Bush ha contro la maggioranza del popolo degli Stati Uniti ma mantiene l'appoggio delle lobbies militari, petrolifere e dell´industria delle armi.Bush è l´estremo interprete della volontà di egemonia mondiale delle classi dominanti statunitensi, volontà che porta da decenni gli USA, indipendentemente dall´alternanza dei governi, ad intervenire militarmente ovunque, con truppe, colpi di stato, stragi e attentati. Questa volontà di dominio, che fa della guerra una vera e propria strategia politica con la capacità di esportare conflitti dall´Africa all´Asia, dall´America latina alla stessa Europa (Balcani), produce sudditanza politica e culturale.In Italia la destra considera Bush il proprio punto di riferimento ma anche il governo Prodi, eletto grazie anche ai voti del movimento no-war "senza se e senza ma", è orgoglioso dell´alleanza con tale amministrazione e si prepara a ricevere in pompa magna il presidente Usa a Roma. Questa subordinazione caratterizza anche l´organica politica di intervento militare che il governo Prodi sta praticando, sia pure nella versione "multilaterale" , cioè "concertata" con le altre potenze. Un´internità alla logica della guerra che spinge a mantenere le truppe in Afghanistan, che ha aumentato vistosamente le spese militari (+13% nella Finanziaria) , che vuole imporre a popolazioni unite nell´opposizione, nuove basi militari come a Vicenza (ma anche a Cameri e in altri luoghi in via di ampliamento) , che partecipa alla costruzione di micidiali armi come l´aereo da guerra F35 o lo Scudo missilistico, e conserva le bombe atomiche disseminate nel nostro territorio, come a Ghedi e Aviano.E´ questa subordinazione, politica e culturale, che ha abbandonato una delle esperienza più limpide del pacifismo italiano, quella di Emergency, tradita e sacrificata al governo Kharzai e ai suoi servizi segreti che detengono illecitamente Rahmatullah Hanefi. Ma la guerra è guerra indipendentemente dalle bandiere usate per condurla e va ripudiata, come il militarismo governativo, che ha riconfermato o promosso le missioni belliche. Per questo, come tanti e tante in tutto il pianeta e in mille forme, ci prepariamo ad accogliere Bush come si accoglie un vero e proprio guerrafondaio. Lo facciamo per i torturati di Guantanamo, per i bruciati vivi di Falluja, per i deportati, per quelli rinchiusi nei campi di concentramento in mezzo mondo. Ma lo facciamo anche per dire che esiste un´altra Italia. Un´Italia che vive già in un altro mondo possibile e concreto. E´ quella dei movimenti che si battono contro le basi militari, contro la devastazione ambientale, per i diritti sociali, contro i cpt. Che si batte contro la privatizzazione dell´acqua e la rapina dei beni comuni, contro le spese militari e il riarmo globale. Il 9 giugno quindi è un giorno importante per la ripresa del cammino del movimento no war nel nostro paese.Vogliamo il ritiro delle truppe italiane da tutti i fronti di guerra, Afghanistan in primis, la chiusura delle basi militari USA e NATO, la restituzione di quei luoghi alle popolazioni per usi civili, per giungere all´uscita dell´Italia dalle alleanze militari. Esigiamo la rimozione dal territorio nazionale degli ordigni nucleari e delle armi di distruzione di massa. Diciamo basta alle spese militari, rifiutando lo Scudo missilistico e i nuovi aerei da guerra, affinché le decine di miliardi di euro vengano usati per la scuola e la sanità pubblica, per i servizi sociali, per il miglioramento ambientale, per il lavoro e il sistema previdenziale pubblico.Pretendiamo che il governo Prodi ottenga l´immediata liberazione di Hanefi e restituisca ad Emergency il suo ruolo meritorio in Afghanistan.Proponiamo che la mobilitazione del movimento no-war - che ha già tre tappe importanti: la manifestazione contro la progettata base militare a Novara il 19 maggio oltre a quelle di Aviano e Sigonella; le Carovane contro la guerra, che arriveranno a Roma il 2 giugno per protestare contro la parata militare sui Fori Imperiali; la mobilitazione europea contro il G8 di Rostock-Heiligendam m - culmini il 9 giugno una grande mobilitazione popolare a Roma che faccia sentire a Bush e Prodi l´avversione nei confronti delle guerre e delle corse agli armamenti, che DICHIARI IL PRESIDENTE USA OSPITE NON GRADITO e faccia sentire a Prodi il ripudio della guerra e del militarismo. Così come recital´articolo 11 della Costituzione.Ci uniamo alla popolazione di Vicenza per ribadire a Bush la più chiara determinazione e la più netta opposizione possibile a non consentire la costruzione della base Dal Molin.Inoltre lanciamo fin da subito la campagna perché sia garantita la possibilità a tutti coloro che vorranno manifestare di raggiungere Roma in treno.

Adesione: 9giugnonobush@ libero.it

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17 maggio, 2007

TUTTI A ROMA IL 26 MAGGIO!!!

Negli ultimi anni, l'America Latina è definitivamente diventata uno scenario straordinario attraversato da possenti ed estese lotte popolari, progressive e rivoluzionarie, iniziandosi a configurare come nuovo "polo di potere" antimperialista.
Seppur in modo diverso e con eterogenei gradi di radicalità anticapitalista, dalla Patagonia al Río Bravo le masse sono diventate protagoniste di mobilitazioni, picchetti, occupazioni di terre, fabbriche, scuole ed università, scioperi e blocchi stradali, combinando le più svariate forme di lotta (da quelle aperte e legali a quelle clandestine ed armate). In alcuni paesi, come in Bolivia ed in Ecuador, coalizioni popolari hanno portato al governo presidenti che hanno adottato misure antimperialiste, o che quanto meno guardano con gran interesse, come il Nicaragua, alla proposta d'integrazione dell'ALBA lanciata da Chávez; in altri, come in Venezuela, non solo le forze bolivariane sono andate al governo ma hanno addirittura avviato un processo di trasformazioni strutturali sul piano politico, economico e sociale, ed affrontano attualmente la sfida più importante e difficile, quella del superamento del modello capitalistico e della costruzione del socialismo quale unica alternativa possibile e necessaria.
Il consolidamento ed i salti di qualità intrapresi dalla rivoluzione bolivariana in Venezuela, la tenace battaglia di Cuba socialista contro il criminale blocco economico imposto dagli USA, e l'eroica resistenza guerrigliera e popolare in Colombia sono le espressioni più avanzate di questa battaglia dalla storica portata per tutti i popoli ed i lavoratori del mondo. Ma non vanno dimenticate le durissime lotte in Messico, come a Oaxaca, quelle degli studenti e minatori in Cile e dei mapuches, i movimenti sociali in Argentina, dalle fabbriche occupate ai piqueteros, e le lotte dei senza terra e senza casa in Brasile e Paraguay, solo per citare alcuni esempi.
Questo inarrestabile torrente di battaglie di popolo trova nel bolivarismo -unione indissolubile di antimperialismo e lotta per la giustizia sociale- l'elemento di convergenza ed unità, non solo nell'opposizione ai regimi di miseria e sfruttamento imposti da Washington, ma anche nel progetto strategico di una grande Patria Latinoamericana.
Gli Stati Uniti, ora in concorrenza ora di concerto con altri paesi imperialisti, stanno intervenendo pesantemente per disarticolare questo processo bolivariano e per garantire la continuità della loro egemonia in quell'area: i piani neo-coloniali come il Plan Colombia, i Trattati di Libero Commercio capestro per i popoli, l'insediamento di nuove e più sofisticate basi, l'aumento -ancorché in sordina- degli effettivi militari con il pretesto della "guerra al terrorismo ed al narcotraffico", la pianificazione e l'esecuzione di manovre destabilizzanti e golpes, l'occupazione di paesi sovrani (Haiti) ed il finanziamento della contro-rivoluzione con qualunque mezzo, sono tasselli concatenati di un inaccettabile interventismo che va condannato con forza e senza indugi.
Per tale ragione, chiediamo a tutti di partecipare numerosi al presidio di fronte all'ambasciata USA a Roma, convocato per sabato 26 maggio 2007 alle ore 15.00
V i a V i t t o r i o V e n e t o a n g o l o V i a B i s s o l a t i
- CONTRO L'INTERVENTISMO IMPERIALISTA IN AMERICA LATINA!
- IN SOSTEGNO ALLE LOTTE DEI POPOLI LATINOAMERICANI!
- PER LA LIBERTÀ DEI PRIGIONIERI POLITICI BOLIVARIANI E DEI 5 CUBANI!
Coordinamento Nazionale Bolivariano
http://www.venceremos.it/revolucionbolivariana/
bolivarcontinental@yahoo.it
Tel. 339-1576862

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Commercio con il Centroamerica, se l'Europa non è diversa dagli Usa

Fonte: Liberazione
26 aprile 2007
Roberto Sensi (Mani Tese)
Il Consiglio per gli affari generali e le relazioni esterne dell'Unione europea ha approvato ieri le raccomandazioni per l'avvio di negoziati commerciali con i Paesi dell'America centrale e della Comunità andina di nazioni. Cosciente delle difficoltà a chiudere la partita commerciale all'interno dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), dove le intese languono, l'Ue sta spingendo l'acceleratore sui negoziati regionali. Rispetto alla Wto cambia la strategia ma non la sostanza degli accordi, che anzi si configurano in maniera più estesa comprendendo settori, come gli investimenti e gli appalti pubblici, usciti dall'agenda negoziale durante il famoso vertice di Cancun del settembre 2003. Come nel caso degli Economic partnership agreement che Bruxelles sta negoziando con i Paesi africani, molti dei Paesi con cui l'Ue avvierà negoziati commerciali non sono in grado di reggere la concorrenza con il Vecchio Continente. Nonostante ciò, i 25 propongono la stipula di accordi reciproci, che impegnano, cioè, le parti in maniera pressoché equivalente, sostenendo che il commercio libero rappresenta la panacea per tutti i mali. Una retorica "sviluppista" - confutata dai risultati delle politiche volute da Banca mondiale e Fondo monetario internazionale - che nasconde gli obiettivi dell'Europa. Consapevoli dei rischi legati alla firma di questi accordi per i Paesi del Sud, decine di organizzazioni europee hanno scritto ai loro governi sostenendo la necessità di abbandonare la logica liberista della Commissione, avviando una discussione critica sulla politica commerciale europea. Anche in Italia un rete composta da Ong e organizzazioni della società civile (A Sud, Mani Tese, CRIC, Ans 21, CICA, Fondazione "Neno Zanchetta" e Terranuova) si è attivata e a inizio aprile ha incontrato il sottosegretario agli Esteri con delega all'America Latina Donato di Santo. La richiesta al governo italiano è quella di sostenere un Accordo che tenga conto delle immani asimmetrie esistenti tra le due aree. Una sintesi difficile da raggiungere in Italia, stretta tra la coerenza con gli obiettivi di sviluppo, e le scelte liberiste della ministro per il Commercio internazionale Emma Bonino con un governo che, a parte rare eccezioni, pare poco interessato ad avviare un dibattito serio su commercio e sviluppo. Passando in rassegna la storia della politica commerciale europea in America Latina degli ultimi dieci anni non si può che constatare la continuità ideologica e pragmatica con quella degli Usa, accusati di proporre accordi di libero scambio nudi e crudi. Solo a parole Bruxelles pretende di essere diversa, ma nei fatti ripete il copione degli Usa, cosciente di giocare in America Latina, come in Africa e in Asia, una partita chiave per la propria sopravvivenza come attore globale capace ancora di imporsi sul mercato internazionale, incalzata dalla concorrenza di potenze vecchie, Usa, e nuove, Brasile, India, Cina. In un documento recente, Global Europe: comptetiting in the World , la Commissione europea propone una strategia che si snoda attraverso la stipula di accordi commerciali con tutte le regioni del pianeta, andando oltre a quanto già negoziato in ambito Wto. È in questo quadro che si inserisce l'Accordo di associazione tra Unione europea e Centro America. Sulla carta l'obiettivo è lo sviluppo attraverso l'integrazione nel mercato mondiale, ma il risultato sarà solo quello di creare un mercato regionale sufficientemente "interessante" per le imprese europee. Attualmente, l'interscambio con il Centro America rappresenta una percentuale minima sulla bilancia commerciale Ue. Per i primi, invece, Bruxelles è il terzo socio commerciale, e con un saldo negativo. L'export centro americano vede l'assoluta prevalenza (83,3 per cento) dei prodotti agricoli, principalmente caffè, banane, frutta tropicale e tabacco. Tutti prodotti con scarso o nullo valore aggiunto, produzioni non orientate al soddisfacimento della domanda interna, e il cui prezzo è soggetto alla volatilità del mercato internazionale. Merci, inoltre, che non producono effetti positivi sui piccoli produttori, poiché l'agro-business è controllato da poche grandi imprese. Il Centro America è, per l'industria europea, una piattaforma stabile per esportare negli Stati Uniti, produrre a basso costo e accaparrarsi le enormi risorse naturali della regione (che ospita una grande ricchezza di biodiversità, petrolio, acqua, minerali e foreste). In America Latina Bruxelles fa già la parte del leone in quanto a investimenti, diretti principalmente verso i servizi, il manifatturiero e l'industria estrattiva. La presenza di investitori europei è consolidata anche in Centro America, e l'obiettivo dell'Accordo è rendere stabile e non reversibile tale situazione nei settori della costruzione e della progettazione di infrastrutture, della distribuzione di beni, come, ad esempio, l'acqua, dell'energia, dei servizi ambientali, del trattamento dei rifiuti, finanziario, delle telecomunicazioni, dell'educazione, della salute, della sicurezza etc. Esistono esempi, come quello della spagnola Union Fenosa in Nicaragua, in cui gli investimenti nel settore dei servizi energetici hanno prodotto gravi conseguenze negative (vedi l'articolo in questa pagina). Date queste premesse non si capisce perché Bruxelles si ostini ad affermare che l'interesse principale nei negoziati che inizieranno a breve è lo sviluppo della regione centro americana. L'Ada Ue-Centro America, per espressa ammissione del commissario europeo al commercio, Peter Mandelson, non sarà diverso dal Cafta, l'accordo sottoscritto dai Paesi della Regione con gli Stati Uniti. L'enfasi posta sui diritti umani, l'obbligo di ratifica e attuazione di numerose convenzioni internazionali in materia di ambiente e diritti umani per godere del sistema di preferenze e la retorica dello sviluppo sono fumo negli occhi per mascherare l'essenza della politica di cooperazione europea, vale a dire l'affermazione dei propri interessi economici offensivi. Un inganno che abbiamo l'obbligo di smascherare: l'Ue deve riconoscere che un accordo su basi eguali tra diseguali non produrrà benefici per il Centro America. Devono essere esclusi dai negoziati i servizi pubblici, gli investimenti e gli appalti governativi. Nel settore agricolo bisogna garantire ai Paesi Centro americani il diritto di proteggere i propri mercati e di produrre in primis per rispondere ai bisogni della popolazione locale, abbandonando la monocoltura da esportazione sul modello neo-coloniale. In materia di diritti di proprietà intellettuale è necessario non andare oltre quanto negoziato nella Wto e accogliere l'invito dell'Unctad a ridiscutere il tema, analizzandone le implicazione per lo sviluppo. Infine serve più trasparenza e partecipazione, interrompendo la tradizione della Commissione di avere relazioni preferenziali ed esclusive con il solo settore imprenditoriale. In gioco non c'è soltanto il diritto per i Paesi del Sud di avviare percorsi di sviluppo endogeni, capaci di garantire equità, sostenibilità ambientale e ricchezza. C'è il futuro dell'Europa e della sua politica estera, incapace di superare la contraddizione attuale tra principi e strumenti, vale a dire tra cooperazione e competizione.

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04 maggio, 2007

Le vittime del terrorismo chiedono giustizia.Nessuna impunità per il criminale Posada Carriles

di Ines Venturi*
Il terrorista Posada Carriles, autore di numerosi attentati contro Cuba, è attualmente libero negli Stati Uniti. Carriles è responsabile, tra l’altro, dell’esplosione di una aereo di linea nella quale persero la vita 73 persone e per tale attentato il Venezuela, parte in causa, ne ha chiesto, ad oggi inutilmente, l’estradizione agli Stati Uniti, dove con falsi documenti, trasgredendo le stesse leggi nordamericane sull’immigrazione, si era rifugiato.
Carriles è il mandante, per propria ammissione, di una serie di attentati in diversi alberghi de La Habana e in uno di questi, realizzato all’hotel Copacabana, perse la vita il giovane italiano Fabio Di Celmo che lì si trovava come uomo d’affari e turista. Anche l’Italia deve chiedere l’estradizione del terrorista Posada Cariles e per questi motivi il Comitato di Solidarietà con Cuba “Fabio Di Celmo” sosterrà tutte le iniziative e ne promuoverà al fine di ottenere giustizia.

Gli Stati Uniti non consentendo un giusto processo per un terrorista se ne rendono complici e si rendono responsabili di ogni crimine commesso dallo stesso. Senza entrare nel merito di rapporti tra il terrorista e l’attività anticubana ordita ad ogni livello da fondazioni, apparati mafiosi e politici nordamericani rimane un valore imprescindibile la condanna per chiunque si macchia di crimini gravi contro l’umanità come nel caso di Carriles.

La democrazia di un popolo, in Italia o negli stessi Stati Uniti, si difende anche non permettendo al terrorismo di avere impunità alcuna e meno che mai favorendone chi si ne rende responsabile. Incredibilmente, invece, sono detenuti nelle carceri statunitensi cinque cittadini cubani rei di essere impegnati a contrastare il terrorismo. La libertà dei cinque cittadini cubani e un giusto processo, al contrario, per Posada Carriles sono semplici atti di civiltà da realizzare in nome dei diritti umani contro l’avanzare di una nuova barbarie.
*Presidente Associazione Internazionale di Amicizia e Solidarietà con i Popoli (Presidente onorario Giustino Di Celmo)Comitato di Solidarietà con Cuba “Fabio Di Celmo”

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