13 agosto, 2008

EUROSIÓN: RETORNO O TRASTORNO?

di Roberto Quesada (*)

La legge (Direttiva del Rientro) è stata promulgata con sconcertante impunità, che risulterebbe inspiegabile se non fossimo abituati a venir divorati e a vivere con la paura.
Eduardo Galeano

Uscivo da una di quelle belle riunioni delle Nazioni Unite per un mondo migliore, senza sapere quello che accadeva nel mondo disunito, quando qualcuno mi ha informato della Direttiva del Rientro che l’Unione Europea aveva appena approvato. Sono arrivato al nostro Dipartimento e la segretaria mi comunica che mi ha cercato il direttore dell’Istituto Cervantes di New York, Eduardo Lago.
Entro nel mio ufficio e siccome non avevo digerito quello che mi avevano raccontato - perché giuro che non avevo avuto tempo di vedere alcun notiziario come di solito succede ai diplomatici delle Nazioni Unite, e più è importante il diplomatico meno informato è su quanto succede fuori dai nostri begli uffici - allora mi sono seduto sulla poltrona, ho reclinato la testa, ho chiuso gli occhi e mi sono messo a pensare. Sì, è così, il mestiere dello scrittore e quello del diplomatico si somigliano, entrambi hanno bisogno di tempo per pensare.
Dopo pochi secondi ho aperto gli occhi e ho visto che sul foglietto giallo (giallo!) che mi aveva lasciato la segretaria, si leggeva: “dott. Quesada: dall’Istituto Cervantes di Spagna, richiami urgentemente il direttore Eduardo Lago”. E siccome nel tragitto dal palazzo delle Nazioni Unite al mio ufficio il nuovo ambasciatore del Nicaragua, Mario Castellón, mi aveva informato della decisione dei 27 paesi europei che formano l’Unione di applicare la Legge del Rientro, il mio cuore si è messo a “palpitare più veloce che mai”, come si legge sulle riviste rosa in Spagna.
Come scrittore, diplomatico ed ex-accademico, sapevo che era poco quello che potevo fare. Poco o niente. E ho cominciato a sentirmi male fisicamente, e intanto mi sfilavano davanti agli occhi le cose buone e cattive che mi erano accadute in Spagna (Dopo vi racconterò cosa è successo in questa telefonata col direttore dell’Istituto Cervantes).
Le cose buone sono di più, ma per uno scrittore quelle cattive sulla letteratura hanno sempre la priorità, e la peggiore fra queste è che nel 2000, anno in cui è apparso il mio romanzo Big Banana col marchio spagnolo Seix Barral, diretto allora da Basilio Baltasar, la casa editrice decise di sostituire Baltasar come direttore con Adolfo García Ortega. La pubblicazione di Big Banana, disgraziatamente, cadde in questa linea divisoria.
L’ingenuità e sincerità (a volte penso che la sincerità sia un prodotto dell’ingenuità) mi ha portato lontano, lontano dal successo, dal denaro, e questo mi è capitato con Seix Barral. García Ortega cancellò tutte le opere che si sarebbero pubblicate sotto la direzione di Baltasar, ma con Big Banana era troppo tardi. Rassegnato accettò la sua pubblicazione e che gli fosse apposto il marchio Seix Barral.
Non so se García Ortega lo fece per cancellare qualsiasi traccia che ricordasse che Basilio Baltasar mi “aveva scoperto” in Spagna o perché gli ero antipatico per la mia fedeltà a Baltasar, comunque alla fine chi ne ha pagato le conseguenze è stato il romanzo Big Banana. Sia come sia, questo è il primo spagnolo col quale mi è accaduto qualcosa di negativo, forse ce ne sarebbero potuti essere altri nel passato, però 500 anni fa io ancora non ero nato.
Con García Ortega “persi l’innocenza” riguardo al fatto che tutti gli spagnoli fossero buoni, buonissimi, dato che quelli che avevo conosciuto in Honduras erano gli stessi che dicevano messa, che erano vicini a Dio, e che ci avevano illuminato il cammino affinché smettessimo di andar pregando il Dio del Mais, il Dio della Pioggia, il Dio del Sole, e ci diedero un Dio più attuale, moderno. Esseri umani amorevoli.
Molti latinoamericani, come me, hanno ingenuamente creduto che ogni europea, che ogni europeo, fosse nobile. Non tutti, certo, ma ricordiamoci sempre che sono essere umani come noi. E allo stesso modo non tutti sono intelligenti e/o educati, ce ne sono di ogni guisa e per tutti i gusti. Nel caso della Spagna, che per fatto (o misfatto) storico è più vicina ai latinoamericani, ci sono di quelli che difendono il razzismo e a loro volta subiscono la non conoscenza (amnesia?) storica dei selvaggi che li hanno governati e degli indios che quelli hanno “conquistato”.
Questo umanesimo europeo da cui siamo sempre tanto dipesi noi latinoamericani, brilla ancora di più perché è sempre stato messo in relazione agli Stati Uniti. Ed è probabile che l’inasprimento delle leggi anti-immigrati in Europa sia più rivolto e più applicato agli africani che ai latinoamericani. Proprio come succede negli Stati Uniti, dove le leggi sono per tutti, ma in realtà si applicano meno nei confronti degli europei illegali e sono rivolte essenzialmente ai vicini del Sud. O chissà, forse è semplicemente una legge anti-immigrati contro il terzo mondo, ovunque questo mondo terzo possa trovarsi.
Molti dei paesi che formano la UE furono imperi, e magari qualcosa di questo permane in alcuni. Consolidandosi come Comunità con un’unica moneta, una volta rafforzata quest’ultima, può darsi che ci sia chi sogni il ritorno dell’impero, ma stavolta in blocco. E la legge del rientro può essere l’inizio dell’espulsione degli schiavi della Terra, perché possono anche ararla, la terra, ma gli si ricorda che non gli appartiene.
Per iniziare a testare il polso a questa situazione della legge anti-immigrati, nessuno può raccontarlo meglio del poeta salvadoregno, naturalizzato spagnolo, Carlos Ernesto García. Ho telefonato a García a Barcellona, perché mi fornisse il suo punto di vista. Capii immediatamente che per lui non era una domanda facile, so che deve muoversi tra due patrie, sua moglie e sua figlia sono spagnole al cento per cento. E per lui tutto ciò si deve soprattutto al fatto che l’Europa sta affrontando una crisi, una crisi che non viene pubblicizzata ma che è evidente per il semplice fatto che da anni la disoccupazione è in crescita costante.
D’altro lato García assicura che esiste una sorta di “anti-immigrazione amorevole”, come nel caso della Spagna, dove c’è tolleranza verso gli immigrati e perciò gli si chiede di uscire volontariamente e li si paga per quattro anni come se stessero lavorando nel Paese. Ha promesso di inviarmi qualche documento che confermi tutto aspetto. Lo sto ancora aspettando.
La fedeltà latinoamericana nei confronti della Spagna si evince da quella volta in cui il Re ha detto il suo famoso “Ma perchè non stai zitto!” al presidente venezuelano Hugo Chávez. Immediatamente hanno fatto sentire la loro voce intellettuali come Mario Vargas Llosa (la cui opinione vale un po’ di più perché è spagnolo-peruviano), e il messicano Carlos Fuentes che ha levato il grido al cielo inveendo contro Chávez, neanche gli avessero toccato la Madonna di Guadalupe. Magari levino il grido al cielo anche contro questa legge dell’eterno rientro.
Uno che è stato sempre un passo avanti rispetto alle giuste cause latinoamericane è senza dubbio Eduardo Galeano, che nella cerimonia in cui è stato dichiarato Cittadino Illustre del Mercosur, davanti a diplomatici di vari paesi iberoamericani, si è mostrato molto critico sulla Direttiva del Rientro, approvata lo scorso 18 giugno dal Parlamento Europeo.
“L’Europa ha approvato da poco la legge che trasforma gli immigrati in criminali. Paradosso dei paradossi,” ha detto. “L’Europa, che per secoli ha invaso il mondo, sbatte la porta sul naso degli invasi una volta che questi ricambiano la visita”.
Per chiudere l’argomento torniamo alla telefonata che mi ha fatto il direttore dell’Istituto Cervantes, Eduardo Lago. Ero molto preoccupato, nella mia mente aveva cominciato a rimbalzare “il rientro”, “il rientro”, “il rientro”. E, come ho detto prima, il mio cuore si è messo a palpitare più veloce che mai. Ero terrorizzato, a nessuno piace far rientro così di colpo, da un giorno all’altro. Che cosa avrei mai fatto? Ho un figlio catracho (honduregno), un altro gringuito (Made in New York), moglie hondu-gringa.
Ho tremato perché molte delle nostre famiglie latinoamericane, in questo caso honduregne (e la mia non è un’eccezione), sono state educate con l’idea che siano originarie dell’Europa, in particolare della Spagna. Siccome ancora non mi ero informato sulla legge del rientro, pensavo che quella telefonata del direttore dell’Istituto Cervantes fosse, più che per comunicarmi, per ordinarmi che era tempo di tornare a casa per decisioni superiori, tempo dell’inatteso ritorno alla nostra lontana Andalusia, da dove dicono che provengano i Quesada. Ma no, che sollievo, Eduardo mi chiamava per invitarmi a un incontro sulle mie opere il prossimo 21 di novembre.
Che spavento!
New York, N.Y. 7 luglio 2008
robertoquesada@hotmail.com
Traduzione di David Iori
* Roberto Quesada: scrittore e diplomático honduregno, autore di vari libri, fra i quali: El desertor (1985), Big Banana (Seix Barral), Nunca entres por Miami (Mondadori) Los barcos (Baktún), La novela del milenio pasado (Tropismos, Salamanca), è il delegato per l’Honduras alle Nazioni Unite. Un suo racconto è presente nell’antologia Voci Migranti - storie di esili e di esiliati (Marotta & Cafiero editori) curata da Marco Ottaiano

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