29 marzo, 2007
Banane insanguinate
Tito Pulsinelli
27 marzo 2007
27 marzo 2007
Chiquita Brands, la compagnia famosa nel mondo per la "Banana Chiquita", è stata condannata da un tribunale degli Stati Uniti a pagare una multa di 25 milioni di dollari. Perchè? Questa multinazionale agro-alimentare ha operato per molti anni in Colombia, nella regione di Urabà, dove sono avvenuti 62 stragi con 432 contadini trucidati. Tutto ciò negli ultimi dieci anni. Molti erano lavoratori della bananera.
Mario Iguaràn -massima autorità giudiziaria colombiana- durante un'intervista radiofonica ha assicurato che è lecito parlare di "paraempresariado" -ossia imprenditoria paramilitar- perchè la Chiquita Brands "potrebbe aver finanziato il terrorismo". La multinazionale non si è limitata al finanziamento dei paramilitares, ma avrebbe importato in Colombia 3000 fucili AK-47.
La bananera si difende argomentando che consegnarono quella somm di denaro -1,7 milioni di dollari, dal 1997 al 2004- per proteggere l'incolumità dei propri dipendenti. Il capo della giustizia colombiana specifica che "non si è trattato di una estorsione, bensì di finanziamento a un gruppo armato clandestino".
Nella regione di Urabà, 60000 persone dovettero abbandonare le loro case per fuggire alle scorrerie sanguinose delle bande paramilitares, ora beneficiate da una amnistia presidenziale. L'alto magistrato non esclude che chiederanno l'estradizione dei responsabili della Chiquita Brands, utilizzando lo stesso meccanismo giuridico con cui la Colombia estrada i propri cittadini verso gli Stati Uniti.
Note:
Tito Pulsinelli è un Analista continentale, ha pubblicato numerosi testi sulla geopolitica latinoamericana per l'Osservatorio Indipendente Selvas.org.
Etichette: America Latina
«Libero commercio» in Centroamerica
da "il manifesto" del 27 Marzo 2007
terraterra
Luca Martinelli
Iniziano a misurarsi gli effetti dell'apertura commerciale imposta dagli Stati uniti d'America ai paesi centro americani. In Guatemala il deficit commerciale tra luglio e settembre del 2006 è cresciuto del 36% rispetto allo stesso periodo dell'anno prima, ed è aumentata la dipendenza dall'economia Usa (verso cui viaggia il 46% dell'export e da dove arriva il 34,3% dell'import). Secondo un'analisi diffusa dall'Istituto di studi agrari e rurali, dall'entrata in vigore del Cafta (Central America free trade agreement) il paese ha importato 541 mila tonnellate di mais, pari a 1/3 del fabbisogno nazionale, per 61,5 milioni di dollari (+ 18% in volume e + 32% in valore la variazione rispetto al 2005 tra gennaio e settembre 2006). I prezzi al consumo degli alimenti base della dieta della popolazione più povera è cresciuto del 7,5%. I benefici, legati alle esportazioni, sono per pochi, come i grandi produttori di canna da zucchero (+ 55% dell'export).
Dal primo marzo il Trattato di libero commercio è in vigore anche in El Salvador. Lo stesso giorno le organizzazioni sociali sono scese in piazza per protestare contro un accordo che causerà la rovina «di 400 mila produttori di mais, fagioli e riso, beni di consumo che fanno parte della dieta del popolo, a causa della grande importazione di questi prodotti che negli Stati uniti sono sussidiati dal governo e prodotti sfruttando tecnologie altamente sviluppate», come si legge in una nota diffusa attraverso l'agenzia di stampa Adital, che aggiunge: «Subiranno gli effetti negativi del trattato oltre 65 mila famiglie che attualmente si dedicano al commercio informale di Cd e Dvd». Cinque giorni prima, lunedì 26 febbraio, almeno 200 mila persone hanno partecipato alla marcia convocata a San José del Costa Rica dal movimento che si oppone alla ratifica del Cafta. In molti hanno partecipato anche alle manifestazioni parallele, lo stesso giorno, in altre città come Santa Cruz, Liberia, San Carlos e Limón. Il Costa Rica è l'ultimo tra i paesi centro americani a non aver aperto le frontiere ai prodotti Usa. A San José una folla di donne, indigeni, studenti, università, cooperative, associazioni per lo sviluppo, sindacati hanno camminato, per 5 ore, dalla statua di León Cortés fino alla sede del Parlamento, per chiedere al presidente della Repubblica, il premio Nobel per la pace Oscal Arias, di non ratificare il Trattato di libero commercio.
Il Frente de lucha contra el Tlc costaricense ha ottenuto anche l'appoggio della Federazione internazionale per i diritti umani (Fidh), che ha rivolto una lettera a Oscar Arias, impegnato in un'azione di lobbying pro-Tlc e in una crociata di demonizzazione del movimento: «Il suo governo e altri settori del potere economico, politico e dell'opinione pubblica hanno più volte pubblicamente delegittimato il movimento che si oppone al Tlc in Costa Rica, con l'obiettivo ultimo di criminalizzare la lotta sociale, creando un clima di tensione che può erodere la pace e danneggiare la governabilità democratica che ha positivamente caratterizzato il suo Paese nelle ultime decadi».
Il Costa Rica, definito «la Svizzera dell'America centrale» per il suo carattere neutrale, registra i più alti indici di qualità della vita di tutto il Centro America. «Confidiamo che sappia re-orientare il suo comportamento in favore dello Stato sociale di diritto», continua il monito della Fidh. «Garantire i servizi pubblici e la protezione sociale è cruciale in Costa Rica. Il suo paese oggi ha i migliori indici regionali di copertura elettrica, telefonica, di salute, di acqua, grazie all'eccellente funzionamento delle istituzioni di servizio pubblico, e alla qualità delle istituzioni democratiche». Conclude la Federazione internazionale per i diritti umani: «È imprescindibile \ salvaguardare le ricchezze della nazione, a partire dalle imprese pubbliche delle quali, sicuramente, anche lei riconosce l'efficacia».
terraterra
Luca Martinelli
Iniziano a misurarsi gli effetti dell'apertura commerciale imposta dagli Stati uniti d'America ai paesi centro americani. In Guatemala il deficit commerciale tra luglio e settembre del 2006 è cresciuto del 36% rispetto allo stesso periodo dell'anno prima, ed è aumentata la dipendenza dall'economia Usa (verso cui viaggia il 46% dell'export e da dove arriva il 34,3% dell'import). Secondo un'analisi diffusa dall'Istituto di studi agrari e rurali, dall'entrata in vigore del Cafta (Central America free trade agreement) il paese ha importato 541 mila tonnellate di mais, pari a 1/3 del fabbisogno nazionale, per 61,5 milioni di dollari (+ 18% in volume e + 32% in valore la variazione rispetto al 2005 tra gennaio e settembre 2006). I prezzi al consumo degli alimenti base della dieta della popolazione più povera è cresciuto del 7,5%. I benefici, legati alle esportazioni, sono per pochi, come i grandi produttori di canna da zucchero (+ 55% dell'export).
Dal primo marzo il Trattato di libero commercio è in vigore anche in El Salvador. Lo stesso giorno le organizzazioni sociali sono scese in piazza per protestare contro un accordo che causerà la rovina «di 400 mila produttori di mais, fagioli e riso, beni di consumo che fanno parte della dieta del popolo, a causa della grande importazione di questi prodotti che negli Stati uniti sono sussidiati dal governo e prodotti sfruttando tecnologie altamente sviluppate», come si legge in una nota diffusa attraverso l'agenzia di stampa Adital, che aggiunge: «Subiranno gli effetti negativi del trattato oltre 65 mila famiglie che attualmente si dedicano al commercio informale di Cd e Dvd». Cinque giorni prima, lunedì 26 febbraio, almeno 200 mila persone hanno partecipato alla marcia convocata a San José del Costa Rica dal movimento che si oppone alla ratifica del Cafta. In molti hanno partecipato anche alle manifestazioni parallele, lo stesso giorno, in altre città come Santa Cruz, Liberia, San Carlos e Limón. Il Costa Rica è l'ultimo tra i paesi centro americani a non aver aperto le frontiere ai prodotti Usa. A San José una folla di donne, indigeni, studenti, università, cooperative, associazioni per lo sviluppo, sindacati hanno camminato, per 5 ore, dalla statua di León Cortés fino alla sede del Parlamento, per chiedere al presidente della Repubblica, il premio Nobel per la pace Oscal Arias, di non ratificare il Trattato di libero commercio.
Il Frente de lucha contra el Tlc costaricense ha ottenuto anche l'appoggio della Federazione internazionale per i diritti umani (Fidh), che ha rivolto una lettera a Oscar Arias, impegnato in un'azione di lobbying pro-Tlc e in una crociata di demonizzazione del movimento: «Il suo governo e altri settori del potere economico, politico e dell'opinione pubblica hanno più volte pubblicamente delegittimato il movimento che si oppone al Tlc in Costa Rica, con l'obiettivo ultimo di criminalizzare la lotta sociale, creando un clima di tensione che può erodere la pace e danneggiare la governabilità democratica che ha positivamente caratterizzato il suo Paese nelle ultime decadi».
Il Costa Rica, definito «la Svizzera dell'America centrale» per il suo carattere neutrale, registra i più alti indici di qualità della vita di tutto il Centro America. «Confidiamo che sappia re-orientare il suo comportamento in favore dello Stato sociale di diritto», continua il monito della Fidh. «Garantire i servizi pubblici e la protezione sociale è cruciale in Costa Rica. Il suo paese oggi ha i migliori indici regionali di copertura elettrica, telefonica, di salute, di acqua, grazie all'eccellente funzionamento delle istituzioni di servizio pubblico, e alla qualità delle istituzioni democratiche». Conclude la Federazione internazionale per i diritti umani: «È imprescindibile \ salvaguardare le ricchezze della nazione, a partire dalle imprese pubbliche delle quali, sicuramente, anche lei riconosce l'efficacia».
Etichette: Centro America y Caribe
14 marzo, 2007
Le vibrazioni negative di Bush
Dopo le violente contestazioni ricevute in Brasile, Uruguay e Colombia, anche in Guatemala il presidente Bush è stato attaccato dai rappresentanti delle comunità Maya: “Dopo il suo passaggio dobbiamo purificare la zona” hanno detto i discendenti della civiltà nata 1500 anni prima di Cristo.
“George Bush porta con sé vibrazioni negative, per questo il luogo va ripulito”. Ha detto il rappresentante del popolo Maya in Guatemala, Rodolfo Pocop, a commento della permanenza del presidente Bush nel piccolo e fedele (solo agli Usa..) stato centramericano.
I discendenti dell'antico popolo non gradiscono il passaggio di re George in uno dei luoghi sacri della civiltà maya: le rovine di Iximchè, impareggiabili dal punto di vista archeologico, dove da più di tre millenni (e ancora oggi) si celebrano i riti sacri di questa civiltà.
E per questo hanno deciso di 'ripulirli' dalla negatività lasciata da Bush in un modo molto particolare: saranno bruciati incensi e fiori e tutto sarà bagnato con l'acqua del posto, in pieno stile Maya.
“Dopo il passaggio di Bush, che vuole trasformare un luogo sacro della nostra cultura e identità in uno show folkloristico per divertirsi con i suoi accompagnatori, dovremo ristabilire la pace e l'armonia” ha commentato il capo Maya.
Dopo essere giunto in Guatemala, quarta tappa del suo viaggio in America Latina, Bush, ha avuto un colloquio con il suo parigrado guatemalteco, Oscar Berger, e insieme a lui si è diretto verso la provincia di Chimaltenango, per far visita alle popolazioni indigene.
Il viaggio. Dopo le violentissime polemiche e i tafferugli che hanno caratterizzato la visita del presidente Bush in Brasile, dove, insieme al leader brasiliano, Lula, ha stipulato accordi sulla fornitura di etanolo, le contestazioni sono arrivate anche da molti gruppi della sinistra radicale in Uruguay, seconda tappa del tour latinoamericano del leader Usa. A controllare la situazione, però, al largo di Montevideo c'era una portaerei, la J.F.Kennedy, dotata di un sofisticato sistema radar e in grado di assistere il presidente in ogni tipo di esigenza.
Ma le contestazioni più feroci si sono avute in Colombia, da sempre considerato da Bush un Paese amico, dove le autorità di Bogotà sono state costrette a arrestare 325 persone, 33 delle quali minorenni. In più, durante gli incidenti fra manifestanti e polizia sarebbero state ferite decine di persone, bruciate foto con l'immagine di Bush, branditi cartelloni con scritte eloquenti: da” Bush assassino” a “Via Bush dall'America Latina” ai più fantasiosi “Viva Chavez”. E pensare che Bush era arrivato in Colombia per discutere nuovi piani per la lotta al narcotraffico e alla guerriglia. Le cose, come abbiamo potuto notare, non sono andate meglio in Guatemala. Le proteste, inizate a Città del Guatemala, sono proseguite anche nelle zone dove è maggiore la densità di abitanti di origine Maya, da sempre diffidenti nei confronti della politica di Washington.E pensare che Bush era arrivato in America Latina per “riconquistarne” la fiducia a colpi di propaganda e di promesse di finanziamenti per la lotta alla povertà.
“George Bush porta con sé vibrazioni negative, per questo il luogo va ripulito”. Ha detto il rappresentante del popolo Maya in Guatemala, Rodolfo Pocop, a commento della permanenza del presidente Bush nel piccolo e fedele (solo agli Usa..) stato centramericano.
I discendenti dell'antico popolo non gradiscono il passaggio di re George in uno dei luoghi sacri della civiltà maya: le rovine di Iximchè, impareggiabili dal punto di vista archeologico, dove da più di tre millenni (e ancora oggi) si celebrano i riti sacri di questa civiltà.
E per questo hanno deciso di 'ripulirli' dalla negatività lasciata da Bush in un modo molto particolare: saranno bruciati incensi e fiori e tutto sarà bagnato con l'acqua del posto, in pieno stile Maya.
“Dopo il passaggio di Bush, che vuole trasformare un luogo sacro della nostra cultura e identità in uno show folkloristico per divertirsi con i suoi accompagnatori, dovremo ristabilire la pace e l'armonia” ha commentato il capo Maya.
Dopo essere giunto in Guatemala, quarta tappa del suo viaggio in America Latina, Bush, ha avuto un colloquio con il suo parigrado guatemalteco, Oscar Berger, e insieme a lui si è diretto verso la provincia di Chimaltenango, per far visita alle popolazioni indigene.
Il viaggio. Dopo le violentissime polemiche e i tafferugli che hanno caratterizzato la visita del presidente Bush in Brasile, dove, insieme al leader brasiliano, Lula, ha stipulato accordi sulla fornitura di etanolo, le contestazioni sono arrivate anche da molti gruppi della sinistra radicale in Uruguay, seconda tappa del tour latinoamericano del leader Usa. A controllare la situazione, però, al largo di Montevideo c'era una portaerei, la J.F.Kennedy, dotata di un sofisticato sistema radar e in grado di assistere il presidente in ogni tipo di esigenza.
Ma le contestazioni più feroci si sono avute in Colombia, da sempre considerato da Bush un Paese amico, dove le autorità di Bogotà sono state costrette a arrestare 325 persone, 33 delle quali minorenni. In più, durante gli incidenti fra manifestanti e polizia sarebbero state ferite decine di persone, bruciate foto con l'immagine di Bush, branditi cartelloni con scritte eloquenti: da” Bush assassino” a “Via Bush dall'America Latina” ai più fantasiosi “Viva Chavez”. E pensare che Bush era arrivato in Colombia per discutere nuovi piani per la lotta al narcotraffico e alla guerriglia. Le cose, come abbiamo potuto notare, non sono andate meglio in Guatemala. Le proteste, inizate a Città del Guatemala, sono proseguite anche nelle zone dove è maggiore la densità di abitanti di origine Maya, da sempre diffidenti nei confronti della politica di Washington.E pensare che Bush era arrivato in America Latina per “riconquistarne” la fiducia a colpi di propaganda e di promesse di finanziamenti per la lotta alla povertà.
Da PeaceReporter
13.3.2007Alessandro Grandi
Etichette: America Latina
13 marzo, 2007
Oro assassino
L'attività mineraria non solo mette a rischio la salute delle persone che vivono nelle zone di sfruttamento ma anche le persone che, in qualche modo, cercano di mettere un freno alla contaminazione ambientale, sociale e umana prodotta dalla moderna febbre dell'oro.
Flaviano Bianchini
18 febbraio 2007
Flaviano Bianchini
18 febbraio 2007
Nella Valle de Siria, In Honduras, la mortalità infantile è 12 volte la media nazionale. Quella dei lavoratori della miniera lo è 33 volte e arriva a superare l'80%. Sempre in Honduras, nella miniera di San Andrés i bambini di una scuola sono costretti a studiare a 70 metri dagli innaffiatoi che spruzzano cianuro (la stessa sostanza che Hitler usava per uccidere gli Ebrei) al ritmo di 30 quintali al giorno.In Cile, a Pascua Lama non sono contenti dello scioglimento dei ghiacciai causato dal mutamento climatico. Per una compagnia mineraria canadese, della quale non menziono il nome per un semplice rispetto alla carta, il ghiacciaio Pascua Lama si scioglie troppo lentamente. Così lo stanno "muovendo" per poter estrarre l'oro che si trova sotto di esso.In Perù la miniera di Yanacocha nel 2001 ha sparso 30 tonnellate di mercurio nei fiumi avvelenando 5000 persone che ancora oggi ne soffrono le conseguenze. E chi non ricorda poi la nostra vicina Romania? Nel 2000 a causa di una forte pioggia la diga di lisciviazione di una miniera d'oro nella regione di Baia Mare si è rotta ed ha riversato migliaia di tonnellate di cianuro nel fiume Tisa, e di lì al Danubio. Chi non ricorda le immagini del fiume più grande d'Europa totalmente morto? Il cianuro, e con lui la morte, sono arrivati fino al Mar Nero uccidendo tutto quello che incontravano per ben 2535 Km. E che fine avranno fatto i pescatori del Grande Fiume?Nel suo secondo viaggio in America Colombo scoprì che le sirene esistevano ancora ed erano i Lamantini (mammiferi parenti al Dugongo mediterraneo da cui viene la leggenda). Oggi i Lamantini sono messi in pericolo dalla miniera de El Estor, che minaccia di utilizzare il Lago di Izabal (il luogo dove si sono rifugiate le ultime sirene) come una piattaforma per estrarre e processare metalli.
E poi c'è Sipakapa.
Sipakapa è un piccolo paesino di popolazione indigena Maya sipakapense. Sono solo 14.000 i sipakapensi e, secondo l'accademia Maya del Guatemala, sono tra le etnie a più alto rischio d'estinzione, ma anche questo non interessa alle compagnie minerarie che vogliono trasformare il loro territorio in una gruviera per estrarre ogni minima traccia di metallo prezioso che si possa trovare nella zona.Molti si chiederanno: come può una miniera eliminare una etnia? La risposta è semplice: eliminando il loro territorio. Cosa saremmo noi italiani senza l'Italia? Io sono fabrianese perchè Fabriano esiste. E perchè a Fabriano sono nato e lì ho vissuto molti anni. E se a Fabriano non ci fosse acqua? E se la poca acqua fosse inquinata? Probabilmente io non sarei nato. Sarei stato abortito o morto giovanissimo, come l'80% dei bambini di Nuova Palo Ralo, nel Valle de Siria. O forse i miei genitori sarebbero scappati dall'acqua avvelenata e io sarei nato in un altro posto. Ma allora non sarei fabrianese.Lo stesso vale per i sipakapensi. Se l'acqua è scarsa e la poca acqua che resta è inquinata cosa possono fare i sipakapensi? Morire o scappare. Ma in entrambi i casi non sarebbero più sipakapensi.Ed è esattamente quello che sta succedendo a Sipakapa. Una compagnia mineraria canadese (anche in questo caso preferisco rispettare la carta lasciandola anonima) è arrivata qui pochi anni fa per estrarre quell'inutile metallo giallo che fa venire la febbre. In un paio d'anni l'acqua ha iniziato a scarseggiare e quella poca che è rimasta è inquinata.
Tutti lo sanno che l'acqua è inquinata, e tutti lo dicono. Ma senza le prove nessuno ascolta. E così il corrotto ministero delle miniere e la compagnia sono andate avanti pacifiche e beate con le loro orecchie tappate.Ma dopo un anno di studi finalmente gli abbiamo presentato quello che loro volevano: le prove. Uno studio tecnico da me eseguito lo dimostra chiaramente. L'acqua è inquinata. Mortalmente inquinata. Avete voluto le prove? Eccole qui. Ve le diamo. Ecco uno studio. Ma la compagnia oltre a dettare le regole del gioco non sa neanche giocare. O meglio non sa perdere. Le prove noi le abbiamo presentate e adesso aspettiamo le loro. Ma ormai è passato un mese esatto e le loro prove non si sono ancora viste, né intraviste.Quelle che sì, si sono viste sono le minacce e le intimidazioni. Quelle sì. Sono iniziate giusto il giorno dopo la presentazione dello studio. Il Viceministro delle minere ha dato la sua bella, pomposa e lussureggiante conferenza stampa e mi ha accusato di essere un falsario e che mi avrebbe denunciato. Ma non gli è bastato. Perché anche con questo ha perso. Le prove di cui tanto parlavano non le hanno. Parlano sempre di prove ma dove sono le loro?Allora sono passati alla fase in cui le prove non gli servono più. Loro hanno imposto la prova come una regola fondamentale del gioco ma quando si sono accorti di aver perso hanno iniziato a giocare a un gioco dove non valgono le prove.Nei 36 eterni anni di guerra che hanno straziato questo Paese non avrebbero avuto problemi. Un desaparecido in più o in meno su 50.000 non lo nota nessuno. Ma ormai The time are in changed, i tempi stanno cambiando e non è più così facile far sparire uno. Soprattutto se straniero.Ma siccome non sanno perdere le loro tecniche non le hanno abbandonate, le hanno solo cambiate. Non posono farti sparire. Non c'è problema. Quello che fanno è farti impazzire. Ogni giorno suona il telefono, numero segreto, voce lontana e avvisi più che espliciti. Sotto casa c'è sempre la stessa macchina con i vetri oscurati che se ne va appena entri o esci; la macchina ha un adesivo sul retro, per fartelo capire: siamo noi. Semplice. Ti rendono la vita impossibile. Fino a quando non cedi e lasci perdere, e vai a fare il classico e normale naturalista da laboratorio che passa la sua vita a studiare la riproduzione asessuata dei protozoi uniflagellati.Ma siccome non sanno giocare non conoscono neanche l'avversario. Né i suoi compagni. E non sanno che esiste Sipakapa, dove le loro regole non valgono. A Sipakapa le regole che valgono sono quelle dei Maya, quelle del rispetto dell'ambiente e della vita e neanche loro che non sanno giocare si azzardano a giocare con Sipakapa. E qui a Sipakapa non ci mettono piede. E non ce lo metteranno mai più.
Tutti lo sanno che l'acqua è inquinata, e tutti lo dicono. Ma senza le prove nessuno ascolta. E così il corrotto ministero delle miniere e la compagnia sono andate avanti pacifiche e beate con le loro orecchie tappate.Ma dopo un anno di studi finalmente gli abbiamo presentato quello che loro volevano: le prove. Uno studio tecnico da me eseguito lo dimostra chiaramente. L'acqua è inquinata. Mortalmente inquinata. Avete voluto le prove? Eccole qui. Ve le diamo. Ecco uno studio. Ma la compagnia oltre a dettare le regole del gioco non sa neanche giocare. O meglio non sa perdere. Le prove noi le abbiamo presentate e adesso aspettiamo le loro. Ma ormai è passato un mese esatto e le loro prove non si sono ancora viste, né intraviste.Quelle che sì, si sono viste sono le minacce e le intimidazioni. Quelle sì. Sono iniziate giusto il giorno dopo la presentazione dello studio. Il Viceministro delle minere ha dato la sua bella, pomposa e lussureggiante conferenza stampa e mi ha accusato di essere un falsario e che mi avrebbe denunciato. Ma non gli è bastato. Perché anche con questo ha perso. Le prove di cui tanto parlavano non le hanno. Parlano sempre di prove ma dove sono le loro?Allora sono passati alla fase in cui le prove non gli servono più. Loro hanno imposto la prova come una regola fondamentale del gioco ma quando si sono accorti di aver perso hanno iniziato a giocare a un gioco dove non valgono le prove.Nei 36 eterni anni di guerra che hanno straziato questo Paese non avrebbero avuto problemi. Un desaparecido in più o in meno su 50.000 non lo nota nessuno. Ma ormai The time are in changed, i tempi stanno cambiando e non è più così facile far sparire uno. Soprattutto se straniero.Ma siccome non sanno perdere le loro tecniche non le hanno abbandonate, le hanno solo cambiate. Non posono farti sparire. Non c'è problema. Quello che fanno è farti impazzire. Ogni giorno suona il telefono, numero segreto, voce lontana e avvisi più che espliciti. Sotto casa c'è sempre la stessa macchina con i vetri oscurati che se ne va appena entri o esci; la macchina ha un adesivo sul retro, per fartelo capire: siamo noi. Semplice. Ti rendono la vita impossibile. Fino a quando non cedi e lasci perdere, e vai a fare il classico e normale naturalista da laboratorio che passa la sua vita a studiare la riproduzione asessuata dei protozoi uniflagellati.Ma siccome non sanno giocare non conoscono neanche l'avversario. Né i suoi compagni. E non sanno che esiste Sipakapa, dove le loro regole non valgono. A Sipakapa le regole che valgono sono quelle dei Maya, quelle del rispetto dell'ambiente e della vita e neanche loro che non sanno giocare si azzardano a giocare con Sipakapa. E qui a Sipakapa non ci mettono piede. E non ce lo metteranno mai più.
Etichette: Centro America y Caribe
Bogotà, Colombia - Proteste e scontri in occasione del visita lampo di Bush
Cariche della polizia contro i manifestanti e 120 arresti
Lunedì 12 marzo 2007
da GlobalProyect.info
Galleria d’immagini
Violenti scontri e 120 arresti è il bilancio della visita di G.W. Bush a Bogotà, nella sua terza tappa in America Latina.Come è successo in Brasile e in Uruguay migliaia di persone, soprattutto giovani, sono scesi in strada al grido di "Fuori Bush, assassino!".I manifestanti sono stati dispersi dai reparti antisommossa con i gas lacrimogeni e idranti, dopo pesanti scontri avvenuti nella mattinata.Imponente e spettacolare il dispositivo di sicurezza messo in campo: 25mila fra forze di polizia e esercito, due dozzine di aeronavi della forza aerea, veicoli blindati e tank da guerra, centinaia di cecchini appostati sugli edifici del centro della città e moltissimi agenti in borghese di Colombia e Stati Uniti.Lotta al narcotraffico, impegno sul Trattato di libero commercio e Plan Colombia, al centro di questa visita del presidente americano in Colombia.
Lunedì 12 marzo 2007
da GlobalProyect.info
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Violenti scontri e 120 arresti è il bilancio della visita di G.W. Bush a Bogotà, nella sua terza tappa in America Latina.Come è successo in Brasile e in Uruguay migliaia di persone, soprattutto giovani, sono scesi in strada al grido di "Fuori Bush, assassino!".I manifestanti sono stati dispersi dai reparti antisommossa con i gas lacrimogeni e idranti, dopo pesanti scontri avvenuti nella mattinata.Imponente e spettacolare il dispositivo di sicurezza messo in campo: 25mila fra forze di polizia e esercito, due dozzine di aeronavi della forza aerea, veicoli blindati e tank da guerra, centinaia di cecchini appostati sugli edifici del centro della città e moltissimi agenti in borghese di Colombia e Stati Uniti.Lotta al narcotraffico, impegno sul Trattato di libero commercio e Plan Colombia, al centro di questa visita del presidente americano in Colombia.
Etichette: America Latina
12 marzo, 2007
GUATEMALA: Finca Santa Teresa: una favola a lieto fine
da "il manifesto" del 09 Marzo 2007
/terra terra/
*Una favola a lieto fine*
Luca Martinelli
Sono passati quasi 100 anni dalla rivoluzione messicana ma il grido di battaglia lanciato da Emiliano Zapata e dal suo Ejercito libertador del Sur rimane valido per i contadini e gli indigeni di tutta l'America latina. La lotta per la riforma agraria è al centro dell'agenda politica di Via campesina, il più grande movimento sociale a livello mondiale.
Ed è stata festa grande il 9 febbraio scorso nella finca Santa Teresa, a San Miguel di Tucurú, nel dipartimento di Alta Verapaz, in Guatemala. Carlos Girón, direttore generale di Fontierra, un programma governativo creato nel 1996, all'indomani degli Accordi di pace, per finanziare l'acquisto di terre da parte di comunità contadine sin tierra, ha consegnato a 205 capifamiglia della finca Santa Teresa altrettanti titoli di proprietà. I contadini diventano proprietari di un latifondo di 652 ettari, già in mano a coloni tedeschi che dalla fine dell'ottocento hanno utilizzato queste terre per coltivare ed esportare caffé, sfruttando la manodopera indigena. Il credito governativo, che dovrà essere restituito in dodici anni a tassi d'interesse agevolati, è di 4 milioni e 400 mila quetzales (poco più di 430 mila euro).
Oggi - si legge sul sito dell'associazione di promozione sociale italiana EOSmundi, che promuove progetti di solidarietà con gli abitanti di Santa Teresa - «sono 250 circa le famiglie che abitano la finca, divise in tre comunità Las Palmas, San Juan Las Flores e San Jorge El Zapote». «Prima di ipotecare la fattoria - spiegano - il vecchio proprietario aveva ceduto un poco di terra agli indigeni, per dare loro la possibilità di costruire delle capanne e coltivare del mais». Nel 2000, però, la finca era passata di mano: l'aveva acquistata una società finanziaria panamense, per una storia di ipoteche in seguito a un prestito non restituito. Ed è con questa finanziaria che i contadini hanno negoziato l'acquisto di Santa Teresa, il prezzo per riscattare la terra dove sono nati e cresciuti, «e che - come spesso accade alle latitudini centroamericane - era appartenuta ai loro avi, mentre oggi loro sono trattati come schiavi, costretti a lavorare per un salario miserabile».
Nel 2002 i contadini decisero di occupare la propria terra: era impossibile arrivare ad un accordo economico con i nuovi proprietari.
La risposta del governo - come accade spesso, in Guatemala - fu la repressione: il 4 settembre del 2002 «le forze di sicurezza dello stato (l'esercito e la polizia nazionale) tentarono di allontanare con la forza oltre 500 famiglie dalla finca Santa Teresa, ma furono respinte da oltre duemila contadini armati di pietra, pali e machetes». Secondo una nota diffusa - allora - dal Coordinamento nazionale indigeno e contadino (Conic) e pubblicata dal quotidiano La Hora «di fronte alla resistenza della comunità organizzata, (esercito e polizia) utilizzarono centinaia di bombe lacrimogene, spari nell'aria, e circondarono otto dirigenti della comunità, che furono colpiti e torturati».
«Ciò provocò una reazione violenta da parte dei contadini - continua il Conic - che risposero alle forze di sicurezza, liberando gli otto fermati e mettendo in fuga tutte le unità, che scapparono in modo disordinato per la grande paura, lasciando dietro di sé le armi». Una volta privata della proprietà, però, la finanziaria accettò di negoziare il prezzo di vendita. Solo quest'anno è stato firmato l'atto di vendita della finca: sarà Fontierra - programma finanziato anche dalla Banca mondiale - a pagare la finanziaria, tramite una banca. A tutte le famiglie verrà garantito anche un sussidio: il ministero dell'Agricoltura ha deciso di finanziare lo sviluppo della coltivazioni di caffè biologico, la riforestazione e attività di floricoltura. In un'area di così forti tensioni sociali - concludono i volontari di EOSmundi - il successo dei contadini di Santa Teresa è una piccola speranza di cambiamento».
/terra terra/
*Una favola a lieto fine*
Luca Martinelli
Sono passati quasi 100 anni dalla rivoluzione messicana ma il grido di battaglia lanciato da Emiliano Zapata e dal suo Ejercito libertador del Sur rimane valido per i contadini e gli indigeni di tutta l'America latina. La lotta per la riforma agraria è al centro dell'agenda politica di Via campesina, il più grande movimento sociale a livello mondiale.
Ed è stata festa grande il 9 febbraio scorso nella finca Santa Teresa, a San Miguel di Tucurú, nel dipartimento di Alta Verapaz, in Guatemala. Carlos Girón, direttore generale di Fontierra, un programma governativo creato nel 1996, all'indomani degli Accordi di pace, per finanziare l'acquisto di terre da parte di comunità contadine sin tierra, ha consegnato a 205 capifamiglia della finca Santa Teresa altrettanti titoli di proprietà. I contadini diventano proprietari di un latifondo di 652 ettari, già in mano a coloni tedeschi che dalla fine dell'ottocento hanno utilizzato queste terre per coltivare ed esportare caffé, sfruttando la manodopera indigena. Il credito governativo, che dovrà essere restituito in dodici anni a tassi d'interesse agevolati, è di 4 milioni e 400 mila quetzales (poco più di 430 mila euro).
Oggi - si legge sul sito dell'associazione di promozione sociale italiana EOSmundi, che promuove progetti di solidarietà con gli abitanti di Santa Teresa - «sono 250 circa le famiglie che abitano la finca, divise in tre comunità Las Palmas, San Juan Las Flores e San Jorge El Zapote». «Prima di ipotecare la fattoria - spiegano - il vecchio proprietario aveva ceduto un poco di terra agli indigeni, per dare loro la possibilità di costruire delle capanne e coltivare del mais». Nel 2000, però, la finca era passata di mano: l'aveva acquistata una società finanziaria panamense, per una storia di ipoteche in seguito a un prestito non restituito. Ed è con questa finanziaria che i contadini hanno negoziato l'acquisto di Santa Teresa, il prezzo per riscattare la terra dove sono nati e cresciuti, «e che - come spesso accade alle latitudini centroamericane - era appartenuta ai loro avi, mentre oggi loro sono trattati come schiavi, costretti a lavorare per un salario miserabile».
Nel 2002 i contadini decisero di occupare la propria terra: era impossibile arrivare ad un accordo economico con i nuovi proprietari.
La risposta del governo - come accade spesso, in Guatemala - fu la repressione: il 4 settembre del 2002 «le forze di sicurezza dello stato (l'esercito e la polizia nazionale) tentarono di allontanare con la forza oltre 500 famiglie dalla finca Santa Teresa, ma furono respinte da oltre duemila contadini armati di pietra, pali e machetes». Secondo una nota diffusa - allora - dal Coordinamento nazionale indigeno e contadino (Conic) e pubblicata dal quotidiano La Hora «di fronte alla resistenza della comunità organizzata, (esercito e polizia) utilizzarono centinaia di bombe lacrimogene, spari nell'aria, e circondarono otto dirigenti della comunità, che furono colpiti e torturati».
«Ciò provocò una reazione violenta da parte dei contadini - continua il Conic - che risposero alle forze di sicurezza, liberando gli otto fermati e mettendo in fuga tutte le unità, che scapparono in modo disordinato per la grande paura, lasciando dietro di sé le armi». Una volta privata della proprietà, però, la finanziaria accettò di negoziare il prezzo di vendita. Solo quest'anno è stato firmato l'atto di vendita della finca: sarà Fontierra - programma finanziato anche dalla Banca mondiale - a pagare la finanziaria, tramite una banca. A tutte le famiglie verrà garantito anche un sussidio: il ministero dell'Agricoltura ha deciso di finanziare lo sviluppo della coltivazioni di caffè biologico, la riforestazione e attività di floricoltura. In un'area di così forti tensioni sociali - concludono i volontari di EOSmundi - il successo dei contadini di Santa Teresa è una piccola speranza di cambiamento».
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04 marzo, 2007
Attivista salvadoreño ucciso per una diga
di Luca Martinelli da "Il Manifesto"
Il cadavere di Gerson Roberto Albayero Granados, attivista salvadoreño della «Red latinoaméricana de afectados por las represas» (movimento che riunisce a livello continentale tutte le organizzazioni e comunità che protestano contro la costruzione delle megacentrali idroelettriche) è stato ritrovato il 26 gennaio scorso. Torturato e in stato di decomposizione. Gerson era scomparso domenica 21 gennaio, mentre tornava «da un'attività del movimento nazionale contro le dighe de El Salvador nel municipio di Texistepeque, dipartimento di Santa Ana», come denunciano in un e-mail i compagni della Redlar. Durante l'incontro avevano parlato degli impatti della diga El Cimarron, che dovrebbe costruirsi 20 km a sud del municipio di Citalá, Chalatenango: un progetto da 404 milioni di dollari per una potenza istallata di 243 megawatt/ora. «Il nostro compagno di lotta Gerson Roberto Albayero Granados è stato visto per l'ultima volta alle 8.40, quando tre soggetti sconosciuti, e all'apparenza malintenzionati, lo hanno bloccato nel veicolo che guidava, di Funprocoop, un'organizzazione aderente al movimento. La polizia ha ritrovato l'auto abbandonata - continua il messaggio del Movimiento nacional anti represas de El Salvador - e al suo interno è stato ritrovato un coltello sporco di sangue». Gli assassini hanno inferto 13 coltellate all'attivista, da oltre 4 anni membro del movimento. La diga El Cimarron fa parte - con le represas El Tigre e El Chaparral - del piano di sviluppo idroelettrico del governo salvadoreño, nell'ambito del Plan Puebla Panamá e del Sistema di interconnessione energetica dell'America Centrale (Siepac), una linea di 1.830 km di lunghezza e 230kv di capacità che dovrebbe unire le reti di tutti i Paesi della Regione. Il presidente di El Salvador Antonio Saca difende El Cimarron, il cui progetto esecutivo fu presentato nel 1997. La diga dovrebbe essere costruita nella parte alta del corso del fiume Río Lempa, con un invaso lungo 18,7 km. Se la diga venisse realizzata, le acque del fiume sarebbero deviate al fiume Metayate attraverso un tunnel di 11 km (da costruire), riducendo la portata del Río Lempa, nel punto in cui verrà costruito l'invaso, da 32,7 metri cubi al secondo a 0,7 metri cubi al secondo. Gli effetti negativi dell'opera si riverserebbero fino a oltre 75 km di distanza, alla diga Cerrón Grande, colpendo numerose comunità, ecosistemi e fonti d'acqua che garantiscono acqua potabile alla popolazione. Secondo i calcoli del Tribunale centroamericano dell'acqua (Tca), che già nel 2000 espresse una ferma condanna del progetto, «la costruzione della diga danneggerebbe direttamente almeno 100.000 persone, alle quali il governo non sta offrendo alcuna opzione di riubicazione o di sviluppo per il futuro».Nella sentenza il Tca raccomandò al governo di El Salvador, «per non venir meno ai principi riconosciuti dalla Costituzione della Repubblica, che la obbliga a considerare l'essere umano al centro dell'attività statale, e ai trattati internazionali sui diritti umani, di ordinare all'impresa statale Comisión Hidroeléctrica del Río Lempa (Cel) la sospensione del progetto e di astenersi dalla costruzione della centrale idroelettrica El Cimarrón». Il monito è rimasto lettera morta, ma il progetto è ancora fermo: per l'opposizione della popolazione locale e la mancanza di finanziamenti. Alla diga si oppone anche la diocesi di Chalatenango. Una lettera del vescovo Eduardo Alas Alfaro ricorda l'inutilità dell'opera: «Chalatenango sperimenta la presenza di centrali idroelettriche da oltre 50 anni, oggi ci sono due dighe attive, ma i benefici presentati a partire da quel momento non sono ancora arrivati. Il dipartimento è ancora povero, e invece di sviluppo le dighe hanno portato distruzione dell'ambiente e un aumento di malattie, senza possibilità di cure. Perciò, non crediamo alla propaganda che la costruzione di un'altra diga possa rendere Chalatenango più prospero e sviluppato».
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Violento sgombero a El Estor, Izabal, Guatemala
L’8 e il 9 gennaio del 2007, in Guatemala centinaia di poliziotti e militari hanno sgomberato con la forza gli abitanti di diverse comunità le cui terre erano state concesse, nel 1965, dal governo militare guatemalteco alla compagnia mineraria canadese INCO. Le popolazioni indigene locali rivendicano la proprietà di quelle terre e rifiutano il loro sfruttamento da parte di una compagnia straniera. La Canada’s Skye Resources ora reclama quelle terre, e ha pagato ai lavoratori una somma nominale per distruggere le case della gente. Con la forza delle armi e della polizia, i lavoratori della compagnia hanno portato catene e torce nelle case della gente, sotto gli occhi di donne e bambini. Skye Resources dichiara che durante questa azione “ è stata mantenuta un atmosfera pacifica”.
qui potete vedere in video:
http://www.rightsaction.org/video/elestor/ (presto sará disponibile la versione in italiano)
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03 marzo, 2007
“E’ la globalizzazione bellezza!”.
I suoi effetti, in Honduras, paese centroamericano arrivano senza lustrini e paillette,dibattiti e tavole rotonde, ma con pallottole e violenza. Poco prima di Natale nella regione è tornata a colpire la repressione. Heraldo Zuniga e Roger Ivan Cartagena, attivisti del Movimento ambientalista dell’Olancho (Mao) in Honduras sono stati assassinati. Davanti al comune di Guarizama, secondo il Mao, Juan Lanza, sergente della Polizia nazionale ha colpito i due militanti. La loro colpa è di combattere senza sosta contro la depredazione sistematica delle risorse delle loro terre. Una depredazione continua. Le foreste dell’Olancho rappresentano la più grande riserva boschiva del paese, ricco di correnti d’acqua e di legno pregiato, ma ogni giorno 120 camion trasportano legname, tagliato illegalmente. Legname che non serve agli honduregni, che gli honduregni non vedranno mai, ma che arriva nei depostiti delle multinazionali che poi lo rivendono e lucrano. Ogni giorno, nella regione dell’Olancho, sono all’opera 10 mila motoseghe, che producono un taglio annuale di 150 mila ettari. Sia il puma, sia numerose specie di uccelli si sono estinti. Le falde acquifere si sono essiccate. L’ecosistema è stato stravolto, sotto la scure dei tagliatori e di chi ne arma la mano. Quello del legno illegale è un affare sporco, i primi importatori sono gli Stati Uniti e l’Unione Europea, con gli stati membri che continuano ad utilizzarlo senza rispettare le risoluzioni del parlamento europeo e gli accordi sottoscritti. Le speculazioni arricchiscono le multinazionali, tra queste una italiana, ed incrementano il loro giro di affari. Si chiama Wallmarterizzazione, dal nome di una multinazionale senza scrupoli, la Wall-Mart appunto. Con questo termine si indica lo stile aggressivo, le speculazioni sociali ed ambientali delle corporation. Contro questa rapina, gli attivisti del Mao sono impegnati ogni giorno, mettendo a repentaglio la loro incolumità. Zuniga e Cartagena erano stati oggetto di intimidazioni da parte dei dipendenti di multinazionali che lavorano sul posto, per questo, la Corte interamericana aveva chiesto al governo di garantirne la protezione. Invito caduto miseramente nel vuoto. Una morte annunciata. Le colpe del governo honduregno, per il Mao, sono evidenti.“Un governo fantoccio - denuncia Victor Ochoa, militante e tra i leader del Mao -, manovrato dai capricci dei gruppi di potere tra cui i proprietari terrieri, che si sono arricchiti con il disboscamento selvaggio, senza aver mai pagato una tassa, un guadagno enorme che non hanno nessuna intenzione di abbandonare”. L’Honduras è un paese poverissimo, è inserito, infatti, nella lista degli stati per i quali il g8 di Scozia ha chiesto la cancellazione del debito contratto con le istituzioni finanziarie internazionali(Fmi e BM). Ochoa, anche lui più volte minacciato di morte, ha risposto ad alcune domande tramite e-mail. Racconta di una situazione al limite, dove funzionari, amministratori e imprenditori senza scrupoli stanno mettendo a rischio il sistema idrogeologico, l’ecosistema del loro paese, unicamente per il profitto. La morte dei due compagni non sembra rappresentare, pur nel dolore, un freno alla loro lotta. “Qui si dice –racconta Victor -“Potranno strappare un fiore ma non fermeranno la primavera”. La loro primavera è il vanto di vivere in quelle terre, ribelli e convinti che solo per la grande madre (la natura che li circonda e le sue risorse) vale la pena di vivere e lottare. Victor ne è convinto e con lui il movimento che rappresenta. Un movimento che si è reso protagoniste di lotte e manifestazioni . “Siamo riusciti – racconta Victor - nell’ultimo anno a bloccare alcuni processi di deforestazione ma i personaggi di cui sopra, hanno tentato con ogni mezzo di togliere ogni divieto, arrivando ad uccidere gli ambientalisti, ma noi non ci fermeremo”. Sembra lontano l’Honduras, il sangue degli attivisti del Mao, la violenza cieca delle multinazionali, ma non è così. L’Honduras è vicino, troppo vicino. La globalizzazione ha il merito di oscurare le contraddizioni, la repressione è lontana , il fuoco del loro legno è vicino. Tra i primi importatori,infatti, di quel legname italiano c’è proprio l’Italia. “L’Italia – ricorda Victor - è uno dei principali importatori di legname illegale, legname che provoca la distruzione di intere comunità, riducendole in miseria. Il vostro governo dovrebbe intervenire”.
Nello Trocchia
Nello Trocchia
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01 marzo, 2007
Minacce di morte e atti di persecuzione nei confronti di CIEPAC
Oggi, 26 febbraio 2007, tra le 9:20 e le 9:30, da sopra la porta della nostra sede è stato gettato un messaggio manoscritto su un foglio di quaderno, ripiegato in modo strano (a ventaglio), con il seguente testo: "Goditi il tuo ultimo giorno. Ti ammazzeremo ti sto cercando e ormai ti abbiamo trovato" (sic).
Precedenti:
Il 17 gennaio 2007 CIEPAC denuncia pubblicamente episodi di persecuzione e di pedinamento riscontrati negli ultimi mesi, in particolare denuncia il tentativo di violazione dei propri uffici, avvenuto il giorno 31 dicembre 2006. Dal momento della denuncia in poi, gli episodi di persecuzione e pedinamento s’intensificano, specialmente nei pressi del domicilio degli appartenenti alla nostra organizzazione.
Il 3 febbraio una compagna dell’equipe di CIEPAC si accorge che sulla porta di ingresso di casa sua è stato inciso il suo nome (apparentemente con un oggetto metallico) e provvede immediatamente a cancellarlo. Il 13 febbraio, di fronte alla stessa casa, nota un individuo (con baffi, di statura media, carnagione scura, sui 40 anni) con la tipica uniforme blu della Polizia Settoriale, recentemente rinominata "Polizia Preventiva". Osservandola arrivare e aprire la porta, il tipo in uniforme le si avvicina chiedendole di lasciarlo entrare per vedere come era montato il portone al suo interno, adducendo il pretesto che ne stava costruendo uno e apprezzava in particolare quel modello, scorrevole e non tanto alto. Ricevuta risposta negativa dalla nostra compagna, il soggetto dice "Non fa niente, l’ho già visto da fuori", e se ne va.
Il 24 febbraio, intorno all’1:30 di notte, uscendo da casa di un’altra compagna, dopo una cena dell’equipe di CIEPAC, alcuni compagni dell’organizzazione vengono perquisiti da agenti della Polizia Settoriale. Al momento di salire in auto, vengono intercettati da sei agenti in uniforme, due dei quali incappucciati, con armi di alto calibro, a bordo del mezzo identificato come PS-344. Mentre vengono richiesti a due compagni i rispettivi documenti di identità, uno degli agenti aggredisce fisicamente un altro compagno, costrigendolo con violenza ad appoggiarsi al veicolo per essere perquisito. Accertatisi dal libretto di circolazione di uno dei veicoli, della nostra appartenenza ad un’organizzazione non governativa, l’atteggiamento degli agenti passa da un tono aggressivo al tentativo di giustificazione, adducendo un’ipotetica "operazione di sicurezza". Le contraddizioni rispetto ai fini dell’operazione sono del tutto evidenti, così come la violenza utilizzata.
In questo clima di episodi intimidatori, la minaccia di morte ricevuta oggi rappresenta un attacco ancor più grave e directo all’integrità fisica ed emotiva dei membri di CIEPAC. Ribadiamo che CIEPAC continuerá il suo lavoro di accompagnamento alle lotte degne e giuste che cercano di costruire alternative al modello neoliberale. Manterremoe rafforzeremo le nostre misure di sicurezza, in coordinamento con la società civile nazionale ed internazionale. Esortiamo i gruppi organizzati a noi affini, nazionali ed internazionali, a mantenersi informati su ciò che potrebbe accadere nei prossimi giorni, ad esprimere la propria solidarietà ai movimenti sociali del Messico e a denunciare le costanti violazioni dei diritti umani.
Precedenti:
Il 17 gennaio 2007 CIEPAC denuncia pubblicamente episodi di persecuzione e di pedinamento riscontrati negli ultimi mesi, in particolare denuncia il tentativo di violazione dei propri uffici, avvenuto il giorno 31 dicembre 2006. Dal momento della denuncia in poi, gli episodi di persecuzione e pedinamento s’intensificano, specialmente nei pressi del domicilio degli appartenenti alla nostra organizzazione.
Il 3 febbraio una compagna dell’equipe di CIEPAC si accorge che sulla porta di ingresso di casa sua è stato inciso il suo nome (apparentemente con un oggetto metallico) e provvede immediatamente a cancellarlo. Il 13 febbraio, di fronte alla stessa casa, nota un individuo (con baffi, di statura media, carnagione scura, sui 40 anni) con la tipica uniforme blu della Polizia Settoriale, recentemente rinominata "Polizia Preventiva". Osservandola arrivare e aprire la porta, il tipo in uniforme le si avvicina chiedendole di lasciarlo entrare per vedere come era montato il portone al suo interno, adducendo il pretesto che ne stava costruendo uno e apprezzava in particolare quel modello, scorrevole e non tanto alto. Ricevuta risposta negativa dalla nostra compagna, il soggetto dice "Non fa niente, l’ho già visto da fuori", e se ne va.
Il 24 febbraio, intorno all’1:30 di notte, uscendo da casa di un’altra compagna, dopo una cena dell’equipe di CIEPAC, alcuni compagni dell’organizzazione vengono perquisiti da agenti della Polizia Settoriale. Al momento di salire in auto, vengono intercettati da sei agenti in uniforme, due dei quali incappucciati, con armi di alto calibro, a bordo del mezzo identificato come PS-344. Mentre vengono richiesti a due compagni i rispettivi documenti di identità, uno degli agenti aggredisce fisicamente un altro compagno, costrigendolo con violenza ad appoggiarsi al veicolo per essere perquisito. Accertatisi dal libretto di circolazione di uno dei veicoli, della nostra appartenenza ad un’organizzazione non governativa, l’atteggiamento degli agenti passa da un tono aggressivo al tentativo di giustificazione, adducendo un’ipotetica "operazione di sicurezza". Le contraddizioni rispetto ai fini dell’operazione sono del tutto evidenti, così come la violenza utilizzata.
In questo clima di episodi intimidatori, la minaccia di morte ricevuta oggi rappresenta un attacco ancor più grave e directo all’integrità fisica ed emotiva dei membri di CIEPAC. Ribadiamo che CIEPAC continuerá il suo lavoro di accompagnamento alle lotte degne e giuste che cercano di costruire alternative al modello neoliberale. Manterremoe rafforzeremo le nostre misure di sicurezza, in coordinamento con la società civile nazionale ed internazionale. Esortiamo i gruppi organizzati a noi affini, nazionali ed internazionali, a mantenersi informati su ciò che potrebbe accadere nei prossimi giorni, ad esprimere la propria solidarietà ai movimenti sociali del Messico e a denunciare le costanti violazioni dei diritti umani.
Distintamente,
Responsabile Comunicazione:Miguel Ángel Rodríguez Miranda
26 febbraio 2007; San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México
Etichette: America Latina