20 luglio, 2007

Centro America ed Ue negoziano sul commercio. In gioco i servizi (e la concorrenza agli Usa)

da Liberazione del 19.07.2007
di Luca Martinelli

Pronti, via: a fine giugno sono iniziati a Bruxelles i negoziati per l'Accordo di associazione (Ada) tra l'Unione Europea e i Paesi centro americani. I rappresentanti di Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua e Panama sono pronti a sedersi di fronte ai negoziatori della Commissione europea e, da pari a pari, firmare l'apertura delle proprie frontiere a prodotti, imprese e, soprattutto, capitali provenienti dall'Ue. Per Bruxelles è la solita rincorsa agli Stati Uniti d'America. Dieci anni fa l'Europa avviò i negoziati per un accordo di libero scambio con il Messico per rispondere al Nafta (North America Free Trade Agreement, l'accordo di libero scambio tra Canada, Messico e Usa). Oggi l'Ada nasce come risposta europea al Cafta (Central America Free Trade Agreement), ratificato nell'ultimo anno e mezzo da tutti i Paesi della regione eccetto il Costa Rica, dove a inizio ottobre si svolgerà un referendum, e sarà la popolazione locale a decidere il "Sì" o il "No" al Trattato. Peter Mandelson, il commissario europeo al commercio, l'ha detto in modo esplicito: il modello dell'Accordo di associazione è quello del Cafta. Non ama i giri di parole l'uomo che si trova a fare i conti con la crisi irreversibile dei negoziati multilaterali in sede Wto, e ha scelto di rispondere avviando negoziati bilaterali con l'America Centrale, la Comunità andina di nazioni (Can), l'Asean (l'associazione delle nazioni del Sud-est asiatico). I primi effetti del Cafta sono sulla bocca di tutti: per tutto il Centro America il 2006 passerà alla storia come l'anno peggiore negli ultimi dieci per la bilancia commerciale nei confronti degli Stati Uniti d'America. In El Salvador a un anno dal Cafta il deficit commerciale è cresciuto del 24%, provocando la perdita di 93 mila posti di lavoro solo nel settore agricolo. Nell'ultimo anno prima dell'entrata in vigore dell'accordo di libero commercio con gli Usa, El Salvador aveva un surplus commerciale di 135 milioni di dollari con gli Usa che nel 2006 è diventato un deficit di 300 milioni. Il Guatemala, per il quale gli Stati Uniti sono il principale socio commerciale, si ritrova con un deficit commerciale di 415 milioni. Stesso discorso vale per l'Honduras, passato da un surplus commerciale di 500 milioni di dollari nel 2005 a uno di 25 nel 2006. Il paradosso vero è che l'unico Paese centroamericano ad aver aumentato nell'ultimo anno la propria quota di esportazioni verso gli Stati Uniti d'America è il Costa Rica, che il Cafta non lo ha ratificato. L'Unione Europea non ha interesse a una guerra con gli Usa sul terreno delle merci, - l'interscambio commerciale con il Centro America è una briciola dell'economia Ue - quanto a conquistare quel settore dei servizi. La svendita di comparti strategici per le economie nazionali come la generazione dell'energia idroelettrica, la costruzione e gestione di autostrade, la gestione del servizio idrico nelle città più importanti e già iniziata, e le aziende dell'Unione Europea - dalle spagnole Endesa e Union Fenosa alle italiane Astaldi, Colacem ed Enel - non stanno a guardare. L'Accordo di associazione darebbe senz'altro "quella spinta in più". Il presidente messicano Calderòn ha ridato vita all'idea di un Plan Puebla Panama, un piano di infrastrutture -stradali, energetiche, ricettive - finanziato dal Banco interamericano di sviluppo per creare un cerniera, un ponte, tra il Sud del Messico e la Colombia. E alcune aziende italiane, come avvoltoi, puntano a spartirsi gli appalti: Astaldi sarebbe in pole position per realizzare un (contestatissimo) progetto idroelettrico in El Salvador, El Chaparral, il cui costo stimato è di 141 milioni di dollari. E in Honduras la stessa azienda, attraverso la filiale Astaldi Columbus, ha firmato con l'Insituto hondureño de Turismo (Iht) il contratto per iniziare i lavori del complesso turistico "Laguna de los Mycos", un ecomostro che avrà un impatto ambientale devastante nella Bahia de Tela. Il progetto, finanziato dal Banco interamericano e dalla Banca centro americana di integrazione economica (Bcie), prevedere la realizzazione di 2 mila appartamenti, 6 multi-residence per un totale di 168 ville; e ancora: centri commerciali, parchi tematici e per finire, un campo da golf. Il tutto su oltre 300 ettari di laguna, che verranno riempiti con sabbia prelevata dal mare. La zona è abitata dai garifuna, una popolazione afrodiscendente tenacemente in lotta per difendere la sua terra. A nulla sembra valere la Costituzione, che all'art. 346 riconosce che «è un dovere dello Stato dettare norme a protezione dei diritti e degli interessi delle comunità indigene esistenti nel Paese, e in special modo delle terre e dei boschi dove queste risiedano», né che l'Honduras abbia ratificato l'Accordo dell'Organizzazione internazionale del lavoro sui diritti dei popoli indigeni e tribali. Il 70 per cento del territorio dei garifuna è già in mano a privati. E' proprio in questo "paradiso terrestre" dove il prossimo 20 settembre torna per il secondo anno l'Isola dei famosi: la costa Atlantica dell'Honduras sarà in vetrina davanti a milioni di spettatori. Un palcoscenico invidiabile per una zona in cui, tra qualche anno, i nostri connazionali potranno volare e far vacanza come a Tropea, in un villaggio turistico rigorosamente italiano. * Mani Tese, autore de "I colori del mais. Società, economia e risorse in Centro America" (EMI, 160 pagine, 10 euro)

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