22 novembre, 2009

Rappresentante del Frente de Resistencia contra el golpe en Honduras: Betty Matamoros a Torino - 1a parte

Incontro con Betty Matamoros,
rappresentante del Fronte Nazionale contro il Colpo di Stato in Honduras

Università di Torino - Palazzo Nuovo - 13 ottobre 2009

Grazie e buongiorno per essere qui presenti. Per noi è un piacere che vogliate ascoltare e capire quanto è successo in Honduras. Sappiamo che le informazioni che ricevete non sono tutte attendibili rispetto a ciò che realmente sta capitando.

Mi chiamo Betty Matamoros. Appartengo al Bloque Popular, una coalizione d’organizzazioni di diverso tipo: dai contadini, operai, agli studenti, giovani, una serie di organizzazioni nate nel 2000 in seguito ai trattati commerciali con gli Stati Uniti.

A partire dal 28 giugno, data del colpo di stato in Honduras, avviene la formazione del Fronte Nazionale contro il Colpo di Stato, anch’esso una coalizione di organizzazioni tanto popolari, quanto di artisti ed intellettuali che si erano fino ad allora mantenuti un po’ ai margini di ciò che accadeva nel paese. Vi sono gli indigeni, i neri, ed anche alcuni settori che fino a quel momento avevano partecipato pochissimo (senza volerne sottovalutare il lavoro), come i partiti politici: ad esempio vi è una parte del Partito Liberale che è contro il colpo di stato, il Partito Socialdemocratico, il Partito di Unificazione Democratica, che è l’unico partito di sinistra. Inoltre una candidatura indipendente del Movimento Popolare.

Vi racconto un po’ di storia dell’Honduras. Siamo al centro del Centro America. Storicamente denominati il “cortile di casa” degli Stati Uniti, poiché il nostro territorio è stato utilizzato per invadere paesi come El Salvador e Nicaragua, quando vi si stavano realizzando processi di liberazione, cosa che non abbiamo vissuto noi in Honduras, influendo però in qualche modo sulla storia dei movimenti del Centro America.

Tutto questo ci ha portati ad una società con fortissime disparità. Siamo un paese ricco di risorse naturali, ma l’80% della popolazione vive in povertà, anzi, un 35% in estrema povertà con meno di un dollaro al giorno. Una società totalmente polarizzata, con condizioni di accesso alla sanità ed all’educazione assai difficili. In particolar modo gli indigeni rappresentano i settori più trascurati: vivono sulle terre più ricche, ma non ne dispongono, giacché il 90% della popolazione dipende economicamente dalle imprese tanto transnazionali che nazionali.

Siamo stati una società completamente sottomessa a fattori esterni, non nostri. Abbiamo una gioventù estremamente vulnerabile, con problemi di narcotraffico molto seri all’interno del paese e, a parte questo, è all’ordine del giorno l’idea che il giovane vada criminalizzato. E’ una questione molto grave: i giovani vivono situazioni di precariato, non possono accedere a livelli di studi universitari, diventano quindi emigranti, quasi obbligati all’esilio forzato fuori dall’Honduras. Su una popolazione totale di 8 milioni, 1.5 milioni vivono in esilio economico forzato, la metà di questi sono giovani che non hanno avuto accesso né all’educazione, né al lavoro. Abbiamo 1.5 milioni di persone occupate dal punto di vista lavorativo, ma solo il 7% di queste è organizzato, perché chi è in qualche modo attivo, legato al popolo, viene criminalizzato.

Tutte queste condizioni hanno forgiato la popolazione, portandoci a ciò che siamo oggi: un popolo insorto, un popolo che non tollera più nulla, che sta dimostrando al mondo che vuole continuare a resistere.

Il 28 giugno in Honduras viene compiuto un colpo di stato non solo contro un presidente, ma anche contro una democrazia, contro un popolo, ma soprattutto contro i presidenti di tutta l’America Latina, dato che vi sarà un’escalation in tal senso.

Il golpe in Honduras è perpetrato dall’oligarchia economica e politica, una parte della gerarchia della Chiesa Cattolica e della Chiesa Evangelica e, sappiamo, con molti aiuti esterni. Il golpe avviene perché l’oligarchia non accetta più alcuni cambiamenti sociali che si stavano compiendo nel paese da tre anni e mezzo a questa parte.


Abbiamo eletto Manuel Zelaya Rosales, che proviene da una famiglia appartenente all’oligarchia economica, da un partito di destra, e chiunque avrebbe detto che vi sarebbe stata continuità di condotta. Il caso ha voluto, invece, che egli si sia girato a guardare verso il suo popolo e noi, come movimenti popolari, abbiamo approfittato di tale opportunità per modificare delle situazioni che ci danneggiavano ormai da tantissimi anni.
Era tale la pressione sociale, che egli ha cominciato a operare dei cambiamenti.

Ad esempio abbassa il prezzo del combustibile in misura significativa. Blocca le privatizzazioni ed inizia a riacquisire delle strutture, ad esempio dei servizi pubblici, che erano stati interamente privatizzati. Noi, dal canto nostro, abbiamo continuato a fare pressioni, perché convinti fosse il momento giusto per puntare ad altre condizioni di vita.

Per ottenere che il governo della Repubblica aderisse all’ALBA, Alternativa Bolivariana per le Americhe, passammo molto tempo a manifestare per le strade. Allo stesso modo ottenemmo che si firmasse il Petrocaribe, che sebbene sia soltanto un accordo commerciale, dà al popolo maggiori garanzie di partecipazione e possibilità di acquistare il combustibile a prezzi inferiori. Siamo riusciti ad evitare che si continuasse a disboscare le nostre foreste, senza averne in cambio alcun beneficio. Abbiamo anche bloccato lo sfruttamento minerario, che ci lasciava solo povertà ed alti costi sociali per l’elevato numero di persone che contraevano malattie (estrazione mineraria selvaggia senza controlli, né tutele sanitarie), costi che ricadevano poi sugli ospedali pubblici, giacché la gente non poteva permettersi altro tipo di servizio.

Il 90% dei mezzi d’informazione è nelle mani private dell’oligarchia economica. E questi hanno reagito. Uno scontro tremendo: da un lato avevamo i menzionati benefici, dall’altro dovevamo lottare contro i media, che avevano scatenato una campagna terribile non solo contro il presidente, ma una persecuzione molto aperta anche contro i movimenti sociali. Così è cominciata all’interno del paese una spaventosa guerra mediatica, e chi ha contrattaccato convinto della necessità dei cambiamenti strutturali, l’ha sostenuta fino ad ora.

La decisione più recente del presidente è stata di aumentare il salario minimo del 60%, dando così l’opportunità alla gente di avere un accesso dignitoso all’alimentazione. 14 imprese private honduregne hanno reagito contro di lui, recapitandogli altrettanti ricorsi: non erano disposte a condividere con la gente i loro guadagni.

Il presidente ha ricevuto anche una petizione da parte del popolo di organizzare un referendum, poiché credevamo fosse giunto il momento di redigere una nuova Costituzione della Repubblica. Egli si assume la responsabilità di tale referendum, basandosi su una legge secondaria del paese, quella sulla partecipazione dei cittadini (prevista dall’articolo 5 della Costituzione), che autorizza la richiesta di un parere su certe questioni al popolo honduregno.

Come movimento popolare l’avevamo in programma fin dal 2005, dato che la nostra Costituzione era rimasta subordinata alle disposizioni di un trattato commerciale con gli Stati Uniti, che ci ha soltanto lasciato maggiore povertà e miseria, senza possibilità di accesso alla terra ed alle nostre risorse naturali.

I media hanno allora scatenato una campagna, sia all’interno sia fuori dall’Honduras, sul fatto che il presidente voleva permanere al potere, non voleva più essere destituito, e la gente ci credeva, mentre in verità non c’era proprio alcun modo per lui di restare.

Il referendum era fissato per il 28 giugno e chiedeva semplicemente e precisamente questo: “Sei d’accordo che s’installi una quarta urna? Sì o No?”
Cosa significa installare una quarta urna? Il 29 novembre, quando si dovranno svolgere le elezioni, vi saranno le solite tre urne: una per il presidente, una per i deputati ed una per le municipalità; la quarta urna è quella per la consultazione popolare sul tema “Sei d’accordo che si nomini un’Assemblea Nazionale Costituente? Sì o No?”

Nessuna delle due consulte è comunque vincolante. Ciò significa dover ricorrere in ogni caso al Parlamento per farne legge. Il Parlamento avrebbe potuto non accogliere il parere del popolo, non volendo in alcun modo fornirgli l’opportunità di operare dei cambiamenti radicali nel paese, o avrebbe potuto essere il popolo stesso a dire di no.
Inoltre, trattandosi di un cambio di governo per via elettorale, l’eventuale Assemblea Nazionale Costituente si sarebbe installata con il nuovo governo, non con quello attuale, pertanto in nessun modo il presidente della Repubblica si sarebbe potuto ricandidare. Dire che il presidente voleva restare al potere era quindi soltanto propaganda politica.

Quando fecero il colpo di stato lo giustificarono infatti con queste argomentazioni: avevano operato contro un abuso di potere, né vollero mai chiamarlo colpo di stato, ma “successione costituzionale”. La Costituzione stessa non prevede nulla del genere, non garantisce alcun tipo di successione, non siamo una monarchia dove il potere si trasmette da uno all’altro per eredità, al contrario, per poter eleggere un nuovo presidente dobbiamo passare attraverso un processo elettorale.

In Honduras, storicamente, ogni volta che si è verificato un colpo di stato, automaticamente si è installata un’Assemblea Nazionale Costituente, per cui dovevano argomentare in qualche modo la non ammissibilità di essa, anzi bisognava cancellarne l’idea dalla testa della gente. Tutto questo ha provocato un bel po’ di spaccature, più di quelle che già avevamo; adesso noi vediamo le forze armate come un potere che ci è servito solamente per questo: per fare colpi di stato.

Conseguenza di tutto ciò è l’attuale situazione: un popolo che protesta per le strade, che resiste al golpe, che grida: “Ora basta!”. Non vogliamo che la storia si ripeta, credevamo di aver costruito una democrazia, buona o cattiva che fosse l’avevamo da 30 anni, era la nostra democrazia anche se non ci piaceva molto, ma la stavamo man mano costruendo…

Il giorno in cui il presidente venne portato con la forza in Costa Rica, in Honduras dicevano che egli aveva rinunciato, e una serie di menzogne, con gravi conseguenze per il paese e con violazione dei diritti umani.

I golpisti si proclamavano difensori della Costituzione, e queste stesse parole le ha fatte proprie il popolo. L’articolo 3 della Costituzione della Repubblica dell’Honduras autorizza la resistenza, afferma che non dobbiamo obbedienza ad alcun governo usurpatore, soprattutto se usurpatore con la forza, al contrario dobbiamo insorgere. Essi dicono di difendere la Costituzione, noi concordemente a quanto stabilisce e forti di essa, vogliamo farla valere.

La situazione evolve in una violazione sistematica dei diritti umani. Abbiamo un presidente sequestrato nell’ambasciata del Brasile, sebbene abbia lo status d’invitato, di fatto è sequestrato, non si può muovere da lì, né lui, né la sua famiglia, né le 62 persone che raggiunsero quel giorno l’ambasciata e là dentro rimasero.
Hanno sospeso le garanzie individuali in tutto il paese, viviamo in assoluta instabilità, non abbiamo alcuna sicurezza, né per strada, né in casa. Possiamo essere oggetto di aggressioni e violenze in qualsiasi momento.

Lo dimostrano i 18 morti, i 300 feriti con armi di ogni tipo (dalle catene di metallo ai proiettili), le 3000 persone detenute illegalmente. Di quei 18 morti, la maggior parte sono giovani: non avendo a disposizione altri modi per comunicare, usano i muri, dove passano scrivono, e la polizia facilmente li individua, per arrivare poi alle esecuzioni extragiudiziarie. Sono ragazzi appartenenti alle organizzazioni studentesche, delle scuole superiori e dell’università, ragazzi che avrebbero potuto dare molto al loro paese, a cui hanno troncato ogni aspirazione.

Tale situazione ha sollevato una condanna diplomatica internazionale, il rifiuto di un governo golpista, ma si è trattato di una “posizione a metà”: da allora sono ormai trascorsi tre mesi e pare proprio non vi sia alcun interesse a far rientrare il colpo di stato tornando alla situazione precedente.

E adesso ci vogliono imporre, come uscita politica, un dialogo in cui non crediamo. Un dialogo del tutto impari: come possono godere di tanti privilegi dei golpisti, piuttosto che noi, che abbiamo resistito e ci abbiamo messo i morti? Un dialogo tramite il quale vogliono annullare il castigo, dopo aver violentato tutti i nostri diritti; vogliono l’amnistia, giustificandola con l’amnistia che sono disposti a concedere a Josè Manuel Zelaya Rosales per i suoi presunti reati, eludendo il fatto che loro hanno commesso certamente molti più crimini.

Il primo punto del negoziato è la restituzione del presidente Zelaya, che essi rifiutano. Dicono. “Arriviamo al processo elettorale, come soluzione a questo dialogo politico”.

E’ un dialogo che va contro i nostri obiettivi. Noi vogliamo il ripristino del sistema democratico ed istituzionale, non solo costituzionale, ma istituzionale. Come uscita politica vogliamo un’Assemblea Nazionale Costituente ed abbiamo fatto pressioni perché in Honduras non sia concessa l’amnistia, che provocherebbe un generale squilibrio in tutta la regione. Se noi permettiamo l’amnistia, rinsaldiamo le forze armate, da cui un’escalation di colpi di stato che non potremo più fermare!

La soluzione alla crisi da loro pianificata è il processo elettorale, che però a noi non dà garanzie di partecipazione, e anche eleggendo un presidente oggi, probabilmente già domani non lo avremmo più, cacciato dal paese con un golpe. In ogni caso non si potrebbero svolgere delle elezioni senza prima essere ritornati all’ordine costituzionale, senza garanzie di libera e reale partecipazione, col timore di brogli, sapendo che vigilano sul loro “buono svolgimento” proprio le forze armate, di cui non possiamo fidarci, perché sono golpiste.

Non è facile per il popolo honduregno mantenere le sue posizioni, ma credo che fin’ora abbia dato la migliore dimostrazione di quanto davvero voglia un cambiamento. Ciò che abbiamo domandato e per cui ci siamo battuti è la richiesta di una società più equa, in cui tutti siano inclusi, dove il paese sia realmente di tutti, non soltanto di qualcuno. Sono questi i fattori che ci hanno portato alla situazione attuale, ma noi rifiutiamo in qualsiasi modo di tornare ad una condizione di vita diversa da quella che avevamo intrapreso.

Moltissime grazie.

(continua)

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