27 agosto, 2012
HONDURAS: Attivo campamento di osservazione dei diritti umani sulla penisola di Zacate Grande
Attivo campamento di osservazione dei diritti umani sulla penisola di Zacate Grande
CONVOCATORIA PER INCONTRO DI FORMAZIONE PER CAMPAMENTISTI IN PARTENZA
A MILANO, 22-23 SETTEMBRE 2012
Cari amici/e, compagni/e,
Da un annetto stiamo lavorando assieme ad organizzazioni di base e con il COFADEH, alla costruzione e al rafforzamento di campamentos per osservatori internazionali in Honduras.
La necessità di presenza internazionale nelle organizzazioni e comunità di base,
si è fatta più forte a causa dell’aggravarsi delle condizioni in cui si trovano ad operare a seguito del colpo di stato avvenuto nel Giugno 2009.
Dall’estate 2011 è attivo un campamento nella comunità di Puerto Grande, nella penisola di Zacate Grande. I/le primi/e campamentisti/e, in tutto una decina, hanno svolto e stanno svolgendo un’importante lavoro di osservazione e accompagnamento nella zona,dove l’organizzazione locale di base, ADEPZA, vive un clima di forte repressione, minacce ai dirigenti, minacce di sgomberi ecc.
La necessità di presenza internazionale nelle organizzazioni e comunità di base,
si è fatta più forte a causa dell’aggravarsi delle condizioni in cui si trovano ad operare a seguito del colpo di stato avvenuto nel Giugno 2009.
Dall’estate 2011 è attivo un campamento nella comunità di Puerto Grande, nella penisola di Zacate Grande. I/le primi/e campamentisti/e, in tutto una decina, hanno svolto e stanno svolgendo un’importante lavoro di osservazione e accompagnamento nella zona,dove l’organizzazione locale di base, ADEPZA, vive un clima di forte repressione, minacce ai dirigenti, minacce di sgomberi ecc.
leggi tutta la lettera di invito a collaborare con i campamenti di osservazione in Honduras
leggi la lettera di invito del COFADEH
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CONTATTO: honduras@puchica.org
23 agosto, 2012
In Honduras la piú grande base USA
Bertha Cáceres, dirigente del COPINH
(Consiglio Civico di Organizzazioni Popolari ed Indigene dell’Honduras) ha
denunciato che truppe militari statunitensi si muovono liberamente attraverso i
fiumi situati nella regione della Mosquitia, nel nord del paese.
In un’intervista rilasciata alla “La Radio del Sud”, Caceres
ha segnalato che l'ingerenza degli Stati Uniti in Honduras è sfacciata, e che
nella "Mosquitia" Washington pretende d’installare la sua più grande
base militare in America Latina. Ha aggiunto che in quella regione potrebbero
trovarsi grandi giacimenti petroliferi. La dirigente sociale ha affermato che il governo statunitense vuole investire 1.300 milioni di dollari per dislocare le sue truppe ed utilizzare il territorio honduregno come bastione per aggredire altri paesi.
La regione della "Mosquitia" è situata nel nord del paese, tra i Caraibi e la frontiera col Nicaragua. Ha confini marittimi con Giamaica, Cuba, Belize e lo stesso Nicaragua. Lì vivono quattro etnie indigene, che vengono minacciate dalla presenza militare nordamericana.
Contraddizione
La presenza militare statunitense in Honduras è stata giustificata come facente parte dei meccanismi di lotta congiunta contro il narcotraffico, ma nota Caceres, si è verificato il contrario e man mano che s’incrementa il numero degli effettivi nordamericani, aumenta anche il narcotraffico.
Ascolta l'audio dell'intervista alla dirigente sociale honduregna Bertha Cáceres, realizzata nel programma Rebelados de “La Radio del Sud”.
web: copinh.org
blog: copinhonduras.blogspot.com
fb: Copinh Intibucá
twitter: @
COPINHHONDURAS
Tradotto da Adelina Bottero
13 agosto, 2012
Berta Cáceres: attivista, femminista, ribelle “folle e sana”
Annalisa Melandri
Berta Cáceres, attivista, femminista, ribelle “folle e sana nell’idea del superamento dei limiti dell’immaginazione” come la descrive la militante e giornalista argentina Claudia Korol, è la cofondatrice e leader del COPINH , il Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras. Appartiene all’etnia lenca[1], quella che maggiormente si oppose alla dominazione spagnola in Honduras e che oggi continua in resistenza per la difesa del territorio e delle risorse naturali. Forse per questo o per essere figlia di una storica attivista del paese, Berta ha sangue ribelle nelle vene. Durante il colpo di Stato del giugno 2009 ha sofferto persecuzione e carcere. E’ una militante incansabile non solo per i diritti delle popolazioni indigene, ma anche per la difesa dei diritti umani in genere ed è una delle rappresentanti più importanti della sinistra latinoamericana e del movimento femminista. Ha ricevuto recentemente in Germania il premio “Shalom” consegnato ogni anno a “quelli che combattono per la giustizia e per la pace nel mondo e molte volte rischiano la loro vita per il loro impegno”.
Questa intervista a Berta Cáceres è stata realizata a Tocoa, Bajo Aguán nel febbraio del 2012, alla vigilia dell’ Incontro Internazionale per i Diritti Umani in solidarietà con l’Honduras.
A.M. — Berta, le popolazioni indigene oggi si trovano a dover affrontare sfide durissime e questo potrebbe farci pensare che rappresentano l’anello più debole della catena sociale. Che ne pensi e come vivono in Honduras nel 2012 i popoli indigeni?
B.C. – Io non direi che siamo deboli, siamo molto forti invece! Nonostante 500 anni di lotta, di oppressione, di schiavitù, di sterminio, esistere oggi ancora come popolo vuol dire aver dimostrato la forza che abbiamo. I popoli indigeni lo hanno dimostrato non solo con la resistenza diretta, ma in tutte le loro proposte di vita, come quella di una produzione comune, della sovranità, in senso territoriale ma anche delle proprie conoscenze, della loro cosmovisione, della loro spiritualità. Per noi non è stato facile, attualmente i popoli indigeni che lottano oggi per sopravvivere affrontano poteri anche peggiori di quelli di 500 anni fa. La schiavitù che era imposta allora con le catene, oggi è anche una schiavitù culturale. Di fronte a queste minacce opponiamo resistenza, lottiamo, ci organizziamo, ci coordiniamo e affrontiamo sfide terribili come la povertà, la miseria, l’esclusione totale messa in atto da un sistema razzista che lo è in tutti gli ambiti, perfino nelle istituzioni e che è stato favorito anche dal colpo di Stato. Lottiamo contro i mega progetti come la privatizzazione idroelettrica, gli investimenti turistici su spiagge e montagne, lo sfruttamento minerario, le leggi che favoriscono e privilegiano le multinazionali, soprattutto nel settore minerario e degli idrocarburi. Lottiamo contro la privatizzazione, contro il capitalismo “verde”, che si impone attraverso i progetti REDD-PLUS, attraverso l’Unione Europea, il Banco Mondiale, il BID, la USAID. Si tratta di una terribile realtà perchè vediamo come gli stati e i governi giocano con la miseria, anche con quella dei popoli indigeni. Siamo nel mezzo di un grande processo di lotta, di resistenza e di formazione.
AM. – Quali sono gli spazi e le conquiste ottenute in Honduras dalle organizzazioni popolari ed indigene riunite nel COPINH?
B.C. – Io credo che questo spazio sia cresciuto nel tempo, sia come accettazione che come riconoscimento. Il ruolo svolto dalla nostra organizzazione nella lotta per la causa indigena e popolare è stato importante perchè abbiamo ottenuto cose fondamentali, come per esempio la ratifica della Convenzione 169 sui popoli indigeni ed anche un processo di titolazione comunitaria di terre molto importante. Questo ci è servito anche per la lotta contro la trasnazionalizzazione, contro la privatizzazione e la cessione dei beni della natura. Si tratta di un processo storico perchè senza la voce dei popoli indigeni, dei movimenti sociali, non potrà esserci nessun processo di decolonizzazione e nemmeno di emancipazione. Considerando quindi la proposta, il pensiero, l’azione, la dinamica e l’esperienza storica di lotta dei popoli indigeni e del moviemnto sociale che hanno raggiunto un livello elevato di esperienza a partire anche dalla lotta contro il colpo di Stato, vediamo come questo processo sia fondamentale e possiamo perfino dire che stiamo scrivendo la storia del nostro paese.
AM. Le popolazioni indigene in Honduras godono a livello nazionale di alcuna forma di protezione legislativa, oltre alla ratifica delle convenzioni internazionali come per esempio la Convenzione 169 della OIL?
B.C. — Oltre alla ratifica di questa convenzione, conquista che fu il prodotto di una mobilitazione realizzata nel 1994 quando occupammo il Congresso Nazionale per 11 giorni, praticamente non abbiamo nulla. Esiste un articolo dell’attuale Costituzione e cioè il 346 che oltretutto è molto generico. Per questo la proposta dei popoli indigeni e negri dell’Honduras è cambiare la costituzione, rifondare questa società, questo stato. Da molto tempo, non soltanto a partire dal colpo di Stato, stiamo prospettando l’inutilità di questa Costituzione, che e stata già cambiata in passato per favorire i settori politici, economici e militari del paese. La nostra proposta è quella di una nuova Costituzione che includa anche la visione dei popoli indigeni e negri, la cosmovisione, alla nuova proposta in tutti gli ambiti, politico, economico, culturale e sociale.
A.M. — Quali sono le lotte urgenti che sta portando avanti il COPINH in Honduras dopo il colpo di Stato?
B.C. — Le lotte importanti adesso sono per la difesa dei fiumi, dei boschi, dei territori, dell’autonomia, contro le trasnazionali, ma siamo anche in lotta frontalmente contro la militarizzazione, la repressione, contro tutte le forme di oppressione, non solo quelle esercitate dall’oligarchia o dalle multinazionali, ma anche contro l’oppressione del patriarcato, contro il razzismo…
A.M. — E rispetto alla Legge della Mineria?
B.C. – Chiaramente ci siamo mobilitati contro questa legge, siamo stati al Congresso, nei territori, che sono lo scenario principale della lotta, contro questa minaccia rappresentata dalla Legge della Mineria che privilegia l’uso dell’acqua per le trasnazionali, che può dare in concessione i fiumi fino a 50 anni, che permette che vengano pagate meno tasse, che permette minori controlli ambientali da parte degli organismi dello Stato, cioè questa legge, che è la peggiore che abbiamo avuto fino ad oggi, permette di operare nel settore minerario con un’ impunità tremenda; con questa legge praticamente le multinazionali non hanno limiti allo sfruttamento e si riduce la protezione che esiste in alcune aree del paese catalogate come rifugi di vita silvestre, rifugi naturali e paesaggistici. Immaginiamo quello che succederà quindi nei territori indigeni e neri dove si concentra la maggior parte delle risorse minerarie e metalliche.
AM. — Berta, uno sguardo speciale alle donne indigene e dei settori rurali e popolari. Cual’è la loro condizione attuale?
B.C. — Io credo che dal punto di vista della lotta contro il colpo di Stato, per noi donne tutto il processo di resistenza dal basso possa essere considerato una vittoria, nonostante la disgrazia che abbiamo vissuto come paese in quel frangente. Nell’ambito di una complessità che già avevamo sono nati movimenti di donne diversi; adesso abbiamo differenti processi organizzativi e di resistenza e siamo riuscite a convergere in una proposta che nasce direttamente dalle donne. Per la lotta del movimento sociale, che di per sè è difficile e possiamo immaginare quanto lo sia per le donne indigene e nere, è importante che si visibilizzi e si riconosca in qualche modo l’apporto storico e la resistenza delle donne. Abbiamo vari processi che stiamo mettendo in pratica nella quotidianità: per esempio nei seminari, nelle assemblee convocate di donne indigene e nere, in tutti i processi e le iniziative che il COPINH contempla a favore delle donne, sono gli uomini che devono cucinare. Questa è stata una conquista e se in altre regioni o in altri paesi può sembrare poco importante, per noi è fondamentale perchè diventa anche un atto politico dal momento che questa lotta inizia nelle case, nelle strade, nelle organizzazioni. Abbiamo fatto progressi, c’è più partecipazione, organizzazione e questo è meraviglioso; inoltre molte donne si stanno occupando di informazione e mezzi di comunicazione, settori chiave per noi. Questo vuol dire rompere con il fondamentalismo e con molte paure e timori.
A.M. — Che aspettative nutrite rispetto all’incontro che inizierà domani in solidarietà con il Bajo Aguán?
B.C.- Rispetto agli obiettivi dell’incontro, da un lato c’è il dare visibilità all’eredità del golpismo e dall’altro il visibilizzare le violazioni dei diritti umani, individuali, collettivi che in modo sistematico in questo paese si stanno portando avanti contro i movimenti sociali e contadini, contro le donne, i giornalisti, gli indigeni e i garfuna[2], i settori giovanili, contro quelli che rappresentano la diversità sessuale e anche contro settori della chiesa progressista, cioè contro tutti quelli che sognano la trasformazione di questo paese. Per noi questo è importante come testimonianza, per convertire questo evento in una grande tribuna internazionale di denuncia sulla grave situazione dei diritti umani in Honduras e anche per definire un impegno della solidarietà internazionale con il popolo honduregno.
Vedi anche l’intervista (in spagnolo) di Giorgio Trucchi a Berta Cáceres en Lista Informativa Nicaragua y Más
di
Berta Cáceres, attivista, femminista, ribelle “folle e sana nell’idea del superamento dei limiti dell’immaginazione” come la descrive la militante e giornalista argentina Claudia Korol, è la cofondatrice e leader del COPINH , il Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras. Appartiene all’etnia lenca[1], quella che maggiormente si oppose alla dominazione spagnola in Honduras e che oggi continua in resistenza per la difesa del territorio e delle risorse naturali. Forse per questo o per essere figlia di una storica attivista del paese, Berta ha sangue ribelle nelle vene. Durante il colpo di Stato del giugno 2009 ha sofferto persecuzione e carcere. E’ una militante incansabile non solo per i diritti delle popolazioni indigene, ma anche per la difesa dei diritti umani in genere ed è una delle rappresentanti più importanti della sinistra latinoamericana e del movimento femminista. Ha ricevuto recentemente in Germania il premio “Shalom” consegnato ogni anno a “quelli che combattono per la giustizia e per la pace nel mondo e molte volte rischiano la loro vita per il loro impegno”.
Questa intervista a Berta Cáceres è stata realizata a Tocoa, Bajo Aguán nel febbraio del 2012, alla vigilia dell’ Incontro Internazionale per i Diritti Umani in solidarietà con l’Honduras.
A.M. — Berta, le popolazioni indigene oggi si trovano a dover affrontare sfide durissime e questo potrebbe farci pensare che rappresentano l’anello più debole della catena sociale. Che ne pensi e come vivono in Honduras nel 2012 i popoli indigeni?
B.C. – Io non direi che siamo deboli, siamo molto forti invece! Nonostante 500 anni di lotta, di oppressione, di schiavitù, di sterminio, esistere oggi ancora come popolo vuol dire aver dimostrato la forza che abbiamo. I popoli indigeni lo hanno dimostrato non solo con la resistenza diretta, ma in tutte le loro proposte di vita, come quella di una produzione comune, della sovranità, in senso territoriale ma anche delle proprie conoscenze, della loro cosmovisione, della loro spiritualità. Per noi non è stato facile, attualmente i popoli indigeni che lottano oggi per sopravvivere affrontano poteri anche peggiori di quelli di 500 anni fa. La schiavitù che era imposta allora con le catene, oggi è anche una schiavitù culturale. Di fronte a queste minacce opponiamo resistenza, lottiamo, ci organizziamo, ci coordiniamo e affrontiamo sfide terribili come la povertà, la miseria, l’esclusione totale messa in atto da un sistema razzista che lo è in tutti gli ambiti, perfino nelle istituzioni e che è stato favorito anche dal colpo di Stato. Lottiamo contro i mega progetti come la privatizzazione idroelettrica, gli investimenti turistici su spiagge e montagne, lo sfruttamento minerario, le leggi che favoriscono e privilegiano le multinazionali, soprattutto nel settore minerario e degli idrocarburi. Lottiamo contro la privatizzazione, contro il capitalismo “verde”, che si impone attraverso i progetti REDD-PLUS, attraverso l’Unione Europea, il Banco Mondiale, il BID, la USAID. Si tratta di una terribile realtà perchè vediamo come gli stati e i governi giocano con la miseria, anche con quella dei popoli indigeni. Siamo nel mezzo di un grande processo di lotta, di resistenza e di formazione.
AM. – Quali sono gli spazi e le conquiste ottenute in Honduras dalle organizzazioni popolari ed indigene riunite nel COPINH?
B.C. – Io credo che questo spazio sia cresciuto nel tempo, sia come accettazione che come riconoscimento. Il ruolo svolto dalla nostra organizzazione nella lotta per la causa indigena e popolare è stato importante perchè abbiamo ottenuto cose fondamentali, come per esempio la ratifica della Convenzione 169 sui popoli indigeni ed anche un processo di titolazione comunitaria di terre molto importante. Questo ci è servito anche per la lotta contro la trasnazionalizzazione, contro la privatizzazione e la cessione dei beni della natura. Si tratta di un processo storico perchè senza la voce dei popoli indigeni, dei movimenti sociali, non potrà esserci nessun processo di decolonizzazione e nemmeno di emancipazione. Considerando quindi la proposta, il pensiero, l’azione, la dinamica e l’esperienza storica di lotta dei popoli indigeni e del moviemnto sociale che hanno raggiunto un livello elevato di esperienza a partire anche dalla lotta contro il colpo di Stato, vediamo come questo processo sia fondamentale e possiamo perfino dire che stiamo scrivendo la storia del nostro paese.
AM. Le popolazioni indigene in Honduras godono a livello nazionale di alcuna forma di protezione legislativa, oltre alla ratifica delle convenzioni internazionali come per esempio la Convenzione 169 della OIL?
B.C. — Oltre alla ratifica di questa convenzione, conquista che fu il prodotto di una mobilitazione realizzata nel 1994 quando occupammo il Congresso Nazionale per 11 giorni, praticamente non abbiamo nulla. Esiste un articolo dell’attuale Costituzione e cioè il 346 che oltretutto è molto generico. Per questo la proposta dei popoli indigeni e negri dell’Honduras è cambiare la costituzione, rifondare questa società, questo stato. Da molto tempo, non soltanto a partire dal colpo di Stato, stiamo prospettando l’inutilità di questa Costituzione, che e stata già cambiata in passato per favorire i settori politici, economici e militari del paese. La nostra proposta è quella di una nuova Costituzione che includa anche la visione dei popoli indigeni e negri, la cosmovisione, alla nuova proposta in tutti gli ambiti, politico, economico, culturale e sociale.
A.M. — Quali sono le lotte urgenti che sta portando avanti il COPINH in Honduras dopo il colpo di Stato?
B.C. — Le lotte importanti adesso sono per la difesa dei fiumi, dei boschi, dei territori, dell’autonomia, contro le trasnazionali, ma siamo anche in lotta frontalmente contro la militarizzazione, la repressione, contro tutte le forme di oppressione, non solo quelle esercitate dall’oligarchia o dalle multinazionali, ma anche contro l’oppressione del patriarcato, contro il razzismo…
A.M. — E rispetto alla Legge della Mineria?
B.C. – Chiaramente ci siamo mobilitati contro questa legge, siamo stati al Congresso, nei territori, che sono lo scenario principale della lotta, contro questa minaccia rappresentata dalla Legge della Mineria che privilegia l’uso dell’acqua per le trasnazionali, che può dare in concessione i fiumi fino a 50 anni, che permette che vengano pagate meno tasse, che permette minori controlli ambientali da parte degli organismi dello Stato, cioè questa legge, che è la peggiore che abbiamo avuto fino ad oggi, permette di operare nel settore minerario con un’ impunità tremenda; con questa legge praticamente le multinazionali non hanno limiti allo sfruttamento e si riduce la protezione che esiste in alcune aree del paese catalogate come rifugi di vita silvestre, rifugi naturali e paesaggistici. Immaginiamo quello che succederà quindi nei territori indigeni e neri dove si concentra la maggior parte delle risorse minerarie e metalliche.
AM. — Berta, uno sguardo speciale alle donne indigene e dei settori rurali e popolari. Cual’è la loro condizione attuale?
B.C. — Io credo che dal punto di vista della lotta contro il colpo di Stato, per noi donne tutto il processo di resistenza dal basso possa essere considerato una vittoria, nonostante la disgrazia che abbiamo vissuto come paese in quel frangente. Nell’ambito di una complessità che già avevamo sono nati movimenti di donne diversi; adesso abbiamo differenti processi organizzativi e di resistenza e siamo riuscite a convergere in una proposta che nasce direttamente dalle donne. Per la lotta del movimento sociale, che di per sè è difficile e possiamo immaginare quanto lo sia per le donne indigene e nere, è importante che si visibilizzi e si riconosca in qualche modo l’apporto storico e la resistenza delle donne. Abbiamo vari processi che stiamo mettendo in pratica nella quotidianità: per esempio nei seminari, nelle assemblee convocate di donne indigene e nere, in tutti i processi e le iniziative che il COPINH contempla a favore delle donne, sono gli uomini che devono cucinare. Questa è stata una conquista e se in altre regioni o in altri paesi può sembrare poco importante, per noi è fondamentale perchè diventa anche un atto politico dal momento che questa lotta inizia nelle case, nelle strade, nelle organizzazioni. Abbiamo fatto progressi, c’è più partecipazione, organizzazione e questo è meraviglioso; inoltre molte donne si stanno occupando di informazione e mezzi di comunicazione, settori chiave per noi. Questo vuol dire rompere con il fondamentalismo e con molte paure e timori.
A.M. — Che aspettative nutrite rispetto all’incontro che inizierà domani in solidarietà con il Bajo Aguán?
B.C.- Rispetto agli obiettivi dell’incontro, da un lato c’è il dare visibilità all’eredità del golpismo e dall’altro il visibilizzare le violazioni dei diritti umani, individuali, collettivi che in modo sistematico in questo paese si stanno portando avanti contro i movimenti sociali e contadini, contro le donne, i giornalisti, gli indigeni e i garfuna[2], i settori giovanili, contro quelli che rappresentano la diversità sessuale e anche contro settori della chiesa progressista, cioè contro tutti quelli che sognano la trasformazione di questo paese. Per noi questo è importante come testimonianza, per convertire questo evento in una grande tribuna internazionale di denuncia sulla grave situazione dei diritti umani in Honduras e anche per definire un impegno della solidarietà internazionale con il popolo honduregno.
Vedi anche l’intervista (in spagnolo) di Giorgio Trucchi a Berta Cáceres en Lista Informativa Nicaragua y Más
[1]
Gruppo etnico precolombiano originario dell’Honduras e El Salvador.
Guidati da Lempira opposero strenua resistenza alla dominazione spagnola
dal 1530 in poi.
[2] Gruppo etnico di origine africana che vive in alcune regioni dell’America centrale e dei Caraibi