29 ottobre, 2009

Esercitazione militare riapre antiche ferite in America latina

di Antonio Mazzeo

Un’isola del Pacifico disputata da due paesi; poi, improvvisa, l’occupazione da parte delle forze armate di uno di essi. Il contendente invoca l’intervento delle Nazioni Unite. Scatta l’ultimatum: “o vi ritirate o sarà dato il via alle operazioni aeree combinate di una coalizione internazionale”. Gli occupanti fanno orecchie da mercante e in men che non si dica, sull’isola scoppia l’inferno. Centinaia d’incursioni aeree, bombardamenti aria-terra, lanci di paracadutisti, atterraggi di aerei ed elicotteri da trasporto, sbarco di uomini e mezzi pesanti, evacuazione di civili. La potenza di fuoco scatenata dalle forze della coalizione internazionale è di tale intensità da non dare scampo agli invasori. L’“ordine internazionale” viene ripristinato.

È lo scenario dell’ennesima esercitazione in America latina delle forze aeree di Stati Uniti, Francia e delle maggiori potenze regionali, Cile, Brasile ed Argentina. Teatro dei war games, il grande deserto di Atacama, regione all’estremo nord del Cile. Denominata “Salitre 2009” , è la più grande delle operazioni aeree della storia del continente, ed ha preso il via a metà ottobre per concludersi solo alla fine del mese. L’“isola che non c’è” si estende su un territorio che comprende le basi aeree “Los Cóndores” di Iquique e “Cerro Moreno” di Antofogasta, più il porto a sud di Patache. A fronteggiarsi 1.400 militari cileni e 400 stranieri, ed un inverosimile numero di aerei ed elicotteri da guerra: cacciabombardieri F-5 ed F-16 cileni, A-1 brasiliani, A-4AR argentini, Mirage 2000 francesi; aerei cargo e cisterna KB-707 ed EB-707 cileni e KC-130 argentini. Altrettanto agguerrito lo schieramento dell’US Air Force, ormai di casa negli scali aerei settentrionali cileni: 6 caccia F- 15C del 122nd Fighter Squadron (Guardia Nazionale della Louisiana); 2 aerei da trasporto HC-130 “Hercules” del 71st Rescue Squadron; 2 velivoli per il rifornimento in volo KC-135 del 197th Aerial Refueling Squadron (Guardia Nazionale dell’Arizona). All’esercitazione, in qualità di osservatori, partecipano pure alti ufficiali delle forze aeree di Venezuela, Ecuador, Messico e Bolivia.

“Gli scenari sperimentati con Salitre avranno un’ampia applicazione per gli interventi di guerra o di supporto a missioni civili in qualsiasi parte del mondo”, ha dichiarato il colonnello Bryan Bearden, direttore operativo di AFSOUTH, il Comando Sud delle forze aeree USA. “L’esercitazione rappresenta un’importante occasione per i nostri piloti di lavorare insieme ai colleghi latinoamericani. Ciò consentirà a tutti di sostenere le operazioni di una coalizione internazionale, così come le missioni globali di stabilizzazione e peacekeeping delle Nazioni Unite, l’intervento armato a rispetto delle zone “no-fly” o il pattugliamento delle aree infestate dai pirati”.

Se nei disegni di Washington le azioni aeree di “Salitre” dovevano rafforzare la propria egemonia nel continente latinoamericano, hanno invece avuto l’effetto di riaprire antiche ferite tra i gruppi dirigenti nazionalisti di due partner strategici dell’area andina, Cile e Perù. Nei piani originari, era prevista infatti la simulazione di un’operazione di “ristabilimento dell’ordine internazionale” dopo un conflitto tra due stati confinanti in disaccordo sulle rispettive frontiere terrestri e marittime. Più specificatamente si accennava “ad un paese vicino che minacciava la pace non rispettando i trattati internazionali”, formula che secondo il governo e la stampa peruviana alludeva apertamente alla querelle diplomatica risalente alla fine del 19° secolo, quando il Cile sconfisse militarmente Perù e Bolivia, annettendosi ampi territori meridionali dei due paesi. Una diatriba strumentalizzata periodicamente dall’una o dall’altra parte, riacutizzatasi nel gennaio 2008 con la presentazione, da parte peruviana, di una richiesta alla Corte dell’Aja per il riconoscimento dei diritti su un’area dell’Oceano Pacifico sotto controllo cileno. Invitata a partecipare alle manovre nel deserto di Atacama, l’aeronautica militare peruviana ha così scelto di disertare l’evento, ritenendolo “inopportunoe ed inappropriato”.

“Qualsiasi paese ha il diritto di realizzare manovre militari nel suo territorio, ma il nome di questa esercitazione ci fa ricordare l’infausta guerra del Pacifico dove proprio il Salitre fu la causa di divisione che condusse il Cile ad impossessarsi dei territori peruviani e boliviani”, ha affermato lo specialista in diritto internazionale, Julián Palacin Fernández, peruviano. “Non vorremmo dunque pensare che queste manovre mascherino una minaccia di uso futuro della forza nel caso in cui fosse costretto ad accettare una sentenza avversa all’Aja”.

Ancora più pesanti le parole del congressista del Partido Aprista (al governo), Javier Valle Rientra, controverso ex primo ministro di Alberto Fujimori. “Dobbiamo vigilare seriamente la postura cilena”, ha dichiarato. “Per noi Pinochet e la presidente Michelle Bachelet sono gli stessi, uno è un autoritario di destra, l’altra è un’autoritaria di pseudo-sinistra. Ed entrambi hanno mantenuto una posizione fondamentalmente antiperuviana”. Le risposte dall’altra parte della frontiera non si sono fatte attendere. “Salitre 2009 si sta svolgendo in modo impeccabile e risponde all’esercizio della sovranità”, ha dichiarato il presidente della Camera dei deputati, Rodrigo Alvarez. “Il Perú ha aperto una controversia artificiale, auto-emarginandosi dalla realizzazione di queste esercitazioni, adducendo un falso atteggiamento armamentista del Cile”. Ad inasprire i toni ci ha pensato poi il candidato di estrema destra alle prossime elezioni presidenziali cilene, Sebastián Piñera, che in occasione della presentazione di una guida turistica francese che sposa le ragioni di Lima sulle frontiere marittime, ha promesso di difendere “con forza”, da futuro Presidente del Cile, “ogni centimetro del suo territorio ed ogni centimetro del suo mare”. Dulcis in fundo la decisione della Bachelet di partecipare alla cerimonia di chiusura di “Salitre 2009” , congiuntamente al ministro della difesa e alle maggiori cariche civili e militari cilene.

Preoccupato per il clima di tensione tra i due importanti partner della regione andina, il Dipartimento della Difesa USA ha imposto alle forze armate cilene di “riaggiustare” lo scenario e le finalità dell’esercitazione, eliminando ogni allusione a “conflitti su frontiere terrestri e marittime di due paesi confinanti”. A Washington è ancora forte il ricordo di quanto accadde nel Cono Sud nel 1978, quando la disputa su tre isole del Canale di Beagle (Terra del Fuoco) rischiò di condurre ad una guerra aperta tra i regimi dittatoriali di Cile ed Argentina, fedeli alleati degli Stati Uniti nella lotta mondiale al “comunismo”. Il Perù è una pedina fondamentale del cosiddetto “Plan Colombia –Patriota”,finalizzato all’accerchiamento e all’eliminazione delle forze guerrigliere colombiane e alla pressione militare sul governo bolivariano del Venezuela. Il Cile guida il ristretto club dei paesi emergenti che gli Stati Uniti vorrebbero integrare in una grande NATO intercontinentale. Come auspicato in un articolo pubblicato nel gennaio 2009 dal Progressive Policy Institute (istituto vicino al Partito democratico e ai coniugi Clinton), “l’amministrazione Obama non deve perdere l’opportunità di guidare la trasformazione della NATO da un patto Nord America-Europa ad un’alleanza globale di nazioni libere, aprendo le sue porte a Giappone, Australia, India, Cile e ad altre stabili democrazie”. Per Rick Rozoff di Global research, gli Stati Uniti devono puntare ad integrare “Cile, Sud Africa, Australia e Nuova Zelanda, quattro paesi a nord dell’Oceano Antartico” nelle “alleanze militari occidentali come la NATO ”. “Il valore militare strategico e l’importanza dell’Antartico sta crescendo tantissimo”, scrive Rozoff. “Una battaglia maestosa è in atto per assicurarsi il controllo sulle vaste regioni dell’Antartico e sulle sue risorse naturali sino ad oggi inesplorate (petrolio, minerali, acqua dolce, fauna ittica)”.

Cresce intanto il volume degli aiuti USA a favore delle forze armate cilene. Per l’acquisto di sistemi d’arma e l’organizzazione di attività di addestramento, si è passati da 1.804.000 dollari dell’anno 2005, a 2.971.000 dollari per il 2010. Complessivamente, nell’ultimo quinquennio, l’aiuto militare statunitense ha superato i 13.600.000 dollari.

Secondo il quotidiano messicano La Jornada , sotto la presidenza della “progressista” Michelle Bachelet, il Cile ha speso quasi 2 miliardi di dollari nell’acquisto di armamenti pesanti, tra cui 140 carri armati “Leopard 2” , 8 elicotteri da trasporto “AS 535 Cougar”, missili portatili anticarro “AT-4 Saab”, 24 cannoni da 155 millimetri a lungo raggio, 18 cacciabombardieri F-16, 60 carri leggeri “M- 41” , 7 cacciatorpediniere e 2 sommergibili della classe “Scorpion”. Nel febbraio 2010 l’US Navy consegnerà alla marina cilena la nave cisterna “Andrew J. Higgins”, già utilizzata dal Military Sealift Command per il rifornimento della flotta e dei caccia ospitati a bordo delle portaerei USA. Piccoli apprendisti stregoni crescono…

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27 ottobre, 2009

Honduras I diritti umani calpestati

Il Comitato dei familiari dei detenuti scomparsi in Honduras, Cofadeh, ha presentato il secondo studio provvisorio sulla violazioni dei diritti umani durante il colpo di Stato - "Visi e cifre della repressione"¹ -, nel quale si evidenzia la brutalità con cui il regime di fatto ha cercato in tutti i modi di zittire le varie espressioni di resistenza contro il golpe dello scorso 28 giugno.

Secondo i dati presentati da Bertha Oliva, coordinatrice del Cofadeh, organizzazione sorta all'inizio degli anni ottanta quando in piena applicazione della Dottrina della Sicurezza Nazionale la società honduregna venne militarizzata e le sue istituzioni civili subordinate alle forze armate, dal 28 giugno al 15 ottobre 2009 sono stati 4.234 i casi di violazione ai diritti umani riportati da questa organizzazione.

Durante una emotiva conferenza stampa, Oliva ha spiegato che sono state registrate 21 morti violente ed omicidi riconducibili a motivi politici, 10 dei quali avvenuti durante manifestazioni pubbliche della Resistenza e 11 che presentano modelli di esecuzioni selettive, con un modus operandi tipico dei corpi paramilitari.

Durante 115 giorni si sono anche prodotti 3 attentati contro la vita di persone, 108 minacce di morte, 133 casi di trattamenti crudeli, degradanti ed inumani nei confronti di persone in stato di fermo, 21 lesioni gravi e 453 lesioni e contusioni, 211 persone hanno subito danni a causa di armi non convenzionali come bombe lacrimogene, gas tossici ed armi soniche.

Rilevati inoltre 3.033 detenzioni illegali, per la maggior parte giovani, 2 tentativi di sequestro, 114 persone arrestate per motivi politici con false accuse - 5 delle quali ancora in carcere mentre alle altre sono state concesse misure alternative al carcere o sono state provvisoriamente prosciolte -, 10 perquisizioni illegali di immobili, 13 casi di persecuzione nei confronti di leader sociali e difensori dei diritti umani e 4 attentati contro organizzazioni, tra cui lo stesso Cofadeh e il Sindacato dei lavoratori dell'industria delle bevande e simili, Stibys.

Rispetto alla libertà di espressione e mobilitazione, la relazione del Cofadeh ha evidenziato 27 casi di violazione agli organi d'informazione, tra cui la chiusura di Radio Globo e Canale 36, 26 aggressioni a giornalisti, la chiusura di 3 programmi radio gestiti da organizzazioni femministe, 52 posti di blocco in tutto il paese che hanno violato il diritto di circolazione a più di 20 mila honduregni - senza contare la chiusura delle frontiere con il Nicaragua durante il secondo tentativo del presidente Zelaya di ritornare in Honduras - ed una scalata repressiva che di fatto ha limitato e continua a limitare in modo indefinito la libertà di associazione e manifestazione della popolazione.

"Confesso che scrivendo questa relazione mi sono sentita turbata - ha detto Bertha Oliva all'introdurre la conferenza stampa -.
Forse perché mi ero fatta l'idea che durante questo lungo processo delle ultime decadi fossimo riusciti ad avanzare sul tema dei diritti umani, ma sono un'illusa.

Dopo più di 100 giorni da quel fatidico 28 giugno, data che ha scosso le viscere del Cofadeh - ha continuato Oliva - sappiamo che siamo di fronte a un processo di veloce regressione che ci fa tornare indietro di 25-30 anni o forse anche di più.

Come conoscitori degli effetti di una dittatura militare sappiamo che quanto è accaduto non si tratta di un fatto isolato, ma che ci troviamo di fronte a una strategia che si propone l'obiettivo di prendere e controllare il potere per molto tempo. La dittatura è arrivata per installarsi e rimanere nella regione.
Di fronte a questa situazione - ha spiegato la coordinatrice del Cofadeh - è imprescindibile prepararsi, perché come già accaduto nel passato siamo nuovamente depositari di lacrime, angoscia, dolore e soprattutto, di disperazione".

Oliva ha anche spiegato di essere molto preoccupata per l'attacco diretto della dittatura contro il settore magisteriale, che si è materializzato con omicidi - sono 4 i maestri uccisi -, persecuzioni, detenzioni illegali ed arbitrarie, sospensione del pagamento del salario, indagini sulla vita personale e professionale e denunce attraverso il Pubblico Ministero per iniziare processi civili e penali.

I giovani sono un altro settore particolarmente esposto alla repressione e sono già molti coloro i quali sono stati sequestrati, torturati ed assassinati, mentre molti altri hanno dovuto abbandonare il paese per sfuggire alla violenza.

"Abbiamo tutte le prove necessarie per affermare di fronte al mondo che stiamo vivendo una situazione di emergenza nel paese. Per questo motivo chiediamo alla comunità internazionale di vigilare, osservare e di accompagnarci nella sfida di vedere sul banco degli imputati tutte quelle persone che hanno commesso crimini di lesa umanità", ha detto Bertha Oliva mentre denunciava il tentativo e la minaccia della dittatura di volere eliminare la personalità giuridica del Cofadeh.

"Non abbiamo bisogno della personalità giuridica per cercare la verità, per accompagnare chi soffre, per denunciare di fronte al mondo le barbarie che stiamo vivendo. Questa dittatura vuole zittirci, ma non ci riuscirà. Potranno zittire la nostra voce, ma mai i nostri ideali e le nostre idee. Più ci reprimono e più ci danno forza", ha concluso.

© (Testo Giorgio Trucchi - Lista Informativa "Nicaragua y más" di Associazione Italia-Nicaragua - www.itanica.org )

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26 ottobre, 2009

L'HONDURAS ALLA BATTAGLIA FINALE PER L'AMERICA LATINA

Tegucigalpa. Honduras, ottobre.
Il Premio Nobel per la Pace, elogiato da Fidel, lancia l'Operazione Condor 2
L'HONDURAS ALLA BATTAGLIA FINALE PER L'AMERICA LATINA
tra fascisti e Resistenza, tra imperialismo e popoli

Nos tienen miedo por que no tenemos miedo - Hanno paura perché noi non abbiamo paura.
(Slogan del Frente de la Resistencia contra el golpe de Estado)

Tegucigalpa, ottobre. Oggi la Resistenza si è concentrata alla UNAH, Università Nazionale Autonoma dell’Honduras, cuore della lotta studentesca. Stradone di entrata e uscita dalla capitale bloccata dai copertoni incendiati. I poliziotti robocop e i militari bardati come per un assalto a Gaza (sono ottimamente istruiti dai paramilitari colombiani e dai soliti specialisti israeliani, a disposizione di ogni efferatezza fascista in America Latina) stanno alla larga. Le migliaia accorse all’appello degli studenti dai barrios e dalle colonias (favelas) di questa città dalla cupola di merda e di dollari e dalla base di rabbia e fame, sono troppe da bastonare, gassare, sparare, intossicare con la chimica rossa al peperoncino. Ci sono stati altri due morti ammazzati, in aggiunta alla ventina documentata (poi ci sono i desaparecidos nelle carceri della tortura; anche qui, esperti israeliani): Jairo Sanchez, sindacalista che una pallottola in faccia ha ucciso dopo 21 giorni di agonia, ed Eliseo Hernandez, professore, direttore della scuola El Mateo a Santa Barbara. Il conto per oggi, ultracentesimo giorno del popolo in piazza contro il colpo di Stato, parrebbe chiuso. Quei posapiano dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), terminale latinoamericano del travestimento democratico Usa, potrebbero vedersi costretti ad arricciare il naso sugli eccessi della dittatura del lumpendittatore Micheletti. Già hanno dovuto dar retta a Lula, che gli ha intimato di porre un freno all’assedio della sua ambasciata con dentro, dal 21 settembre, Mel Zelaya, presidente deposto, impegnato in un dialogo che con la teppa fascista golpista mai si sarebbe dovuto neanche concepire. ...continua...

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25 ottobre, 2009

4 Novembre in piazza contro il militarismo

APPELLO ALLA PARTECIPAZIONE “SE VUOI LA PACE LOTTA CONTRO LA GUERRA”

Il 4 novembre tutti in piazza per il ritiro delle truppe
dall'Afghanistan e il taglio delle spese militari.

A te che hai partecipato alle marce per la Pace,
a te che avevi appeso la bandiera arcobaleno al tuo balcone,
che hai firmato petizioni contro la guerra e per il ritiro delle truppe,
che sei scesa/o in piazza per chiedere la fine della guerra
permanente, travestita da missioni di pace,
che hai chiesto di tagliare le spese militari per riconvertirle in
spese sociali,
che vorresti chiudere le fabbriche di armi per produrre beni per la
vita, e non più strumenti di morte,
che vorresti chiudere le basi militari perché minacciano la vita di
altri popoli e la salute del tuo paese,
che hai protestato contro le bombe atomiche ed hai chiesto il disarmo
come unica sicurezza,
che hai contestato la retorica patriottica che giustifica la morte e
la distruzione,
che ami la vita e odi la guerra perché non capisci la parola nemico,
che vuoi un’Italia di pace, solidale con gli altri popoli e non più
complice della guerra globale,
che ripudi la guerra “ come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali”,
che guardi alla Palestina, al Kurdistan, all’Africa, all’Iraq,
all’Afghanistan, all’Iran, a tutto il Medio oriente e lotti per una
politica di pace, perché l’Italia esca dalle alleanze di guerra

RIVOLGIAMO QUEST’APPELLO PER TORNARE A PARTECIPARE ALLE INIZIATIVE
CONTRO LA GUERRA, PER SOSTENERE ANCORA IL MOVIMENTO CHE LOTTA PER LA
PACE, NELLE PIAZZE, NELLE SCUOLE, NELLE UNIVERSITA’, NEI LUOGHI DI
LAVORO

IL 4 NOVEMBRE GIORNATA DELLE FORZE ARMATE SCENDIAMO IN PIAZZA CONTRO
IL MILITARISMO, CONTRO LE MISSIONI DI GUERRA, PER IL RITIRO DELLE
TRUPPE DALL’AFGHANISTAN !!

LANCIAMO IN TUTTE LE CITTA’ INIZIATIVE DI PROTESTA,
CONTROINFORMAZIONE, PRESIDI, AZIONI DIMOSTRATIVE.

A ROMA SIT-IN A PIAZZA NAVONA- DALLE 15 ALLE 19


PATTO PERMANENTE CONTRO LA GUERRA - ROMA OTTOBRE 2009


LA GUERRA E’ UN CRIMINE CONTRO L’UMANITA’
E’ ANCHE UN MISFATTO ECONOMICO PERCHE’ STORNA RISORSE DAI BISOGNI
SOCIALI AGLI STRUMENTI DI MORTE:

ALCUNI ESEMPI

La Guerra in Afghanistan costa in euro 3 milioni al giorno per
mantenere in stato di occupazione militare circa 3000 uomini con gli
strumenti di morte e distruzione tecnologicamente avanzati. In moneta
afghana ciò che l’Italia ha speso dal 2001 per la guerra avrebbe
potuto produrre 600 ospedali e 10.000 scuole - secondo i dati forniti
da Gino Strada.

In Italia con 3 milioni di euro al giorno si potevano risolvere in
tutte le regioni i problemi dei rischi idrogeologici e del riassetto
territoriale.

Il piano di acquisto e assemblaggio - a Novara - dei cacciabombardieri
atomici F35 prevede la spesa di 13 miliardi di euro a rate fino al
2026 per la coproduzione e l’acquisto di 131 aerei da guerra
ribattezzati “dalle ali d’oro”. Un delirio di potenza militare che
serve a devastare altri popoli ed a togliere risorse alla cura della
vita e della terra nei nostri territori.

Lo specchietto qui sotto riportato ci mostra la gigantesca distruzione
di risorse operata dalle spese militari (fonte Manlio Dinucci)

spesa militare mondiale nel 2007

= 1.340 miliardi $ = + 45% rispetto al 1998 = 2.5 milioni di dollari al
minuto. Nel 2009 prevista a 1.500 miliardi di dollari. (SIPRI)

spesa militare NATO
= 3/4 della mondiale = 985 mld di $ (febbraio 2009 - SIPRI)

spesa militare USA
= 666 mld di $ (2008)

spesa militare ITALIA
= 30 mld di $ (2008)

spesa militare mondiale di 7 giorni = 30 mld $ = soluzione crisi
alimentare
mondiale per 1 anno (FAO)

NO ALLE SPESE MILITARI

NO ALLE MISSIONI MILITARI – RITIRIAMO LE TRUPPE DALL’AFGHANISTAN

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22 ottobre, 2009

Roma per l'Honduras



Contro il Golpe in Honduras

Venerdì 23 ottobre h 20.30 Ex Snia via prenestina 173

Rompiamo il silenzio mediatico che avvolge la situazione honduregna, drammatica dopo il colpo di stato del 28 giugno. Lo facciamo con le testimonianze dei compagni del Fronte di resistenza organizzato dai movimenti sociali del paese, con video, fotografie e narrazioni che ci mostrano la cruda realtà dimenticata dai mezzi di informazione mainstream.

La cena (con alternativa vegetariana) sarà in sottoscrizione al Fronte di resistenza (10€). A seguire musica latinoamericana per tutta la serata.

Promuovono: Comitato Carlos Fonseca., Ya Basta Moltitudia, CSOA EX Snia, Cantiere sociale Tiburtino, Associazione Italia-Nicaragua, Spazio sociale Ex 51, Horus liberato 2.0, Strike SPA, Centri sociali in Action.

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21 ottobre, 2009

MOBILITAZIONE A MILANO

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16 ottobre, 2009

NUOVAMENTE L'HONDURAS IN ITALIA (Padova)

HONDURAS 2009: TESTIMONIANZE DIRETTE DAL COLPO DI STATO

serie di incontri a Padova con due rappresentanti del Frente contra el golpe de estado

A cento giorni dal colpo di stato in Honduras,
il governo golpista sostenuto dalle élite economiche
locali e straniere mantiene il potere
tramite una forte repressione militare.
I movimenti sociali e i sindacati reclamano
la democrazia e una maggiore
partecipazione politica sviscerando le contraddizioni
tra diritti sociali e interessi economici.
La cronaca di un conflitto centroamericano.

venerdì 16 ottobre 2009 ore 18:30
Radio Cooperativa 97.2 Mhz
Eva e Melissa ospiti alla trasmissione ITACA

domenica 18 ottobre 2009 ore 18:00
presso Ass. Nicola Pasian
piazzetta Caduti della Resistenza, quartiere Palestro
incontro con Melissa e Eva
proiezione documentari
cena sociale

lunedì 19 ottobre 2009 ore 15:00
Università di Padova, Liviano aula 2
incontro dibattito con Eva e Melissa


Info: 349 126 79 09 (Nicola)
nicola_manno@libero.it

Promuove il Centro Studi Americanistici "Circolo Amerindiano"

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15 ottobre, 2009

17 ottobre 2009 Canti di Libertà ma in che razza de citt Roma!


VIDEO E FOTO SU http://snipurl.com/sin0e

Mi rivolgo alle donne e agli uomini che hanno riempito piazza del Popolo,
300.000 in un solo giorno, per la Libertà di Espressione, il 3 ottobre.
Mi rivolgo alle donne e agli uomini che hanno caminato in 30.000 a Roma
il 10 ottobre, contro l’omofobia.
Mi rivolgo a quelle migliaia di fedeli che riempiono Piazza San Pietro
tutte le domeniche, a Roma, e le chiese in Italia.
Mi rivolgo alle donne e agli uomini della Sinistra governativa che hanno
dato milioni di voti per la Democrazia.
Mi rivolgo al mondo studentesco tutto, che continua ad essere sfruttato e
offeso come il bene più prezioso che è la Cultura.
Mi rivolgo alle donne e agli uomini che chiedono aiuto a braccia
straniere per portare avanti la loro esistenza.
Mi rivolgo a chi và ai funerali per piangere i suoi e altrui morti.
Mi rivolgo a chi corre negli stadi, per una partita, un concerto, in
migliaia e pagando per lo Spettacolo.
Mi rivolgo a chi ama la Libertà, non quantificabile e non commerciabile.
Mi rivolgo alle persone confinate e senza confine, di tutte le fedi , a
quelle che non credono in niente, di venire a Roma, riempire la piazza e
le strade
per gridare che l’Italia è contro il razzismo il fascismo e la guerra,
non ha paura, lotta e difende il diritto di esistenza di chiunque, per
una dignità comune che ci siamo fatti strappare, giorno per giorno,
identificando chi dissente, chi non è nato nel nostro Paese, chi ci
viene ed è respinto, chi è accolto solo nelle carceri, chi è abbandonato
qualunque sia il sesso l’età e la provenienza, alla violenza, reale e
legale.

Dalla Sicilia,”sono partiti in nove lo scorso 30 settembre da Palermo,
due di loro sono stati piegati dalla stanchezza e dallo sforzo per il
viaggio: una lunga marcia sino a Roma che si concluderà sabato 17
ottobre alla manifestazione in Piazza della Repubblica. In queste
settimane, i nove marciatori della giusta speranza, due dei quali in
sciopero della fame da alcuni giorni, stanno lentamente risalendo
l’Italia per lanciare un grido d’allarme contro i fenomeni di xenofobia
e razzismo che covano nel ventre molle delle nostre città. In ciascuna
tappa del loro lento incedere, passando per Cosenza, Castelvortuno,
Rosarno e Caserta, le associazioni antirazziste hanno organizzato
incontri pubblici per dibattere sulla vera emergenza di questo paese,
che certo non sono i vari “pacchi e pacchetti sicurezza”, bensì il
proliferare di azioni di violenza razzista che hanno colpito le comunità
migranti che vivono in Italia. La marcia disperata di questi uomini, è
la nostra marcia, la marcia di tutti coloro che combattono per vedere
pienamente affermati i diritti dei cittadini stranieri, sistematicamente
calpestati da istituzioni sorde e, spesso compiacenti nei confronti dei
fenomeni d’intolleranza. La marcia disperata della giusta speranza si
concluderà a Roma in occasione della manifestazione per i diritti dei
lavoratori, in particolare degli immigrati. I marciatori, al termine
della loro fatica, incontreranno le migliaia di persone che, ci
auguriamo, saranno in piazza, da una parte, per dire un fermo no al
razzismo, no ai respingimenti, dall’altra, per chiedere accoglienza e
diritti per tutte e tutti”.

“Il 7 ottobre del 1989 centinaia di migliaia di persone scendevano in
piazza a Roma per la prima grande manifestazione contro il razzismo. Il
24 agosto dello stesso anno a Villa Literno, in provincia di Caserta,
era stato ucciso un rifugiato sudafricano, Jerry Essan Masslo”.

“Il nostro Paese ha gia’ vissuto la vergogna delle leggi razziali: non
possiamo e non dobbiamo dimenticarlo”.

Non bastano le firme, i clic sul computer, non basta diffondere i
comunicati, gli appelli: è necessario esserci, con il cuore la testa e
le gambe. Tante e tanti, come un fiume incontenibile, che non può essere
contato e ridotto in cifre.

Sveglia Libera Stampa e Media italiani, quando volete, siete capaci di
fare Miracoli di Comunicazione.

E sia chiaro, non è una passeggiata da ottobrata romana…Scrive oggi Gino
Ancona: “E il Potere trionfa sulla solitudine umana e la sua idiozia“…

“E nun sai più s’hai da ride o da tremà . Ma che razza de città? “ Roma!

Gira se la vuoi girà, canta se la vuoi cantà…

Doriana Goracci
“Aiutaci a cantare questi canti di libertà Che è ciò che ho sempre avuto,
canti di redenzione Ho avuto solo canti di redenzione Questi canti di
libertà, canti di libertà” da Redemption song Bob Marley

VIDEO FOTO SU http://snipurl.com/sin0e

17 OTTOBRE Manifestazione Nazionale Antirazzista
PERCORSO CORTEO:

CONCENTRAMENTO ore 14:00 Piazza della Repubblica
proseguirà per: Via Einaudi – Piazza dei Cinquecento – Via Cavour –
Piazza Esquilino – Via Liberiana – Piazza Santa Maria Maggiore – Via
Merulana – Via dello Statuto – Piazza Vittorio Emanuele – Via Emanuele
Filiberto – Viale Manzoni – Via Labicana – Piazza del Colosseo – Via
Fori Imperiali – Piazza Venezia – Via del Teatro Marcello – Via
Petroselli
CONCLUSIONE Piazza Bocca della Verità

http://www.17ottobreantirazzista.org/

Per Adesioni -Contatti

info@17ottobreantirazzista.org
stampa@17ottobreantirazzista.org

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Ricordando Thomas Sankara...


Nuova task force USA per intervenire in America latina

di Antonio Mazzeo

Negli stessi giorni in cui è stata ufficializzata l’assegnazione del premio Nobel per la pace al presidente Barack Obama, il Dipartimento della difesa degli Stati Uniti ha annunciato la costituzione di una nuova e potentissima task force aeronavale destinata a presidiare i mari del contiente latinoamericano. Si tratta del Carrier Strike Group CSG 1 e il suo comando operativo sarà attivato a San Diego (California). Come dichiarato dal Comando della III Flotta dell’US Navy che ne coordinerà gli interventi, “il CSG 1 sosterrà la strategia marittima nazionale, aiuterà nella promozione delle partnership regionali, farà da detterente alle crisi, proietterà la potenza militare USA, promuoverà la sicurezza navale e fornirà assistenza in caso di disastri naturali all’interno di una vastissima area di operazioni dell’Oceano Pacifico”. La prima missione della forza aeronavale prenderà il via nella primavera del 2010 e si realizzerà “nelle acque del Sud America”.

Imponente la potenza di fuoco del nuovo strumento di intervento militare statunitense. Al Carrier Strike Group saranno assegnati una portaerei a propulsione nucleare, cinque fregate e due incrociatori lanciamissili, un centinaio tra cacciaintercettori, aerei a decollo verticale ed elicotteri, più alcune navi appoggio e di trasporto gasolio e munizioni. La nave ammiraglia sarà la USS Carl Vinson (CVN 70), portaerei della classe “Nimitz”, 103.000 tonnellate di stazza e una lunghezza di 332 metri , dotata di due reattori atomici della potenza di 194 Mw. Armata con sistemi missilistici Mk 57 “Sea Sparrow”, nel 2005 la Carl Vinson ha operato per sei mesi nel Golfo Persico appoggiando le operazioni di guerra in Iraq. Successivamente la portaerei è stata sottoposta a complessi lavori di manutenzione presso i cantieri navali di Newport (Virginia), di proprietà della Northrop Grumman, il gigante del complesso militare industriale USA che ha prodotto i velivoli senza pilota Global Hawk che stanno per giungere nella base siciliana di Sigonella. I lavori alla Carl Vinson, completati qualche mese, hanno permesso la “modernizzazione dei sistemi di combattimento e delle capacità operative dei velivoli trasportati” e il “rifornimento degli impianti di propulsione nucleare necessario a prolungarne il funzionamento per altri 25 anni”. Il gruppo aereo che sarà trasferito a bordo della porterei sarà il Carrier Air Wing Seventeen (CVW-17), con base a Oceana (Virginia), sino al giugno 2008 operativo dalla portaerei USS George Washington. Il CVW è composto da cinque squadroni dotati di caccia F/A-18E “Super Hornet” ed elicotteri per la guerra aeronavale ed elettronica, l’intercettazione e la distruzione di unità di superficie, sottomarini, aerei e sistemi missilistici nemici. Le capacità belliche del gruppo di volo sono state ripetutamente utilizzate dal Pentagono in occasione della prima e della seconda Guerra del Golfo e, più recentemente, nel novembre 2007, durante la sciagurata controffensiva alleata a Fallujah (Iraq), quando furono eseguite sino a quaranta missioni di bombardamento al giorno.

Della nuova task force aeronavale faranno pure parte il Destroyer Squadron - DESRON 1, costituito da cinque fregate della classe “Oliver Hazard Perry” (tutte dotate di cannoni Oto Melara 76mm/62 e Phalanx CIWS, lanciatori per missili “SM-1MR” ed “Harpoon” ed elicotteri “SH-60 Seahawk Lamps III”) e dagli incrociatori USS Bunker Hill e Lake Champlian della classe “Ticonderoga”, equipaggiati con sistemi missilistici a lancio verticale “Mk. 41 VLS”, missili RGM-84 “Harpoon” e “BGM-109 Tomahawk”, quest’ultimi a doppia capacità, convenzionale e nucleare. Il Bunker Hill ha partecipato nel gennaio 2007 alle operazioni di bombardamento USA in Somalia in contemporanea all’invasione del paese da parte delle forze armate etiopi.

La proiezione della forza aeronavale nell’intero continente esalterà ulteriormente il ruolo assunto dall’US Southern Command - SOUTHCOM (il Comando Sud delle forze armate USA con sede in Florida), nella pianificazione della strategia politica e militare degli Stati Uniti verso l’America latina. Il Comando, in particolare, ha pubblicato nel 2007 un documento dal significativo titolo “US Southern Command - Strategy 2016 Partnership for the America”, in cui si delineano le ragioni e gli obiettivi della presenza militare statunitense nell’area per il prossimo decennio. Come evidenziato da Gabriel Tokatlian, docente di Relazioni Internazionali dell’Università San Andrés di Buenos Aires, si tratta del “piano strategico più ambizioso per la regione che sia mai stato concepito da diversi anni a questa parte da un’agenzia ufficiale statunitense”. Nelle pagine del report, SOUTHCOM si erge ad organizzazione leader, tra quelle esistenti negli Stati Uniti d’America, per assicurare “la sicurezza, la stabilità e la prosperità di tutta l’America”. Ampio il ventaglio degli obiettivi strategici da conseguire entro il 2016: tra essi, una “migliore definizione del ruolo del Dipartimento della Difesa nei processi di sviluppo politico e socioeconomico del continente”; la “negoziazione di accordi di sicurezza in tutto l’emisfero”; l’“attribuzione a nuovi paesi della regione dello status di alleato extra-NATO” (oggi lo è la sola Argentina); la “creazione e l’appoggio di coalizioni per eseguire operazioni di pace a livello regionale e mondiale”; l’identificazione di “nazioni alternative disponibili ad accettare immigrati” e “stabilire relazioni per affrontare il problema delle migrazioni di massa”. L’US Southern Command punta inoltre a sviluppare programmi continentali di “addestramento nel campo della sicurezza interna”; sostenere l’iniziativa di un “battaglione congiunto delle forze armate centroamericane per realizzare operazioni di stabilizzazione”; incrementare il numero delle cosiddette “località di sicurezza cooperativa” (si tratta di basi di rapido dispiegamento come quelle recentemente concesse alle forze armate USA dal governo colombiano di Alvaro Uribe).

In vista della riaffermazione egemonica delle forze armate USA in quello che da sempre viene considerato il “cortile di casa”, l’1 luglio 2008 è tornata ad essere operativa la IV Flotta dell’US Navy, disattivata dal Pentagono nel 1950.

Il quartier generale della IV Flotta è stato emblematicamente stabilito presso la stazione navale di Mayport, Florida, sede dell’US Southern Command, e il comando diretto della flotta è stato attribuito al comandante in capo dell’US Naval Forces Southern Command (NAVSO), la componente navale di SOUTHCOM. “ La IV Flotta opera di concerto con le componenti navali, sottomarine ed aree, le forze di coalizione e le Joint Task Forces di SOUTHCOM in una vastissima aerea geografica comprendente i Caraibi, il Centroamerica e il Sud America”, spiega Washington. “Con lo scopo di rafforzare l’amicizia e la partnership con i paesi della regione, la IV Flotta supporta direttamente la Strategia Marittima USA, conducendo principalmente le missioni di appoggio alle operazioni di peacekeeping, l’assistenza medica ed umanitaria, il pronto intervento in caso di disastri, la realizzazione di esercitazioni marittime d’interdizione e di addestramento militare bilaterale e multinazionale, l’azione anti-droga, la lotta al terrorismo internazionale e al traffico di persone”. A conferma dell’obiettivo di “militarizzare” ogni aspetto civile, sociale e di “cooperazione”, si puntualizza che per la pianificazione e l’esecuzione delle proprie missioni, la IV Flotta opererà “accanto alle organizzazioni non governative, alle agenzie che rappresentano le nazioni partner e alle organizzazioni internazionali”.

La riproposizione della politica delle cannoniere in Sud America e nei Caraibi risponde alla necessità di rafforzare il presidio delle rotte commerciali regionali, fondamentali per l’economia statunitense, e di protezione dell’accesso e del controllo delle grandi corporation sulle incomparabili risorse energetiche, minerarie ed idriche del continente. Il Pentagono non nasconde inoltre che le task force navali siano state costituite come forma di pressione politico-militare contro i governi più o meno progressisti che guidano ormai buona parte dei paesi del continente americano. La IV Flotta è risorta nel momento in cui si sono consolidate istanze di coordinamento politico, sociale ed economico regionale come Unasur, il Mercosur e l’Alba, ed è stato costituito il Consiglio di Difesa sud-americano, un organo di cooperazione tra le Forze Armate del continente che, tra ambiguità di fondo e latenti divisioni interne, ha tuttavia escluso la presenza statunitense.

Come successo in Africa con la costituzione del nuovo comando delle forze armate USA che sovrintende a tutte le operazioni nel continente (AFRICOM), i processi di militarizzazione dell’America latina sono stati accelerati per rispondere alla penetrazione economica e finanziaria della Cina. L’intercambio bilaterale del gigante asiatico con il continente ha raggiunto nel 2007 la ragguardevole cifra di 100 miliardi di dollari. Dall’aprile del 2009 la Cina è divenuta la principale partner commerciale del Brasile, il paese sudamericano con il tasso di crescita più rilevante, scavalcando nettamente gli USA. La Cina si sta affermando inoltre come il principale mercato di esportazione del Cile, il secondo di Argentina, Perù, Costa Rica e Cuba, il terzo di Venezuela e Uruguay. I settori d’intervento sono molteplici: innanzitutto quello petrolifero (Pechino ha assicurato un prestito per 10 miliardi di dollari all’impresa petrolifera brasiliana Petrobras ed ha investito diverse centinaia di milioni di dollari nei giacimenti di Caracoles e dell’Orinoco in Venezuela e di Talara in Perù); il minerario (zinco in Perù, ferro in Brasile, rame in Cile); l’industria agroalimentare (Argentina), meccanica ed elettronica (ancora Brasile, Perù, Uruguay e Cuba). Durante il primo anno di vita della Zona Franca di Nueva Palmira, sul Rio Uruguay, dove sono convogliate alcune produzioni agricole e forestali di Argentina, Brasile meridionale e Paraguay, la Cina compare come maggiore paese di destinazione finale delle merci (oltre 560.000 tonnellate, il 31% del totale, in buona parte soia e cellulosa). Tra i prodotti di alta tecnologia esportati al continente latinoamericano, ci sono pure i sistemi di tele-sorveglianza dei centri urbani. Il governo frenteamplista uruguaiano ha affidato alla ZTE Corporation di Pechino una commessa di 12 milioni di dollari per la fornitura di telecamere a circuito chiuso da installare in porti, aeroporti, piazze e strade del paese sudamericano.

Tra coloro che manifestano maggiore preoccupazione per l’avanzata economico-finanziaria cinese in America latina ci sono i manager dell’industria bellica statunitense. Sulla nota rivista del settore Air & Space Power Journal, nel novembre del 2006 è apparso un lungo articolo dedicato alla presenza del colosso asiatico in America latina, la cui pericolosa conseguenza sarà “la trasformazione dei porti del Pacifico” e il “cambiamento nella struttura economica con la perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero”. Ergo, gli estensori ribadivano il “diritto e il dovere” degli Stati Uniti di “vigilare sulle modalità con cui questo intervento si ripercuote nella salute pubblica, sociale ed economica dell’emisfero occidentale”. Roger Noriega, ex segretario di Stato per gli Affari dell’Emisfero Occidentale, ha dichiarato di fronte al Congresso che “gli Stati Uniti continueranno ad osservare da vicino la strategia cinese di avvicinamento all’America latina, in modo da assicurare che essa sia compatibile con il progresso registrato nella regione nell’affermazione della democrazia rappresentativa. Un progresso duramente guadagnato…”.

Ulteriore elemento di preoccupazione per Washington, gli accordi di cooperazione nel settore militare sottoscritti dalla Cina con paesi della regione, in particolare quello che ha visto l’invio di personale militare venezuelano in Asia per la formazione nella gestione dei satelliti di telecomunicazione. Motivo di allarme tra gli strateghi statunitensi anche la crescente presenza di società della Cina nei porti di Balboa e Cristobal, nel Canale di Panama. “Queste compagnie sono controllate da cinesi comunisti che hanno ottenuto un bastione nel Canale senza sparare un solo colpo, cosa che invece è costata lunghi sforzi al nostro paese”, ha dichiarato qualche tempo fa il portavoce del Comando SOUTHCOM. Attraverso il Canale di Panama transita attualmente il 5% del commercio globale e più dei due terzi delle imbarcazioni sono dirette a porti degli Stati Uniti. Un’importanza economica destinata a crescere ulteriormente adesso che hanno preso il via i lavori di ampliamento del sistema di chiuse per consentire il transito a navi fino a 366 metri di lunghezza e 50 di larghezza, capaci di trasportare fino a dodicimila container, o alle petroliere in grado di stivare sino ad un milione di barili di greggio. I lavori nel Canale di Panama saranno completati entro il 2014 e costeranno più di 5,25 miliardi di dollari. Ad aggiudicarsi una porta sostanziale delle commesse un consorzio guidato dall’italiana Impregilo.

Proprio nel Canale di Panama, meno di un mese fa si è tenuta una mega-esercitazione aeronavale (PANAMAX 2009) promossa dall’US Southern Command. “Un’esercitazione insostituibile per continuare ad assicurare la difesa di questo corridoio strategico e prevenire un ampio spettro di possibili minacce, inclusi gli atti terroristici”, ha dichiarato il colonnello Michael Feil, comandante di US Army South e direttore delle operazioni aereonavali nel Canale. “Le organizzazioni terroristiche transnazionali hanno come obiettivo quello di influenzare i paesi e convincerli ad opporsi alla partnership con gli Stati Uniti d’America. Attaccando il Canale di Panama essi colpiranno i beni che vi transitano e incoraggeranno i paesi ad ascoltarli”. “PANAMAX tiene insieme i paesi che sono d’accordo a sostenere lo sforzo per la sicurezza del Canale”, ha concluso il colonnello Feil. “I paesi partecipanti ne riconoscono il ruolo e l’importanza nel mantenere gli standard di vita e l’economia dei popoli della regione”.

All’importante esercitazione hanno partecipato 4.500 militari, 30 navi da guerra e decine di cacciabombardieri di Stati Uniti e venti nazioni straniere (Argentina, Belize, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Nicaragua, Olanda, Panama, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana ed Uruguay). PANAMAX è stata l’occasione perché la IV Flotta USA potenziasse sul campo capacità e funzioni, sperimentando tecniche d’intervento contro la pirateria navale e l’uso di velivoli senza pilota UAV. A conclusione di PANAMAX 2009, la IV Flotta ha ottenuto la pre-certificazione di Maritime Operations Center (MOC), il “congiunto di flessibilità e prontezza operativa”, necessari secondo la US Navy , per il “controllo delle missioni navali a livello bellico, d’intelligence, logistico e del settore delle telecomunicazioni”. “ La IV Flotta – spiega SOUTHCOM - può condurre da oggi l’intero spettro delle operazioni di sicurezza marittima in appoggio agli obiettivi USA di cooperazione che promuovono la costruzione di alleanze e impediscono i tentativi di aggressione”.

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14 ottobre, 2009

ROMA: PRESIDIO DAVANTI ALL'AMBASCIATA DELL'HONDURAS

per vedere le foto click QUI

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12 ottobre, 2009

Sit-in contro il golpe in Honduras

Tutti e tutte martedì 13 ottobre ore 17,30 sotto l'ambasciata dell'Honduras in Via Giambattista Vico n.40

IL 13 OTTOBRE TUTTI E TUTTE SOTTO L'AMBASCIATA DELL'HONDURAS
CONTRO IL GOLPE MILITARE-FASCISTA

Sono trascorsi oltre tre mesi dal golpe in Honduras finanziato e realizzato dalla cricca oligarchica del paese che detiene la totalità della ricchezza e del potere politico e militare.

Da quel 28 giugno, giorno in cui ha preso avvio il golpe e la successiva dittatura militare-fascista, si contano a decine le vittime, a centinaia gli arresti e le torture tra la popolazione civile che ogni giorno porta nelle piazze il suo coraggioso NO AL GOLPE.
La giunta golpista per tutta risposta ha sospeso ogni garanzia costituzionale e instaurato lo stato d'assedio attraverso il Decreto Esecutivo PCM-M-016-2009 del 26 settembre scorso, misura condannata duramente anche dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) in quanto “violatoria del diritto internazionale”.
Questo decreto permette di fatto alla polizia e all'esercito di entrare nelle case e arrestare chiunque sia sospettato di opporsi alla dittatura, avalla la chiusura di giornali e radio e ogni voce che critichi il regime golpista.
In questi tre mesi, le forze democratiche e popolari del paese, hanno costruito una resistenza che si esprime con manifestazioni di massa pacifiche pagando un costo di decine di morti e centinaia di arresti.
Il popolo e la resistenza honduregna lottano incessantemente in ogni momento, ma la fine della dittatura golpista sarà più vicina con la solidarietà internazionale.

Portiamo pertanto la protesta sotto le ambasciate dell'Honduras; chiediamo ai governi europei e a quello degli Stati Uniti di rompere definitivamente le relazioni diplomatiche e commerciali con la giunta golpista.

Tutti e tutte martedì 13 ottobre ore 17,30 sotto l'ambasciata dell'Honduras in Via Giambattista Vico n.40

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Con Bush od Obama i piani degli Stati Uniti per L’America Latina sono sempre gli stessi

Bollettini di CIEPAC

http://www.ciepac.org/boletines/chiapas_it.php?id=577

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Al via il tour in Italia con l'Honduras che resiste

Tre giorni con una rappresentante del Fronte nazionale contro il colpo di Stato

Da lunedì 12 a mercoledì 14 ottobre 2009 sarà presente in Italia Betty Matamoros, rappresentante del coordinamento generale del "Frente Nacional contro el Golpe de Estado", che riunisce le organizzazioni della società civile e i cittadini honduregni che si battono contro la dittatura di Roberto Micheletti, insediatosi come presidente il 28 giugno 2009, dopo aver costretto all'esilio forzato quello democraticamente eletto Manuel Zelaya.

Betty Matamoros - invitata nel nostro Paese dal Comitato "Honduras resiste" - è in Europa da metà settembre. La sua visita è nell'ambito di un'iniziativa che ha portato lei ed altri rappresentanti dell'opposizione honduregna ad attraversare il nostro continente per raccontare il dramma vissuto dal popolo honduregno, che la violenza del golpe ha forzatamente riportato indietro di 30 anni, agli anni Ottanta delle guerre civili. Quella di Betty Matamoros è la prima testimonianza diretta proveniente dal Paese centroamericano, e sarà l'occasione di fornire alla stampa notizie e testimonianze uniche.

Il Fronte nazionale contro il colpo di Stato, che coagula tutte le iniziative di resistenza a livello nazionale, si appella all'articolo 3 della Costituzione honduregna, che dice: "Nessuno deve obbedienza a un governo usurpatore e nemmeno a chi assume funzioni o posti pubblici attraverso la forza delle armi o usando mezzi o procedimenti che rompono o disconoscono ciò che questa Costituzione e le leggi stabiliscono. Gli atti compiuti da tali autorità sono nulli. Il popolo ha il diritto di ricorrere all'insurrezione in difesa dell'ordine costituzionale".

Conferenza stampa lunedì 12 ottobre, alle 12.00,
presso la sede dell'associazione Mani Tese

Intervengono:
Betty Matamoros, Frente Nacional contra el Golpe de Estado, Honduras
Angelo Miotto, caporedattore dell'agenzia web e del mensile PeaceReporter

Per info:
resistehonduras@gmail.com
resistehondurasita.blogspot.com

Altri appuntamenti:
lunedi 12 - Radio Onda d'Urto (Brescia) e cs 28 maggio (Rovato)
martedi 13 - (Torino) università degli studi e cs Gabrio
mercoledi 14 - facoltà di mediazione culturale (Sesto San Giovanni) e cs Cantiere (Milano)

__________

Chi è Betty Matamoros
Betty Matamoros Flores, membro del coordinamento del "Frente Nacional contra el Golpe de Estado in Honduras" (contraelgolpedeestadohn.blogspot.com), è un'educatrice, con una notevole esperienza politica e di mediazione. Ha collaborato come facilitatrice per la "Escuela Para Padres Centroamericana", centro di aiuto per i genitori. Si è impegnata nella formazione politica delle donne, e ha maturato esperienze in El Salvador alla "Escuela Metodologica Nacional en Educacion Popular". È la rappresentante del Frente Nacional contra el Golpe de Estado nei rapporti con la Alianza Social Continental, rete sociale che coordina più di cento organizzazioni latinoamericane.

Promuovono
Comitato "Honduras resiste": Associazione Italia-Nicaragua, Collettivo Italia-Centro America, Centro sociale Cantiere, Selvas.org

vedi anche QUI IL PROGRAMMA:

* 12-14 ottobre: l'Honduras in Italia!

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11 ottobre, 2009

Intervista esclusiva con il presidente Manuel Zelaya

Il popolo della resistenza deve continuare il suo percorso verso la Costituente

[Traduzione a cura di www.cantiere.org]

Di fronte all'impossibilità di accedere alle strutture dell'Ambasciata del Brasile, presidiata giorno e notte da un impressionante assedio militare e isolata per espressa volontà del governo di fatto, per Sirel, la Lista Informativa “Nicaragua y más” e altri mezzi di comunicazione in Italia, Catalogna, USA, Argentina e Venezuela otteniamo una intervista telefonica in esclusiva con il presidente costituzionale dell'Honduras, Manuel Zelaya Rosales.

Il processo di dialogo, il percorso verso l'Assemblea Costituente, la violazione dei diritti più elementari del popolo honduregno, il ruolo della comunità internazionale, il processo elettorale, tra gli altri, le questioni discusse durante l'intervista.

- La scorsa settimana ha avuto diversi incontrato a livello nazionale ed internazionale. Qual'è la situazione attuale del processo di dialogo?

Il dialogo non è sincero da parte del governo di fatto perché permane un assedio militare, mi hanno mandato solo persone affini a loro e membri della comunità internazionale, come i membri dell'Osa, del Canada e deputati del Brasile.

Non posso parlare con i membri della Resistenza, del mio Gabinetto, con gli imprenditori e i religiosi. Non permettono visite, disturbano le telefonate e per parlare con voi devo chiudermi in una stanza con le pareti di alluminio per poter comunicare chiramente. Hanno anche decretato la sospensione delle garanzie costituzionali per 45 giorni e hanno chiuso i mezzi di comunicazione.

La gente vuole il dialogo, ma il regime continua la repressione e non è nè onesto nè aperto, ma tutto il contrario.

- Cosa ci si aspetta dalla visita di dell'Osa prevista per questa settimana?

I ministri degli Esteri potrebbero correre un grande rischio di burla e derisione se non vengono determinati a firmare il Piano Arias. La visita deve avere questo obiettivo, perché se si dovesse trattare solamente di continuare a discutere bizantinamente temi infiniti, i governi americani perderebbero molta della loro credibilità.

- Lei ha accettato di firmare il piano Arias o accordo di San José, in cui non è contemplata la principale richiesta del Fronte Nazionale Contro il Colpo di Stato, cioè l'inizio di un processo per arrivare alla nascita di un'Assemblea Costituente. Ciò suppone un cedimento da parte sua?

Chi va a firmare il Piano Arias sono io come rappresentante eletto del popolo honduregno. Il Piano ha due componenti: il mio ritorno per dire di no al Colpo di Stato, che è ciò che interessa ai presidenti latinoamericani per sentirsi sicuri che si rispetterà la sovranità del popolo e che non si sostituirà la volontà del popolo con una elite militare, economica e politica.

Il secondo componente rappresenta i processi e le riforme sociali, ed ha a che fare con il tempo. Io mi sono impegnato a non prendere alcuna iniziativa in questa senso prima delle elezioni, ma ciò non vuol dire che i processi si arresteranno. Io non ho mai programmato l'Assemblea Costituente perchè si sviluppasse durante il mio governo, ma nel prossimo governo in cui non sarò più il Presidente.

La Costituente non è una facoltà del Presidente o del regime di fatto, o di qualsiasi altro gruppo. Si tratta di un potere del popolo honduregno che, attraverso una consultazione popolare, può determinare quando si farà. Per questo la firma del Piano Arias è coerente con la mia posizione nei confronti delle riforme che devono continuare.

- Quale relazione mantiene con la Resistenza?

La Resistenza mi accompagnava prima del colpo di stato per fare la consultazione popolare sulla Costituente, ma la decisione di fare una Costituente in Honduras spetta al popolo che è sovrano. Se qualcuno un giorno vorrà farlo dovrà cominciare con una consultazione popolare, come ho fatto io.

Quando sarà, dovrà determinare i meccanismi legali per presentare un disegno di legge al Congresso Nazionale che sia di carattere obbligatorio. Ma il Piano Arias è un piano di emergenza per superare una crisi di uno Stato di fatto, che allo stesso tempo non paralizza i processi sociali, né tanto meno può fermare ciò che significa la volontà del popolo sovrano.

Questo accordo è qualcosa che firmo con il fine di ripristinare la democrazia nel paese e che non viola tutte le dichiarazioni che ho fatto al popolo.

Il 90 per cento della battaglia è stata vinta dal popolo dell'Honduras e la comunità internazionale, e sono fiducioso che in due settimane il problema sarà totalmente risolto a beneficio della pace che merita il popolo, che non può continuare in questo baratro economica ed in una situazione di ingovernabilità in tutto il paese.

- Il Decreto Esecutivo ha innescato una maggiore repressione contro i diritti delle persone ed attualmente la sua abrogazione è uno dei punti nell'agenda della negoziazione. Pensa che sia stata una strategia della destra nazionale ed internazionale, per sviare il tema principale che è il Colpo di Stato?

Questo Decreto è l'abuso di potere più grande nella storia dell'Honduras. E' inaudito. Esisteva solo ai tempi di Caligola o Nerone e dei grandi dittatori della preistoria della civiltà. E' intollerabile e l'umanità intera deve esigere dal dittatore il ritiro di questo decreto.

- Quando le sarà restituita la Presidenza, come potrà governare con le istituzioni controllate di settori che hanno pianificato ed eseguito il colpo di stato?

Il principio fondamentale della democrazia è la divisione dei Poteri. Quando un Potere è subordinato ad un altro non c'è democrazia.

Nella mia amministrazione, il Congresso e la Corte Suprema Giustizia sono sempre state contro di me, cospirando fino ad unirsi per dare vita al colpo di stato. Così non torno in nessun paradiso, ma nella stessa situazione che ho vissuto per più di tre anni e mezzo, ma con una lezione imparata, cioè che i colpi di stato non sono autorizzati in democrazia, mentre lo sono il dibattito pubblico e il dialogo pacifico.

- Che ruolo hanno avuto le Forze Armate nel colpo di stato?

Le forze armate si sono unite all'élite economica in una maniera irregolare, per soddisfare un ordine della Corte di Giustizia dopo la mia decisione di togliere il mandato al generale Romeo Vasquez Velasquez.

Quando la Corte ha violato tale decisione e lo ha reintegrato c'è stata la prima incostituzionalità e il primo passo per il colpo di stato.

- Ci sono settori internazionali che hanno sostenuto il golpe?

Sicuramente sono venute persone da fuori per sostenere il golpe, ma la sua origine è l'ambizione di un gruppo economico che governa e che oggi vuole monopolizzare non solo l'economia ma i tre Poteri dello Stato. Questa è ambizione pura e cruda, ed hanno approfittato di questa circostanza per incolpare il Venezuela, il comunismo, per dire che la Costituente è un crimine. Un sacco di speculazioni per trovare una giustificazione al colpo di stato.

- Oggi siamo stati alla sepoltura del maestro Mario Fidel Contreras, un'altra vittima della repressione. Sono valsi la pena tutti questi sacrifici?

I diritti umani sono una nuova conquista dell'umanità, hanno molte affermazioni e sono riconosciuti da tutti i paesi del mondo, e possono essere difesi solo in regimi democratici, dove c'è trasparenza, partecipazione e dove il popolo sia rispettato come sovrano.

La battaglia che l'Honduras sta combattendo è per il rispetto della sovranità popolare ed è una battaglia che va al di là della nostra frontiera. Se falliremo il mondo avrà perso e dovremo aspettare decenni prima di tornare a non permettere il ritorno alla violenza e al Colpo di Stato per fermare i processi politici.

In questo senso, i martiri ed il sangue che si sta spargendo, lo sforzo del popolo ed il rischio che io e la mia famiglia ci siamo assunti è per lasciare impronte nell'umanità, al fine di far valere di più i principi che gli interessi particolari.

Nessuno sforzo sarà vano se otterremo il risultato sperato, anche perché il risveglio del popolo honduregno già ha un valore inestimabile nella nostra storia. La gente si è tolta la benda dagli occhi e le élites economiche si sono tolte la maschera. Così oggi siamo in grado di sederci intorno a un tavolo per parlare della realtà con tutte le parti per raggiungere una conciliazione ed un accordo.

Ci dispiace che i morti ed i sacrifici li abbia dovuti mettere il popolo, mentre i golpisti continuano nei loro banchetti godendo di una usurpazione del potere che il mondo condanna.

- Resteranno impuniti i crimini della dittatura?

Tempo fa sono stato in Cile e in Argentina, dove si stavano processando i colpevoli dei crimini delle dittature dei decenni passati. Questi crimini non saranno mai dimenticati e la storia, il popolo e la legge non li lasceranno impuniti.

- I candidati alla presidenza dei partiti tradizionali non hanno chiesto il suo ritorno ed apparentemente si preoccupano solo delle elezioni. Come vede questa decisione?

Sono un democratico. Ho partecipato a dodici processi elettorali in 30 anni.

Un Presidente non può essere imposto da una cupula militare od economica. Credo nelle elezioni come meccanismo per risolvere i conflitti più importanti in una nazione. In questo senso il mio ritorno garantisce le elezioni di novembre, permette al popolo di trovare una via pacifica e democratica.

Quelli che non vogliono un processo elettorale pulito e trasparente e che non credono nel sistema elettorale e politico sono quelli che hanno voluto il colpo di Stato, che hanno imposto la repressione contro il popolo, che hanno chiuso i media affinchè non abbia rivali, che hanno limitato le libertà civili.

Il mio ritorno garansce le elezioni e se non mi lasceranno tornare la comunità internazionale e la gente non deve riconoscere questi risultati.

Coloro che sono veramente interessati siamo noi, mentre coloro che sono interessati a distorcere il processo elettorale per rimanere al potere e destabilizzare il paese sono quelli che stanno con la dittatura.

- Presto scadrà l'ultimatum per il Brasile affinchè definisca il suo status, essendo voi all'interno della loro ambasciata in Honduras. Qual'è la sua opinione a riguardo?

Il mio stato è di Presidente eletto dal popolo. Bisognerebbe chiedere meglio a Micheletti qual'è il suo status e chi lo ha nominato Presidente. I presidenti vengono eletti dal popolo e la Costituzione dice che in loro assenza assoluta, che significa in caso di loro scomparsa fisica, deve esserci una successione presidenziale.

Tuttavia essendo il presidente qui con la protezione del Brasile, come può esserci un altro presidente? Io sono qui con uno status di Presidente riconosciuto dal Brasile che mi sta dando protezione affinchè non perda la vita di fronte alle imboscate e alle minacce di questo regime.

- Lunedì 5 settembre, si compiono i 100 giorni di resistenza contro il golpe. Che messaggio vuole inviare?

Ringrazio il popolo honduregno e resto inamovibile. E' stata una resistenza eroica e chiediamo la riapertura di Radio Globo e di Canal 36, l'abrogazione del decreto esecutivo e la fine della repressione. Chiediamo alla comunità internazionale di essere inflessibile con i dittatori durante la visita dei ministri degli Esteri dell’Osa.

(Testo e Foto Giorgio Trucchi - Lista Informativa "Nicaragua y más" di Associazione Italia-Nicaragua www.itanica.org)

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07 ottobre, 2009

AGUSTINA FLORES LIBERA!!!

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05 ottobre, 2009

HONDURAS: UN APPELLO CONTRO IL GOLPE

1 ottobre 2009 |
Il golpista Roberto Micheletti continua a violare i diritti umani, mentre il presidente Manuel Zelaya è rifugiato in condizioni precarie nell’ambasciata del Brasile. E’ ora di mobilitarci! Di Gianfranco Mascia

Qualche giorno fa in Honduras il governo golpista di Roberto Micheletti ha emesso un decreto che sospende la libertà di espressione, proibisce le manifestazioni di protesta e promette di intervenire sui mezzi di comunicazione se questi possano “pertubare la pace”. E’ solo l’ennesimo atto totalitario di un regime che sta dimostrandosi in tutto il suo splendore: antidemocratico e autoritario.

Manuel Zelaya, il presidente democraticamente eletto, nei giorni scorsi ha riacceso le speranze del popolo honduregno, tornando nel suo paese dopo essere stato abbattuto da un golpe militare il 28 di giugno. Ma il presidente del regime golpista, Roberto Micheletti, sta mostrando i muscoli.
Zelaya ha scelto di rifugiarsi all’ambasciata del Brasile nella capitale Tegucigalpa, ed immediatamente migliaia di honduregni hanno scelto coraggiosamente di dimostrargli il loro appoggio dirigendosi verso l’ambasciata.

Ma, a quel punto, i militari sono intervenuti in modo deciso isolando completamente l’ambasciata brasiliana, tagliando le linee telefoniche, l’energia elettrica e l’acqua potabile; mettendo a repentaglio la vita di Zelaya, dei suoi famigliari, dei diplomatici brasiliani e degli honduregni presenti. E gli honduregni che hanno disobbedito al coprifuoco imposto dal governo illegittimo sono stati dispersi con gas lacrimogeni e potenti getti d’acqua sparati dai cannoni.

Oltre a questo Micheletti ha annunciato che entro 10 giorni l’ambasciata brasiliano perderà la sua immunità diplomatica.

Ricordo che il regime golpista di Micheletti continua a violare i diritti umani elementari, con l’imposizione di coprifuoco illegali, perquisizioni nelle case senza mandato, detenzione arbitraria di persone inclusi minori di età, torture fisiche e psicologiche, uso di armi da fuoco per disperdere le manifestazioni pacifiche e continuo sabotaggio e minacce ai mezzi di comunicazione indipendenti.

E’ ora di far sentire alta la voce internazionale.

Per questo è importante firmare e far circolare l’appello del Servizio Internazionale Crisaiano di Solidarietà con i Popoli dell’America Latina, intitolato a Oscar Arnulfo Romero.

L’appello, che è stato tradotto dagli amici del “Centro Studi Juan Gerardi” di Ravenna, invita anche ad inviare coperte, farmaci, ausili ortopedici, che saranno utilizzati per le operazioni sulle persone ferite, dal momento che i golpisti controllano l’uso dei medicinali e degli strumentari chirurgici.

Mobilitiamoci adesso e facciamo sentire alta la voce di noi europei in solidarietà col popolo dell’Honduras e contro il golpe di Micheletti.

.FIRMA L’APPELLO

.*Comunicazione Sinistra e Libertà

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