21 febbraio, 2009

HONDURAS: Il furto del mogano

dal manifesto di sabato 14 febbraio 2009

TerraTerra
Marina Forti

Chi protegge una zona «protetta»? Sembra un gioco di parole, ma stiamo parlando.diun'area naturale protetta dell'Honduras, piccolo e povero stato dell'America centrale. La zona si chiama Rio Platano, è protetta dallo stato ed è stata dichiarata anche «Riserva della biosfera» dall'Unesco, l'organizzazione Onu per la cultura. È una zona enorme, la più" grande area protetta del paese, oltre 830mila ettari di foresta pianeggiante e montagnosa (dal livello del mare fino ai 1.300 metri), di cui circa un quarto è la «core area», zona centrale, mentre circa metà è «area culturale», dove vive la popolazione umana - poco più di 40mila abitanti, di cui meta sono nativi e minoranze etniche. Nel «cuore» della riserva sono escluse attività umane; nella parte abitata le comunità locali coltivano o fanno pascolare bestiame (su piccola scala) e conducono quella che si chiama «gestione sostenibile della foresta» - raccogliere piccole quote di legno e frutti rinnovabili, sempre su piccola scala, in cooperative locali. Il problema è che lo status di zona protetta non riesce a evitare una deforestazione galoppante, benché illegale - e non ne sono responsabili le piccole comunità locali. Al contrario, è proprio il governo a permettere che i «baroni del legname» facciano man bassa di legname pregiato, in particolare mogano: così sostiene un rapporto di Global Witness, organizzazione indipendente di «investigazione ambientale»: Pubblicato alla fine di gennaio, il rapporto sulla deforestazione illegale nella riserva di rio Platano («Una farsa in tre atti») si riferisce al periodo 2006-2007 e spiega come il taglio illegale di alberi pregiati sia stata promosso dalle autorità: con buona pace del presidente Zelaya, che durante il suo discorso inaugurale, nel gennaio del 2006, aveva dichiarato prioritario «eradicare» la deforestazione illegale. Pochi mesi dopo quel discorso, però, l'ente forestale honduregno ha approvato un meccanismo che permette di raccogliere legalmente il «legname abbandonato», in contravvenzione alle leggi vigenti e senza consultare nessuno. Questo ha dato II via a una corsa a tagliare illegalmente e poi far passare per «abbandonato» il legno raccolto. Due mesi dopo la nuova procedura è stata abrogata, dopo le proteste di alcuni gruppi ambientalisti e soprattutto un'indagine dell'ufficio della procura di stato competente per i crimini ambientali. La corsa a tagliare alberi pregiati però e continuata, con un meccanismo solo un po' più sofisticato di prima, descritto da Global Witness. Le aziende del legname (spesso chiamate i «baroni del legname») hanno tra l'altro «infiltrato» le cooperative locali firmando contratti in modo che fossero queste a mettere sul mercato il legname tagliato, facendo così apparire «pulito» ciò che non lo è.Il risultato è che dal 2006, in poco più di due anni, oltre 8.000 metricubl di mogano sono stati Illegalmente tagliati, e quasi un milione di dollari di denaro pubblico è stato Indebitamente incanalato nelle tasche dei trafficanti di legname, sostiene Global Witness: con danno evidente per la conservazione ambientale, per le casse dello stato, e più direttamente per le cooperative forestali locali, a cui è stato sottratto un bene. Tra l'altro, il fatto che alcune cooperative siano state strumentalizzate dai «baroni del legno» ha gettato il discredito sulle cooperative di «gestione sostenibile» nel loro insieme. Tutto questo con la complicità di autorità e governo: il gruppo di investigazione ambientale lo definisce un caso di «clientelismo politico e corruzione sistemica».

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16 febbraio, 2009

Honduras: in via di approvazione il Proyecto de Ley de Hidrocarburos

Il progetto di legge è contrassegnato dalla totale mancanza di trasparenza

Gli indigeni miskito e garífuna sarebbero le comunità maggiormente danneggiate
14 febbraio 2009 - David Lifodi
Assenza totale di trasparenza e consultazioni-farsa sembrano essere alla base del Proyecto de Ley de Hidrocarburos che il governo dell'Honduras vorrebbe trasformare in legge senza alcun dibattito pubblico in cui la società civile possa esprimere la sua opinione. Il tentativo di questo vero e proprio colpo di mano è stato svelato dall'Organización Fraternal Negra Hondureña (Ofraneh), che da anni si occupa della tutela dei diritti del popolo Garífuna. "L'Honduras intende aprire le porte allo sfruttamento petrolifero ignorando la debolezza del paese di fronte ai frequenti e devastanti eventi atmosferici che si trova spesso ad affrontare, sempre più intensi e violenti per via del cambio climatico", spiegano in una nota gli attivisti di Ofraneh. Le comunità più danneggiate nel caso in cui il progetto si trasformasse in legge sarebbero quelle dei Miskito e dei Garífuna, maggiormente esposte già adesso ai peggiori effetti del cambiamento climatico in corso. Inoltre, risulta strano che in un paese come l'Honduras, dove ancora non sono state messe a punto adeguate strategie per fronteggiare fenomeni meteorologici che di recente hanno spesso messo il paese in ginocchio, si consenta improvvisamente alle imprese straniere di realizzare senza alcun vincolo di impatto ambientale la loro attività di ricerca e sfruttamento del petrolio e del gas naturale: miskito e garífuna rischiano così di trasformarsi nei pionieri di una nuova tipologia di sfollati, quella di carattere ambientale. Il progetto di elaborazione della Ley de Hidrocarburos prevede l'utilizzo di forme di energia inquinanti e devastatrici che distruggerebbero il già fragile ecosistema in cui è geograficamente collocato l'Honduras e beneficerebbe, come al solito, le poche famiglie proprietarie delle imprese petrolifere che ne trarrebbero enormi guadagni. Nelle discussioni che hanno preceduto finora l'approvazione del progetto di legge, denuncia ancora Ofraneh, non è possibile presentarsi preparati sulla materia oggetto del contendere, poiché i documenti relativi al progetto stesso non sono mai stati divulgati o comunque spiegati in anticipo, per cui è impossibile analizzarli da parte dei partecipanti. La mancata trasparenza nel dibattito ha lo scopo evidente di escludere gli indigeni dalle decisioni più importanti che prenderà lo Stato in materia ambientale, in evidente violazione della "Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei Popoli Indigeni".
Note:
Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it. Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte e l'autore.

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09 febbraio, 2009

*Vicenza non si è arresa*:

Dal Molin: lavori in corso, opposizione in strada
I lavori all'interno dell'aeroporto Dal Molin sono proseguiti negli ultimi giorni, violando la legalità visto che, senza un progetto definivo, vengono piantati i primi pali delle fondamenta. Ma *Vicenza non si è arresa*: l'occupazione dell'area civile del Dal Molin, la fiaccolata sotto la pioggia, i primi blocchi parziali e temporanei della settimana passata ci dimostrano che opporsi è possibile. *Fermarli si può, ma fermarli tocca a noi*.Martedì 10 febbraio si svolgerà la prima giornata di blocco totale del cantiere. Pacificamente, impediremo l'ingresso dei mezzi e degli operai in Via Ferrarin. Di fronte all'imposizione del progetto opporsi è un diritto della città.Il 17 febbraio 2007 dicevamo che "/se si sogna da soli è solo un sogno, se si sogna insieme è la realtà che comincia/"; nei prossimi giorni e nelle prossime settimane possiamo costruire la realtà che vogliamo: una terra senza nuove basi militari.**Per un punto della situazione e una panoramica delle ultime iniziative vi segnaliamo l'articolo "*Vicenza conta i minuti*" (tratto da Il Manifesto) all'indirizzo http://www.nodalmol in.it/notizie/ notizie_12. html

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Appello contro l'installazione in Italia del comando Africom delle forze armate USA

( Sul tema si veda, sempre sul sito di Disarmiamoli!, la videointervista a Manlio Dinucci "Il comando Africa - L'azione USA in Africa e ruolo delle Basi nato di Vicenza e Napoli " a cura della rete nazionale Disarmiamoli! e del Comitato No Camp Darby )
Nel Dicembre 2008 il Ministro degli Esteri annunciava un importante accordo dalle pesanti ricadute in politica interna e internazionale: Africom sarebbe stato ospitato in Italia. Pochissimi ne hanno preso atto con la serietà e la preoccupazione che sarebbe stata necessaria, pochi di più ne sanno qualcosa. Non se ne parla affatto, né ne è stato discusso in Parlamento o nelle amministrazioni locali delle regioni interessate, eppure, il nostro Paese ospiterà il comando del Pentagono, coordinato tra Vicenza e Napoli, nella basi operative americane Ederle, Dal Molin e Sigonella; a quest'ultima - come s'è appurato nel 2005 - fa già capo la centrale d'intelligence per le operazioni anti-terrorismo in Africa: un osservatorio di telecomunicazioni e aerei P-3C Orion gestiscono il controllo di un’area compresa tra Golfo di Guinea e Corno d’Africa e ora sopraggiungeranno altri soldati (750), armamenti e logistica. Alex Zanotelli e la sua rete stanno facendo molto per sensibilizzare la cittadinanza circa i modi in cui una decisione di tale importanza sia stata presa senza alcun riguardo per le Istituzioni: noi, in qualità di studiosi, invitiamo a prendere in seria considerazione le implicazioni di un simile accordo.Segue l'informativa e le firme dei sottoscrittori. U.S. Africa Command (AFRICOM): un Comando del Pentagono, rifiutato dall'Africa, accolto tra Sigonella, Ederle e Dal Molin. Studiosi africanisti e di diverse aree disciplinari desiderano portare all’attenzione nazionale come sia passata inosservata la decisione, esternata poco prima di Natale dal Ministro degli esteri Frattini, di offrire ospitalità ad AFRICOM sul nostro territorio, e precisamente a Napoli e Vicenza (basi operative Ederle, Dal Molin e Sigonella), senza alcuna discussione in Parlamento o, quantomeno, senza alcun coinvolgimento apparente delle amministrazioni locali coinvolte [1]. Un dibattito aperto su una questione così delicata avrebbe probabilmente permesso di far riflettere questo Governo circa le reali implicazioni non solo interne, ma anche internazionali di una tale decisione e non solo alla luce di un prevedibile passaggio di consegne dall’Amministrazione Bush a quella di Obama, ma nel rispetto dell’autodeterminazione dei popoli e degli Stati. Pochi sanno di cosa si tratti e ci sembra quindi opportuno offrire degli elementi che consentano di farsi un quadro più preciso della situazione.

Per leggere tutto l'appello vai sul sito www.disarmiamoli.org

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Proteste in Honduras in difesa del salario minimo

La rottura della negoziazione tripartita per determinare gli aggiustamenti al salario minimo per il 2009, ha portato il governo honduregno a prendere una decisione unilaterale, come prevede il Codice del lavoro, aumentando il salario del 60 per cento. La reazione del Consiglio Honduregno dell'Impresa Privata, Cohep, non si è fatta aspettare, scatenando un'ondata di ricorsi presso la Corte suprema di giustizia, Csj, e di licenziamenti che hanno provocato la reazione delle centrali sindacali e delle principali organizzazioni sociali organizzate.
Migliaia di honduregni sono scesi nuovamente in strada, questa volta per difendere il diritto dei lavoratori di godere di un salario dignitoso e per protestare contro le misure adottate dall'impresa privata.
Secondo il coordinatore del Bloque Popular dell'Honduras, Erasto Reyes, "Nel mese di ottobre sono iniziate le negoziazioni tra l'impresa privata, il governo e le centrali sindacali per definire l'aumento del salario minimo, ma nel mese di dicembre si sono rotte le trattative in quanto il Cohep voleva un congelamento dei salari, mentre i lavoratori chiedevano un aumento del 25 per cento, cioè il doppio di quelli che storicamente sono stati gli aumenti negli ultimi 10-15 anni".
Secondo le leggi vigenti, quando non si raggiunge un accordo tocca al governo definire la dimensione dell'aumento ed in questo caso, il presidente Manuel Zelaya ha emesso il decreto esecutivo 374-08 con il quale ha aumentato il salario minimo del 60 per cento, "per recuperare il potere d'acquisto perso durante l'ultimo anno".
"Il salario minimo è passato da 3.800 lempiras (201 dollari) a 5.500 (291 dollari) nell'area urbana, mentre in quella rurale l'aumento ha portato il salario a 4.055 (215 dollari) -ha detto Reyes.
L'unico settore escluso dalla trattativa è stato quello della zona franca, in quanto le negoziazioni inizieranno in febbraio.
La decisione del presidente ha soddisfatto la popolazione. Nonostante l'aumento non riuscirà a coprire ancora il costo del Paniere, che in questo momento la Banca Centrale calcola in circa 6.400 lempiras (339 dollari), si tratta di un passo importante che migliora la situazione molto difficile in cui vive la maggioranza della popolazione".
Di fronte a questa decisione, sono già più di cento le imprese che hanno deciso di boicottare la misura adottata dal governo ed a partire dal 12 di gennaio hanno interposto una grande quantità di ricorsi presso la Csj, chiedendo la sospensione dell'atto per lasciare senza valore il contenuto del decreto esecutivo. Per il momento la Sala Costituzionale ha deciso di dichiarare ammissibili i ricorsi, ma senza la sospensione dell'atto. Questo significa che il decreto esecutivo continua ad essere vigente.
L'impresa privata ha inoltre iniziato un'offensiva frontale licenziando un'infinità di lavoratori e minacciando altri 20 mila licenziamenti per i prossimi mesi.
"A partire da gennaio i padroni hanno cominciato a licenziare adducendo che non possono pagare tutta questa quantità di denaro e che dovranno ristrutturare la loro attività produttiva. Gli uffici del Ministero del lavoro sono ormai pieni di reclami dei lavoratori, i quali chiedono di essere reintegrati o di ricevere prestazioni sociali che spettano loro. Tra dicembre e gennaio -ha spiegato il coordinatore del BP- abbiamo contato circa 15 mila licenziamenti. Una parte per la crisi che sta attraversando la zona franca e l'altra parte come rappresaglia da parte delle imprese".
Erasto Reyes ha anche denunciato che gli imprenditori stanno ricattando i lavoratori, tentando di convincerli ad accettare salari inferiori al salario minimo.
La forte mobilitazione che ha riempito le strade delle principale città dell'Honduras rappresenta una prima risposta del popolo organizzato e nei giorni precedenti le principali organizzazioni sindacali, come la C onfederazione Unitaria dei Lavoratori dell'Honduras, Cuth, la Confederazione dei Lavoratori dell'Honduras, Cth, la Centrale Generale dei Lavoratori, Cgt, il Coordinamento Nazionale di Resistenza Popolare, Cnrp ed il Blocco Popolare, Bp, hanno presentato la loro proposta politica.
Hanno chiesto "il rispetto del decreto presidenziale 374-08; che la Corte Suprema di Giustizia non ammetta nessun ricorso dell'impresa privata che distorca o tergiversi l'applicazione dell'aumento del salario minimo; che il Ministero del lavoro e la Previdenza sociale non cedano di fronte alle pressioni o alle manipolazioni dell'impresa privata; che i lavoratori non si lascino convincere a negoziare un salario minore a quello che spetta loro per legge e che respingano i licenziamenti ingiustificati, le sospensioni dei contratti individuali di lavoro", segnala il comunicato.

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