31 agosto, 2007

BOLIVIA: Il presidente coraggioso

Gli Stati Uniti finanziano gruppi di oppositori per destabilizzare il governo di Evo Morales. Parola del vicepresidente della repubblica boliviana, Alvaro Garcia Linera. Si tratterebbe, a suo dire, di fondi introdotti nel paese come “aiuti produttivi”, che in realtà nasconderebbero “una ragione politica”. Un'accusa, questa, che fa seguito all'uscita dell'ambasciatore Usa a La Paz, Philip Goldberg, che non solo denuncia il fallimento della lotta alla droga in Bolivia e l'aumento delle piantagioni di coca, ma sventola anche i 140 milioni di “aiuti” che il paese andino continuerebbe a prendere da Washington. Dichiarazioni che hanno scatenato l'ira sia dell'ambasciatore boliviano negli Usa, Gustavo Guzmán, sia del presidente Evo Morales.
Il vice. “Magari i 140 milioni di aiuti Usa al nostro paese fossero aiuti produttivi” ha tuonato Linera, spiegando come invece parte dei fondi stiano finanziando gruppi d'opposizione “che elaborano critiche e resistenza ideologica e politica” al governo democraticamente eletto di Evo Morales. In particolare, gli Usa starebbero organizzando centri di influenza con ex ministri e ideologi conservatori. “Tutto questo suona quanto meno sospetto e richiama a riflettere – ha sottolineato Linera - Che tipo di aiuto è il loro? Stanno potenziando centri intellettuali conservatori con denaro che arriva appositamente nel paese”. E, a coloro che tacciano di antiamericanismo la Bolvia di Morales, il suo vice ha precisato, che il governo boliviano protesterebbe allo stesso modo con qualsiasi altro paese che osasse comportarsi così, pagando presunti centri di difesa della democrazia che altro non sono se non “luoghi per arruolare ex funzionari” dei passati governi, nostalgici del potere che fu. “I soldi Usa li accetteremmo a occhi chiusi se fossero veramente aiuti produttivi”, ha concluso, ma dato che si tratta di “aiuti politici” sarebbe bene fossero eliminati, in quanto interferiscono negli affari interni di uno stato sovrano.
Botte e risposte. “Il nostro lavoro a Washington è servito per chiarire che in Bolivia, sottomissione e soggezione, caratteristiche in altri momenti della diplomazia del paese, oggi sono state sradicate”. Non ha usato mezzi termini nemmeno l'ambasciatore boliviano in Usa, Gustavo Guzmán, reduce da una riunione dell'intero corpo diplomatico lunedì a La Paz. Per il giornalista, diplomatico negli Stati Uniti dall'agosto 2006, fra la Bolivia e la Casa Bianca le relazioni persistono profonde ed estese, e la comunicazione politica resta chiara, ma, condita, comunque, da “frizioni naturali”. Dichiarazione rincarate dal presidente della Repubblica Evo Morales, che ha annunciato “decisioni radicali” contro determinati ambasciatori stranieri, che si intromettono nella politica interna, compiendo vere e proprie “aggressioni”. Senza esplicitamente citare gli Stati Uniti, Morales ha spiegato che non capisce come “alcuni ambasciatori si dedichino a far politica e non diplomazia”. Ha quindi precisato: “Non so fino a quando li sopporteremo..., prenderemo decisioni radicali contro questi ambasciatori che provocano apertamente. Non abbiamo nessuna paura”. Ha, poi, fatto riferimento a una cospirazione interna ed esterna che tramerebbe per farlo cadere: “Questa non si chiama cooperazione, ma cospirazione”, ha denunciato, scatenando la reazione di Washington, che ha assicurato come il suo intervento nel paese andino sia “apolitico” e “trasparente”.
Scioperi su scioperi. Intanto, la Bolivia vive una delle situazioni più delicate da quando Morales è stato eletto. L'opposizione sta riversando per le strade una marea di persone in varie aree del paese: scioperi “in difesa dello Stato di diritto” si sono svolti da ieri a Santa Cruz, a Tarija, Beni, Pando, Chuquisaca e Cochabamba e in molti casi si sono verificati violenti scontri con la polizia e atti di vandalismo. Marce tranquille soltanto nelle città di Sucre e Cobija. Manifestazioni a cui i sostenitori del presidente cocalero risponderanno scendendo in piazza a migliaia. Si calcolano circa centomila dimostranti, fra contadini e indigeni, intenzionati a difendere il loro rappresentante, secondo il quale l'opposizione non ha altro pensiero che spazzar via “questo indio”.
A complicare il quadro, lo sciopero proclamato per domani e venerdì dal potere giudiziario contro la decisione del governo di far processare cinque magistrati del Tribunale Costituzionale accusati di prevaricazione. Ma il presidente indigeno liquida anche questa vicenda, mettendola nel calderone delle cospirazioni: entrambi gli scioperi sono stati convocati “per frenare il processo di cambiamento” ormai avviato.
di Stella Spinelli http://www.peacereporter.net/

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HUELGA (Sciopero) di GIOCONDA BELLI

Quiero una huelga donde vayamos todos.
Una huelga de brazos, piernas, de cabellos,
una huelga naciendo en cada cuerpo.
Quiero una huelga de obreros
de palomas de choferes de flores
de técnicos de niños
de médicos de mujeres.
Quiero una huelga grande,
que hasta el amor alcance.
Una huelga donde todo se detenga,
el reloj las fábricas el plantel
los colegios el bus los hospitales
la carretera los puertos.
Una huelga de ojos, de manos y de besos.
Una huelga donde respirar no sea permitido,
una huelga donde nazca el silencio
para oír los pasos del tirano que se marcha.

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Honduras, mercato e repressione. E chi protesta muore

Avete voluto manifestare e c'è scappato il morto: peggio per voi. È questo il senso del messaggio inviato da Armando Urtecho López, avvocato del Cohep, la Confindustria honduregna, agli attivisti del Coordinamento nazionale di resistenza popolare (Cnrp). Il 27 agosto, a partire dalle 4 e mezzo del mattino, in migliaia hanno occupato le principali strade del Paese e uno di loro, Wilfredo Lara, 23 anni, maestro, è stato ucciso da un colpo d'arma da fuoco, sparato a bruciapelo da un albergatore.Il suo sindacato aveva aderito alla piattaforma lanciata dal Coordinamento nazionale di resistenza popolare (Cnrp) e Wilfredo stava partecipando al blocco (toma de carretera) nel municipio di Florida, a 350 km dalla capitale Tegucigalpa, lungo la strada che porta in Guatemala. «La colpa [dell'omicidio] -ha spiegato Urtecho López- è di chi fa manifestazioni insensate come quelle di questi giorni». E, rivolto alla Cnrp, ha aggiunto: «Lasciate che il popolo scelga se stare con i rivoltosi o con la tranquillità e lo sviluppo». Un concetto ripreso il giorno successivo anche dal ministro della Difesa, Arístides Mejia, che in un programma televisivo ha accusato i dirigenti del Coordinamento di essere i responsabili della morte del maestro.L'atteggiamento che ha scatenato le reazioni della società civile: quelli dell'Alianza Cívica por la Democracia (Acd) hanno denunciato che «l'ordine di disarmo e la promessa di protezione nei confronti dei manifestanti e dei viaggiatori non è stato eseguito», accusando la polizia che, in questa occasione, «ha brillato per la sua assenza». Marvin Ponce, deputato dell'opposizione di sinistra in Honduras, il Partido de Unificacion Democratica (Ud) che però non arriva al 5 per cento, schiacciato tra il Partido Nacional e il Partido Liberal, che di diverso hanno solo il nome, ha invitato Urtecho López al silenzio: «La sua condizione di difensore degli oligarchi non le dà l'autorità morale di mettere in discussione i movimenti popolari, a meno che anche questo non sia pagato dagli onorari che riceve dagli imprenditori che lei difende in modo tenace».Il Coordinamento nazionale di resistenza popolare raggruppa una trentina di organizzazioni contadine, indigene, sindacali e per la difesa dei diritti umani in tutto l'Honduras. Una toma de carretera ben organizzata, come quella di lunedì scorso, è in grado di paralizzare il piccolo Paese centro americano: per farlo basta occupare tre o quattro arterie. Secondo la stampa honduregna il 27 agosto c'erano -contemporaneamente- fino a una sedici blocchi.La piattaforma che convocava la mobilitazione riassumeva tutte le richieste che la società civile ha avanzato negli ultimi anni (e le lotte portate avanti, che più volte abbiamo descritto su Liberazione). Tra le altre, la cancellazione della Ley de Agua Potable y Saneamiento del 2003, che ha permesso l'ingresso del capitale privato nella gestione degli acquedotti (la romana Acea insieme a un consorzio d'imprese è a San Pedro Sula, la seconda città del Paese); l'approvazione di una nuova Ley de Mineria, che metta fuorilegge le miniere a cielo aperto, che usano il cianuro nel processo di estrazione del minerale e poi lo disperdono nell'acqua e nell'aria (oggi quasi la metà dell'Honduras è sotto concessione mineraria e il capitale italiano è presente con un paio di permessi concessi alla ditta Colacem di Gubbio attraverso la controllata Eurocantera); la riforma agraria; il rispetto dei diritti dei popoli indigeni e negri; l'educazione pubblica gratuita; la riduzione del costo di invio delle rimesse dei migranti, una partita importante nella bilancia commerciale del Paese.Secondo i portavoce del Cnrp, il presidente Mel Zelaya, al governo del dicembre del 2006, non ha fatto niente, in 19 mesi, per risolvere i gravi problemi del Paese: «Il Governo, con le sue posizioni demagogiche, ha mantenuto in modo arbitrario il modello neoliberista che ci sommerge nella miseria e nelle disintegrazione nazionale, e non ha mai mancato di utilizzare la repressione come risposta alla proteste popolari». Fedele alla linea, Zelaya ha rifiutato di incontrare i portavoce dei manifestanti. E mentre il ministro della Sicurezza gli accusava di voler creare in Honduras «una situazione boliviana», con un dirigente popolare come Evo Morales al potere, in un'altra esternazione l'avvocato degli industriali Urtecho López ha accusato il movimento di essere finanziati dal presidente venezuelano Hugo Chavez. La risposta è stata affidata a Daniel López, anch'egli dell'Alianza Civica por la Democracia: «È vero -ha detto ironicamente- ci sono dei contadini che fanno Chávez di cognome e che hanno pagato di tasca propria i passaggi in autobus per andare a manifestare».
dal blog di Luca http://www.icoloridelmais.blogspot.com/

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27 agosto, 2007

L'Italia investe sul Guatemala

dal blog di Luca
La Camera dei deputati ha ratificato un Accordo sulla promozione e protezione degli investimenti tra il nostro Paese e il Guatemala, firmato a Città del Guatemala nel settembre 2003, con i voti contrari (53) di Rifondazione Comunista, Pdci e Verdi. L'onorevole Ramon Mantovani ha spiegato che nell'accordo "non c'è alcun [accenno al] rispetto dei trattati internazionali in materia di organizzazione del lavoro, non c'è alcuna clausola ambientale e non c'è alcuna clausola che attenga alla questione della corruzione. [...] non possiamo più accettare che si stipulino accordi di questo tipo". Anche se si parla, nel testo approvato, di "reciproca protezione degli investimenti", secondo il deputato di Rc questo "è un eufemismo", perché non esistono imprenditori e finanziarie guatemalteche che investono in Italia. Si tratta, cioè, di un Accordo ad hoc per la protezione di eventuali investimenti italiani, concentrati nei settori dell'agricoltura, dei servizi e dell'industria farmaceutica. Adesso il voto al Senato.
Il testo dell'accordo sul sito della Camera dei Deputati.

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L'Unione Europea all'assalto dell'America Centrale

dal blog di Luca
Pronti, via: sono iniziati a Bruxelles, in sordina, i negoziati per l'Accordo di associazione (Ada) tra l'Unione Europea e i Paesi centro americani.I rappresentanti di Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua e Panama sono pronti a sedersi di fronte ai negoziatori della Commissione europea e, da pari a pari, firmare l'apertura delle proprie frontiere commerciali e finanziarie a prodotti, imprese e, soprattutto, capitali provenienti dall'Ue.Per Bruxelles è la “solita” rincorsa agli Stati Uniti d'America. Dieci anni fa l'Europa avviò i negoziati per un accordo di libero scambio con il Messico (“Accordo globale” venne definito in quell'occasione) per ovviare gli effetti negativi -in termini di minori esportazioni- del Nafta (North America Free Trade Agreement, l'accordo di libero scambio tra Canada, Messico e Usa, in vigore dal 1 gennaio 1994).Oggi l'Ada nasce come risposta europea al Cafta (Central America Free Trade Agreement), ratificato nell'ultimo anno e mezzo da tutti i Paesi della regione escluso il Costa Rica, dove a inizio ottobre si svolgerà un referendum, e sarà la popolazione locale a decidere il “Sì” o il “No” al Trattato.Peter Mandelson, il commissario europeo al commercio, l'ha detto in modo esplicito: il modello dell'Accordo di associazione è quello del Cafta.Non ama i giri di parole l'uomo che si trova a fare i conti con la crisi, ormai irreversibile, dei negoziati multilaterali in sede Wto (l'Organizzazione mondiale del commercio), e ha scelto di rispondere avviando negoziati bi-laterali a tutto tondo, dall'America Centrale alla Comunità andina di nazioni (Can) all'Asean (l'associazione delle nazioni del Sud-est asiatico).I primi effetti del Cafta, però, sono sulla bocca di tutti: per tutto il Centro America il 2006 passerà alla storia come l'anno peggiore negli ultimi dieci per la bilancia commerciale nei confronti degli Stati Uniti d'America.In El Salvador a un anno dal Cafta il deficit commerciale è cresciuto del 24%, provocando la perdita di oltre 93 mila posti di lavoro solo nel settore agricolo. Nell'ultimo anno prima dell'entrata in vigore dell'accordo di libero commercio con gli Usa, El Salvador aveva un surplus commerciale di 135 milioni di dollari con gli Stati Uniti, che nel 2006 è diventato un deficit di 300 milioni di dollari (è cresciuto l'import mentre l'export ha registrato un meno 10 per cento, da 2 a 1,8 miliardi di dollari).Il Guatemala, per il quale gli Stati Uniti sono il principale socio commerciale (a cui vende il 34 per cento del suo export e compra il 41 per cento dell'import), in soli nove mesi è passato da una bilancia commerciale positiva a un deficit di 415 milioni di dollari.Stesso discorso vale per l'Honduras, passato da un surplus commerciale di (quasi) 500 milioni di dollari nel 2005 a uno di 25 nel 2006.Il paradosso vero, però, è che l'unico Paese centroamericano ad aver aumentato nell'ultimo anno la propria quota di esportazioni verso gli Stati Uniti d'America è il Costa Rica, che il Cafta non lo ha ancora ratificato.Ma l'Unione Europea non è interessata più di tanto al mercato del Centro America -l'interscambio commerciale con la regione è una briciola della bilancia commerciale Ue- quanto, piuttosto, a conquistare il settore dei servizi. La svendita di comparti strategici per le economie nazionali come la generazione dell'energia idroelettrica (tutto il Centro America è ricco di corsi d'acqua), la costruzione e gestione di autostrade, la gestione del servizio idrico nelle città più importanti e già iniziata, e le aziende dell'Unione Europea -dalle spagnole Endesa e Union Fenosa alle italiane Astaldi, Colacem ed Enel- non stanno certo a guardare, ma l'Accordo di associazione darebbe senz'altro “quella spinta in più”.Felipe Calderòn, presidente messicano in carica dal dicembre 2006, ha ridato vita all'idea di un Plan Puebla Panama, un piano di infrastrutture -stradali, energetiche, ricettive- finanziato dalla Banca interamericana di sviluppo per creare un cerniera, un ponte, tra il Sud del Messico e la Colombia.E alcune aziende italiane, come avvoltoi, puntano a spartirsi gli appalti: Astaldi sarebbe in pole position per realizzare un (contestatissimo) progetto idroelettrico in El Salvador, El Chaparral, il cui costo stimato è di 141 milioni di dollari -pari alla metà del deficit commerciale del Paese con gli Usa-. E in Honduras la stessa azienda, attraverso la filiale Astaldi Columbus, ha firmato con l'Insituto hondureño de Turismoà un impatto ambientale devastante nella Bahia de Tela: 2 mila appartamenti, 6 multi-residence per un totale di 168 ville; e ancora: centri commerciali, parchi tematici e di intrattenimento. Per finire, un campo da golf. Il tutto su oltre 300 ettari di laguna, che verranno riempiti con sabbia prelevata dal mare. La zona è abitata dai garifuna, una popolazione afrodiscendente tenacemente in lotta (una lotta che già conta molti caduti) per difendere la proprietà delle terre che occupano da oltre duecento anni. A nulla sembra valere la Costituzione, che all'art. 346 riconosce che “è un dovere dello Stato dettare norme a protezione dei diritti e degli interessi delle comunità indigene esistenti nel Paese, e in special modo delle terre e dei boschi dove queste risiedano”, né che l'Honduras abbia ratificato -nel giugno del 1994- l'Accordo n. 169 dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) sui diritti dei popoli indigeni e tribali in Paesi indipendenti. Il 70 per cento del territorio dei garifuna è ormai in mano a privati. Ed è lo stesso “paradiso terrestre” dove il prossimo 20 settembre tornerà l'Isola dei famosi: per il secondo anno consecutivo la costa Atlantica dell'Honduras sarà in vetrina, in prima serata, davanti a milioni di spettatori. Un palcoscenico invidiabile per una zona in cui, tra qualche anno, i nostri connazionali potranno volare e far vacanza come a Tropea, in un villaggio turistico rigorosamente italian.

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HONDURAS: 27 e 28 agosto, mobilizzazione nazionale


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2007 anno Thomas Sankara

da Il Pane e le Rose.it
Buongiorno a tutte/i, stanno cominciando a verificarsi delle manovre da parte delle autorità di Ouagadougou per impedire lo svolgimento delle attività previste dal CNO per il 20° anniversario dell'assassinio di Thomas Sankara. Le autorità hanno rifiutato l’autorizzazione all’utilizzo della Casa del Popolo sede richiesta per svolgere il Convegno internazionale previsto dall'11 al 14 ottobre e dello Stadio del 4 Agosto. Nello Stadio del 4 Agosto la Presidenza organizzerà un concerto per festeggiare i loro "20 anni di disordine". Dopo la prima proiezione pubblica del film “Thomas Sankara l'Homme intègre”, di Ruben Schofield, il film ha continuato a fare una vera rivoluzione tra la popolazione burkinabè, ogni burkinabè voleva poter disporre di un DVD ormai venduto in tutte le strade. I militairi han letteralmente "dato di matto", hanno requisito tutti i DVD che hanno trovato e hanno cominciato a identificare tutti i venditori dei chioschi o dei magazzini che li vendevano o che potevano venderli. Di fatto ora i DVD sono spariti dalla circolazione. Una cosa per tutti è sicura il 20° anniversario avrà luogo. Per manifestare la vostra disapprovazione e la solidarietà al CNO e a tutti coloro che si sposteranno in ottobre in Burkina per il 20° anniversario dell'assassinio di Thomas Sankara, potete inviare delle mail alla presidenza del FAso al seguente indirizzo: info@presidence.bf
Potete visitare anche il sito web della presidenza: http://www.presidence.bf/.
Sankara2007 mailing list
fonte: p.donadello@alice.it
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da Altreconomia
UNA CAROVANA DI ARTISTI PER NON DIMENTICARE
Sono trascrosi già venti anni dall'assassinio di Thomas Sankara. Per restituire all'attualità una figura che lo merita forse più di ogni altra, e chiedere l'avvio di un giusto processo (ancora non si sa dove sia sepolto il suo corpo), la famiglia Sankara insieme ad artisti africani e latinoamericani ha organizzato una carovana internazionale che percorrerà diversi paesi, fra i quali l'Italia, per terminare a Ouagadougou il 15 ottobre (al governo laggiù non farà piacere, anche se ha tentato di riappropriarsi della figura di Sankara). Le due tappe italiane sono promosse dal CRIC http://www.cric.it/ e saranno a Milano (il 29 settembre) e a Roma (il 1° ottobre). A Milano in programma un convegno, "Quale sviluppo per l' Africa", un concerto e uno spettacolo teatrale. promuovono insieme al Cric l'associazione senegalesi MIlano Provincia, Sfhere Africa e For Africa Foundation. Per info sulle tappe italiane:
- casa editrice Sankara: sankara@tin.it
- cric.mi@tin.it
Per informazioni su Sankara e la carovana: http://www.thomassankara.net/

I ragazzini dicono no ai reality show

Raccolte dagli studenti della scuola media Guardi più di 700 firme per dire no alla Rai: "l'Isola dei famosi danneggia ambiente e indigeni"
di Luca Centini
PIOMBINO. Stop ai reality show che calpestano i diritti delle popolazioni indigene. I ragazzi della 1G della Scuola media Guardi hanno preparato un appello da inviare al direttore di Rai 2 Claudio Cappon in cui si richiede la sospensione del programma televisivo “L’isola dei Famosi”. In meno di un mese hanno raccolto 725 firme che hanno appena consegnato all’assessore alla pubblica istruzione Anna Tempestini. Gli studenti hanno preso posizione dopo aver lavorato per tutto l’anno al progetto Scream, contro il lavoro minorile, supportato dalla provincia di Pisa, dall’Ilo e dall’Unicef. Durante lo svolgimento del percorso sui diritti umani, i bambini hanno letto un articolo di Betty Schiavon pubblicato sul mensile “Popoli”, in cui si parlava dell’ultima edizione del programma televisivo realizzato a Cayo Paloma, in Honduras, una delle tredici isole dei Cayos Cochinos. Nell’articolo sono spiegati i danni causati dalla presenza dei concorrenti del programma e della troupe televisiva all’ambiente dell’isola e alla comunità locale dei Garifuna, popolo insediato a Cayo Paloma da circa duecento anni, che vive principalmente di pesca. «Il reality ha creato danni per i Garifuna e di conseguenza ai bambini del posto, che sono l’anello più debole della società - si legge nell’appello preparato dagli alunni - durante lo svolgimento del reality l’accesso a tre delle isole delle Cayos Cochinos è stato negato agli indigeni, per evitare che qualche pescatore compromettesse l’illusione dello spettatore di avere davanti agli occhi un’isola disabitata. Inoltre i continui trasporti effettuati dagli operatori Rai hanno messo in fuga le tartarughe marine che ogni anno depongono lì le uova. L’audience era più importante della pesca quotidiana e della sopravvivenza stessa di una popolazione che vive in quella zona da duecento anni. Noi bambini chiediamo che reality come l’Isola dei famosi non si ripetano più». Gli alunni della scuola Guardi hanno portato tempo fa la proposta al consiglio comunale aperto sui problemi dell’infanzia, in cui il sindaco Gianni Anselmi ha firmato l’appello insieme con alcuni assessori e con la quasi totalità dei consiglieri presenti. L’impegno iniziale dei ragazzi si è brevemente trasformato in una bella esperienza di partecipazione diretta.
Tutti gli alunni della sede di via Togliatti hanno aderito all’i niziativa, con la maggior parte dei docenti della scuola. Gli alunni della 1G e della 1E hanno poi iniziato una raccolta di firme tra familiari e conoscenti riuscendone a raccogliere 725 in meno di un mese. Manca un mese all’inizio del programma e i ragazzi non intendono mollare un centimetro. «Il progetto Scream e la presa di posizione contro i reality hanno dato ai ragazzi un esempio concreto di democrazia diretta - commenta la professoressa Lucilla Lazzarini, coordinatrice dell’iniziativa - gli alunni hanno imparato che possono lottare per ottenere quello che vogliono».
(04 agosto 2007)

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26 agosto, 2007

In Guerrero nessuno vuole la diga "La Parota"

di Luca Martinelli
Il 12 agosto oltre 3 mila contadini indigeni del municipio di Cacahuatepec, nello Stato messicano del Guerrero, ha rinnovato il proprio "No" al progetto di costruzione della centrale idroelettrica "La Parota". Il progetto della diga è promosso dalla Comisión Federal de Electricidad (Cfe).Secondo il Consejo de Ejidos y Comunidades Opositoras a La Parota (Cecop), l'invaso, creando un lago artificiale di oltre 14 mila ettari, andrebbe a sommergere 24 comunità indigene. Contro il progetto si è schierato anche l'Asociación Civil de Ingenieros Agrónomos Democráticos de Guerrero.Nell'agosto del 2005, nel corso di una assemblea agraria, le comunità interessate dal progetto avevano votato contro la costruzione de La Parota, ma il 27 marzo di quest'anno il Tribunal Unitario Agrario ha annullato la votazione. La tensione è tornata a salire in Guerrero negli ultimi mesi. Negli anni, le lotte contro la realizzazione della diga hanno già lasciato sul campo quattro morti. A maggio, in occasione di un'assemblea comunitaria per discutere la realizzazione della diga, si è recata nella regione anche una missione internazionale di osservazione dei diritti umani, che ha riscontrato l'"irregolarità" della convocazione dell'assemblea, la "strategia repressiva" del governatore dello Stato del Guerrero, Zeferino Torreblanca Galindo, colpevole di criminalizzare l'opposizione al megaprogetto -i membri del Cecop- nel tentativo di escluderla dalla discussione e dalla votazione.Né il Governo statale né quello nazionale, però, sembrano intenzionati a riconoscere la validità del voto del 12 agosto. Considerano l'assemblea "consultiva". Così il Movimiento Mexicano de Afectados por las Presas y en Defensa de los Ríos (Mapder) ha promosso un manifesto internazionale (in spagnolo, in inglese) per esigere "il rispetto della volontà dei popoli e condannare l'imposizione del progetto idroelettrico La Parota".
Per adesioni guscastro@laneta.apc.org (Gustavo Castro)
I diritti affondano nella diga La Parota (Il Manifesto, 10 dicembre 2004)

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Comunicato Stampa Csoa La Talpa e l'orologio

Nei suoi diciassette anni di vita, il CSOA La Talpa e l'Orologio ha sempre costruito, nei mesi estivi, momenti di aggregazione, di festa e di dibattito.Da quando uno dei nostri compagni, fondatore e anima del centro sociale ci ha lasciati il 19 giugno 2005, il vuoto enorme creato dalla sua scomparsa non ci ha tolto la voglia di esistere e resistere, di continuare a lottare per un mondo migliore.Per questo abbiamo creato anche quest'anno il terzo appuntamento estivo di due giorni di dibattiti e concerti, chiamato “Batti il tuo tempo, con Marco nel cuore”; un momento di confronto politico e di scambio sociale con tutte le realtà di movimento, le reti sociali, le associazioni e i singoli presenti sul territorio interessati al confronto.Gli scorsi anni il dibattito ha attraversato i temi dello spazio pubblico e dei diritti di cittadinanza, della guerra globale permanente e dei diritti sociali, del commercio equo, del consumo critico e della cooperazione sociale internazionale; quest'anno insieme al Network delle comunità in movimento intendiamo contribuire alla riflessione su spazi sociali e beni comuni, mettendo a disposizione la nostra esperienza. Pensiamo ad un dibattito di carattere nazionale che metta a fuoco la precarietà e l'attacco continuo a cui sono sottoposti gli spazi sociali in Italia.Assistiamo anche oggi alla sottrazione di diritti e beni comuni (acqua e aria, scuole e ospedali...), alla loro continua privatizzazione e al restringimento degli spazi di libertà, per l'attacco costante di logiche liberticide. Non bisogna però rassegnarsi a essere spettatori passivi dei cambiamenti che attraversano la società.Noi vogliamo più libertà, più democrazia, più partecipazione ai processi di trasformazione che riguardano le nostre vite. Per questo vi invitiamo a partecipare al dibattito e agli spettacoli di “Batti il tuo tempo 3”, raccontando le vostre esperienze, le vostre iniziative, perché oggi più che mai è necessario difendere i diritti in comune, agendo localmente e pensando globalmente.L'iniziativa intende contribuire al rilancio di un forte movimento per i diritti sociali, contro la precarietà del lavoro e della vita, insieme a quanti non si rassegnano ad accettare il pensiero unico del neoliberismo e della guerra, per difendersi e lottare contro l'impoverimento sociale, che schiaccia e annichilisce i movimenti di protesta, riducendo gli spazi di libertà.Anche quest'anno potrete raggiungerci ad Imperia, nell'estremo ponente ligure, a sostenere una realtà che, pur avendo raggiunto un grande livello di progettualità e di credibilità, si trova nuovamente a rischio sgombero, in una città in cui numerosi progetti speculativi stravolgono il tessuto urbano e sociale con costi altissimi per tutta la popolazione.Una città consegnata sotto l'egida del ministro Scaiola, dal centrodestra nelle mani di grandi imprenditori privati. interessati soprattutto all'area costiera e al porto, lasciando pochissimi spazi pubblici per la cultura e la socialità.Per questo abbiamo costituito l'Associazione per la Fondazione Marco Beltrami al culmine di un percorso civile e democratico nel luglio 2007 al fine di promuovere lo sviluppo, la promozione e la difesa degli spazi sociali e porre le basi per la costituzione di una fondazione ONLUS che sappia garantire la gestione autonoma e partecipata degli spazi e dei locali del Centro Sociale “La Talpa e L’Orologio”.L'associazione oggi si propone di acquistare lo stabile dove oggi ha sede il centro sociale e per questo ha lanciato una campagna pubblica di raccolta fondi da devolvere su conto corrente postale n° 82569740; abi 07601; cab 10500; intestato a “Associazione per la Fondazione Marco Beltrami”.
Per il programma e maggiori info:
http://www.latalpaelorologio.org/ http://www.garabombo.org/
Csoa La Talpa e l'orologio
Associazione verso la fondazione Marco Beltrami
Network delle comunità in movimento

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"La vendetta" del Che 40 anni dopo la sua uccisione. Editoriale di Nuestra America

America Latina rebelde: "La vendetta" del Che 40 anni dopo la sua uccisioneAnticipazione dell'editoriale di Nuestra América n. 3/07 (in uscita a settembre) Questo numero va alle stampe in coincidenza con il 40ennale de l'assassinio del Che in Bolivia per mano del solito carnefice, gli Stati Uniti d'America. Per questo l'inserto stavolta non lo dedichiamo ad un paese specifico dell'America Latina ma all'uomo che più di tutti ha fatto per la libertà e l'autodeterminazione di tutti i popoli di quel continente.Ernesto Che Guevara ne era consapevole ed ostinato propugnatore: "la nostra preoccupazione per l'America Latina - aveva sostenuto all'Onu nel dicembre del '64 - è ispirata dai legami che ci uniscono: la lingua che parliamo, la cultura che propugniamo, il padrone che abbiamo avuto in comune. Non siamo animati da nessun'altra ragione per desiderare la liberazione dell'America Latina dal giogo coloniale nordamericano". Tanti fratelli cui correre in soccorso da un unico grande nemico che, allora come ora, attraverso la guerra guerreggiata, la guerra economica e il terrorismo imperialista, in una sorta di internazionale del crimine, si propone di soffocare ogni autonoma voce di indipendenza.Cuba per il Che fu una tappa fondamentale, quasi il suo vestito di tutti i giorni o la carta di credito per presentare se stesso ed un popolo al cospetto del mondo intero: "sono nato in Argentina - disse ai delegati dell'Onu - sono cubano e sono anche argentino e se le signorie loro illustrissime dell'America Latina non si adombrano mi sento patriota dell'America Latina, di qualsiasi paese dell'America Latina nel modo più assoluto e qualora fosse necessario sono disposto a dare la mia vita per la liberazione di qualsiasi paese latinoamericano, senza chiedere nulla a nessuno, senza esigere nulla, senza approfittare di nessuno. [.] L'intero popolo di Cuba ha questa stessa aspirazione".Sono trascorsi più di quarant'anni da allora, il popolo latinoamericano ha iniziato a prendere coscienza dell'inevitabile percorso di liberazione contemporaneamente alle contromisure che l'imperialismo tenta di mettere in campo per mantenere sotto il suo giogo tutti i popoli del mondo.Abbiamo assistito, qualche settimana fa, ad un dibattito sull'America Latina il cui interlocutore principe era José Maria Aznar, l'attitudine al masochismo della nostra redazione a volte supera ogni limite. In questo dibattito, presente anche Fausto Bertinotti, la cui partecipazione in veste istituzionale non ci colpisce, ma lasciano il segno alcune sue affermazioni come: "la storia ha smentito il comunismo determinando un crollo meritato dei regimi dell'est" che hanno dato ancor più la possibilità ad Aznar di considerare la svolta a sinistra del continente rebelde come un segnale di un rinvigorimento di "populismo indigeno" da soffocare con ogni mezzo per difendere quelli che, a suo dire, sono i corretti valori dell'occidente. Come se le truppe di Hernán Cortés avessero colpevolmente fallito l'obiettivo della soluzione finale: un po' come Hitler con gli ebrei.Tutto ciò avveniva nei giorni in cui il quotidiano Liberazione, organo del Partito della Rifondazione Comunista, apriva una campagna mediatica senza precedenti contro il governo di Cuba, arrivando persino a diffamare i 5 patrioti cubani rinchiusi nelle carceri statunitensi e le loro famiglie.Ci ritorna sibillino l'amaro sarcasmo di Eduardo Galeano: "La conquista dell'America fu un duro e lungo lavoro di esorcismo. Il maligno era così radicato in queste terre che quando sembrava che gli indigeni s'inginocchiassero devotamente di fronte alla vergine, in realtà stavano adorando il serpente che lei schiacciava sotto il piede. [.] I conquistatori compirono la missione di restituire a Dio l'oro, l'argento e le altre molte ricchezze che il Diavolo aveva usurpato". Il Diavolo indigeno che non vuol saperne di padroni.È per questo che l'imperialismo, l'internazionale del crimine a stelle e strisce, è ormai in guerra permanente utilizzando il terrorismo contro l'autodeterminazione dei popoli e per l'accaparramento dei beni comuni, delle materie prime, dell'oro, dell'argento e delle altre molte ricchezze che citava Galeano.Lo va denunciando con forza Fidel Castro da qualche tempo ed argomenti del genere non possono passare inosservati.In Brasile, per esempio, sta crescendo un business incredibile sugli agrocombustibili che sta resuscitando fenomeni schiavistici che molti ritenevano estinti. Tutto lì ruota attorno alla canna da zucchero come in Messico attorno al mais (ve lo abbiamo raccontato sul precedente numero di Nuestra América che ora troverete on-line). L'evidenza è una sola: l'aumento di tali coltivazioni farà vieppiù crescere la fame dei poveri. Come non preoccuparsi, come non essere d'accordo con il Comandante Fidel Castro quando sostiene: "sommate la fame che affligge centinaia di milioni di esseri umani, sommate a questa l'idea di trasformare il cibo in carburante, cercate un simbolo e la risposta sarà George W. Bush".Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara, leaders di quella rivoluzione che è passata alla storia anche per la sua eccezionalità, una rivoluzione che, come i suoi fautori, è brillantemente condannata a restare giovane, ha un comune denominatore a tutta l'America Latina: combattere la fame del popolo.A chiusura di questo editoriale vogliamo ricordarvi l'uscita (settembre 2007) del libro Che Guevara Economista (Jaca Book editore) che il nostro direttore scientifico, Luciano Vasapollo, ha scritto con Alfredo Jam ed Efraìn Echevarrìa ed al quale tutta la nostra redazione, unitamente ad alcuni compagni della Rete dei Comunisti e dell'Associazione marxista "Politica e classe", ha collaborato attivamente per l'avvio di un dibattito serio sui problemi della transizione al socialismo, anche come risposta a chi nel tempo ha annacquato, e a volte stravolto, il pensiero politico ed economico del Che con interpretazioni di comodo che non hanno reso un buon servigio alla sinistra di classe mondiale ed, in particolare, a quella italiana.Su questi temi si terranno presentazioni, convegni, dibattiti e seminari già a partire dal 6 e 7 ottobre con un convegno a Roma, promosso dalla Rete dei Comunisti, sull'attualità del pensiero politico ed economico di Ernesto Che Guevara; l'8 ottobre il libro di Vasapollo, Jam e Echevarrìa verrà presentato dagli autori con un dibattito presso la sede di Roma dell'Ambasciata di Cuba; mentre il 9 dello stesso mese si svolgerà un convegno promosso da Nuestra América e dalla stessa Ambasciata, presso i musei capitolini di Roma sul tema "Ernesto Che Guevara, i giovani e la cultura universale". Ci sembra un buon inizio, buona lettura e buon lavoro a tutti.

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22 agosto, 2007

G8 2009. Obiettivo la Maddalena

www.manifestosardo. org

Nel 2009, per la quinta volta, gli otto grandi della terra dovrebbero essere ospitati dall’Italia. L’isola della Maddalena è la candidata all’accoglienza. Il Manifesto Sardo dedica al tema questo numero unico di agosto. Un’edizione monografica che, tra perplessità ed analisi, indaga gli scenari aperti dalla controversa proposta.Marco LigasC’è un’affinità tra i quattro cavalieri dell’Apocalisse e gli otto capi di stato o di governo dei paesi più industrializzati del mondo? Il confronto appare improprio rappresentando gli uni e gli altri epoche e contesti diversi; tuttavia se consideriamo ciò che raffigurano i cavalieri dell’Apocalisse e ciò che fanno i G8 possiamo sostenere che in fondo tra loro non c’è una grande distanza. Nel libro dell’apostolo Giovanni i cavalieri vengono presentati come portatori di distruzione e rovina (fame, guerra, pestilenze e morte) e con ciò viene esclusa una qualsiasi forma di giustizia umana perché gli uomini tendono a ingannare e a farsi ingannare dalle apparenze. Cosa fanno i G8 se non perpetuare, accentuandole, le differenze economiche e culturali esistenti tra i vari paesi e tra le classi sociali, sia con la pratica delle guerre sia attraverso la dilapidazione delle risorse del pianeta? Approfittando della profonda crisi politica ed economica che minaccia il mondo i loro incontri vengono sempre presentati come grandi eventi nel tentativo di risvegliare le aspettative di cambiamento fra i paesi più poveri. In realtà poi ribadiscono con l’applicazione della legge del più forte le scelte che conosciamo. Anche l’ultimo vertice è stato emblematico dell’arroganza degli Usa. La Germania rivendicava un accordo per contenere l’aumento delle temperature e per diminuire le emissioni globali di anidride carbonica. La risposta è stata netta: il dibattito sul cambio climatico andava completamente contro la posizione americana e perciò non poteva essere condiviso! Anche la mediazione di Blair, l’alleato più fedele, non ha dato risultati. In compenso il leader britannico, prima di lasciare il suo incarico di governo, ha preannunciato l’aumento delle spese per armamenti di altri 2500 dollari. Questi convegni, dunque, non solo sono spettacoli deludenti e molesti, ma anche portatori di arroganza e violenza. Nei giorni delle riunioni blindano le città e le trasformano in luoghi assediati. Usano le provocazioni di gruppi opportunamente addestrati per potere legittimare la repressione di cui sono capaci. Abbiamo ancora sotto gli occhi il massacro commesso a Genova dove le forze dell’ordine, al comando dei neofascisti in doppio petto, per l’occasione rappresentanti legali delle istituzioni repubblicane, hanno scritto una delle pagine più vergognose della loro storia. La prossima volta vogliono venire a La Maddalena. Forse pensano che trattandosi di un’isola di piccole dimensioni sarà più facile evitare la vicinanza e la contestazione dei soliti facinorosi. La Maddalena e tutte le isole dell’arcipelago sono anche dei bei luoghi, rappresentano dunque una buona occasione di vacanze per coloro che saranno al seguito degli otto. L’unico rischio che corrono è che trovino qualche traccia di radioattività nelle acque di Santo Stefano, ricordo della presenza americana. Eppure la scelta di La Maddalena è stata accolta con entusiasmo dalle nostre istituzioni. I governi, sia nazionale che regionale, la considerino addirittura un evento storico di grande importanza. Esso è destinato - hanno detto - a riparare il danno subito dai maddalenini per la riduzione dei posti di lavoro causata dalla decisione della Us Navy di lasciare l’isola! Ci viene quasi da pensare di avere sbagliato, nel corso dei decenni passati, a chiedere la chiusura della base di Santo Stefano! Il fatto è che i nostri governanti, nel sostenere la presenza dei G8 nel 2009, intendono realizzare un progetto programmato da tempo, pensano ad una riconversione turistica dell’intero arcipelago. Altro che difendere il parco naturale! L’idea che hanno della tutela ambientale e della difesa dei beni comuni passa attraverso il cemento, la costruzione di nuovi alberghi e l’estensione del fenomeno Costa Smeralda sino all’arcipelago maddalenino. I programmi di Soru sono questi. Siamo lontani dall’impegno per sconfiggere le monocolture e favorire le iniziative di nicchia, come aveva sostenuto nel corso della campagna elettorale. L’unica monocultura che è stata sconfitta, e neppure per i suoi meriti, è quella della chimica, ma lui opera ostinatamente per sostituirla con quella turistica d’élite. La nostra critica al G8 in Sardegna non si esaurisce comunque nella opposizione politica a un sistema di governo planetario inaccettabile, ma esprime il convincimento che sia possibile costruire un’area di pace con politiche di sviluppo sostenibili e non compatibili con i progetti dei signori delle guerre e delle speculazioni. Per queste ragioni riteniamo indispensabile che tutte le forze che si oppongono a questa iniziativa (partiti, movimenti, associazioni ecc.) trovino al più presto un’occasione di incontro per individuare una proposta che per semplicità possiamo ora definire un Forum attraverso la creazione di una rete che metta in collegamento le diverse realtà che operano nel territorio isolano e non solo. Occorre una riflessione ampia e articolata su modelli di sviluppo globale diversi da quelli proposti dai nuovi Cavalieri dell’Apocalisse. Dobbiamo sfuggire alla trappola della protesta frontale, ma tenderne una basata sulla superiorità delle idee e dei valori. La scelta del nostro quindicinale di fare un numero monotematico sul G8, sull’Arcipelago della Maddalena e su nuove politiche globali di sviluppo sostenibile ha questa ispirazione, e la presenza dei primi interventi dei rappresentanti di partiti e movimenti, assieme ad alcuni contributi sulle risorse culturali, ambientali e turistiche, ci suggerisce che l’iniziativa può andare avanti. Naturalmente ce lo auguriamo.

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11 agosto, 2007

Popoli indigeni: minacciati da clima e nuove fonti energetiche

da Unimondo.org venerdì, 10 agosto, 2007
Si è celebrata ieri, 9 agosto, la "Giornata internazionale dei popoli autoctoni", istituita nel 1994 dall’Assemblea generale dell’Onu. Dal 2004 le Nazioni Unite hanno inoltre proclamato il "Secondo decennio a internazionale dei popoli indigeni e tribali", per rafforzare la cooperazione internazionale al fine di risolvere i problemi che hanno di fronte i popoli autoctoni nella conservazione delle loro culture, dell’educazione, la sanità, i diritti dell’uomo, l’ambiente e lo sviluppo economico e sociale. "I 370 milioni di persone appartenenti a popoli indigeni continuano ad essere vittima di discriminazioni, povertà e conflitti" - ha detto il Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon invitando ad la comunità internazionale un azione "urgente" in loro difesa. "Dovremmo ascoltare i popoli indigeni: con la loro vasta conoscenza dell’ambiente in cui vivono, possono e devono giocare un ruolo cruciale negli sforzi globali per contrastare i cambiamenti climatici” - ha affernato Sha Zukang, sottosegretario generale ONU per gli Affari economici e sociali. Un’occasione per ricordare anche che questi popoli sono tra i più minacciati dal surriscaldamento planetario, dovuto alle attività umane nei paesi più industrializzati e alle emissioni di gas serra: “Gli Inuit dell’Artico non possono più cacciare in sicurezza perché il ghiaccio si rompe attorno a loro. Gli isolani del Pacifico vedono scomparire gli atolli di corallo sotto il mare. Gli abitanti dei Caraibi sono colpiti da violenti temporali. Le tribù del Borneo vedono le loro foreste pluviali prendere fuoco. I tibetani si chiedono perché i loro sacri ghiacciai si stanno sciogliendo e perché le loro piante medicinali stanno scomparendo” aveva chiaramente evidenziato il Simposio internazionale sui popoli autoctoni tenutosi ad aprile scorso presso l’Università di Oxford. E proprio sui problemi climatici e dell'energia punta il dito l'Associazione per i Popoli Minacciati - che ha lanciato un allarme sulle conseguenze della 'scoperta' del biodiesel da parte dell'Europa. "Solo in Malaysia e Indonesia 47 milioni di persone appartenenti a diverse popolazioni native sono vittime dirette dei progetti governativi di aumentare l'estensione delle piantagioni di palma da olio, destinate alla produzione del cosiddetto biodiesel" - afferma un comunicato di APM. La Malaysia e l'Indonesia insieme rappresentano da sole l'85% dello sfruttamento mondiale di palma da olio e i paesi asiatici prevedono per il prossimo anno di sacrificare enormi aree boschive e forestali a nuove piantagioni, nonostante le aree interessate siano il territorio ancestrale di diverse popolazioni native. "Le popolazioni indigene si troveranno quindi derubate e spogliate delle loro case, della loro base esistenziale economica e in ultimo anche della loro cultura e identità" - denuncia APM. Sono numerosi i paesi in cui vengono violati i diritti delle popolazioni indigene per creare piantagioni di palma da olio. Si sa con certezza che sia in Colombia sia in Cambogia diversi popoli sono stati cacciati con la forza dalla loro terra, mentre diversi rapporti di organizzazioni per i diritti umani parlano di lavori forzati nelle piantagioni di palma da olio della Birmania. L'APM chiede che qualsiasi progetto di nuova piantagione non solo sia sostenibile da un punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista sociale. [GB]

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Il Gruppo Donne Teatro "Nuestra Cara" di Matagalpa - Nicaragua

Mercoledì 12 settembre 2007 Ore 21.00
presso "Case delle Culture" via Trastevere Roma
(spettacolo in via di definizione)

Lunedì 24 settembre 2007 Ore 21.00
Presso la Sala Ticozzi, Via Ongania 2 Lecco
spettacolo teatrale - Habria Que -
clicca qui per scaricare il volantino

Mercoledì 26 Settembre Ore 21.00
Casa di Alex Via Moncalieri 15 Milano
(Zona NiguardaVicino piscina Scaroni tram 4-5-7-11, autobus 51-42)
Presenta "CAMINO A LAGUNA SECA"
clicca qui per scaricare il volantino

Giovedì 27 settembre ore 21.00
Teatro della Gioventù Via Cesarea, 14 - Genova
clicca qui per scaricare il volantino

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04 agosto, 2007

GUATEMALA: Rigorberta, stella cadente

La candidata alle presidenziali guatemalteche del 9 settembre, il Nobel per la Pace Rigoberta Menchú, icona della lotta per i diritti indigeni, non riesce a sfondare: le spiegazioni (e le accuse) di un gesuita
Ricardo Falla S.I.
S.TA MARÍA CHIQUIMULA (GUATEMALA)
Che cosa è successo a Rigoberta Menchú? Non era, secondo i sondaggi, la persona più stimata del Guatemala? Non ha forse provocato una scossa elettrica nei nervi della classe dirigente «bianca» quando, a febbraio, ha annunciato la propria candidatura per le presidenziali? Come è possibile che, secondo alcuni sondaggi (forse non i più precisi, certo i più influenti), a giugno sia scesa a un misero 1,5% nelle intenzioni di voto? I governi stranieri e le Ong non la consideravano la nuova stella del firmamento politico? Non è forse lei l'amica di Jacques Chirac, la donna che in Italia attirava folle di giovani, il Premio Nobel per la Pace che nel 1992 risvegliò tante speranze tra gli indigeni dell'America latina e in molti altri popoli nativi, persino quelli scandinavi?Una premessa. Gli stessi istituti di sondaggi ammettono che, nel momento in cui scriviamo (inizio luglio), il 40% della popolazione non ha ancora scelto per chi votare. E tra i sondaggi, quelli più indipendenti a maggio le davano quasi un 10%. In ogni caso, la sensazione generale è che sia già svanita la speranza di poter rinnovare profondamente una campagna elettorale noiosa e monotona, e che la classe dominante e i politici si siano tranquillizzati nel vedere che Rigoberta non era il temuto nemico che avrebbe trascinato tutto il popolo indigeno.
LA DISILLUSIONE DEI SUOILa delusione (o, per alcuni, il sospiro di sollievo) ha diverse spiegazioni. La prima, e la principale, è che Rigoberta non ha dietro di sé un'organizzazione di massa (come, ad esempio, Evo Morales in Bolivia), una struttura di sostegno che copra le regioni indigene, né tanto meno il Paese intero. La sua forza, l'attività internazionale, è diventata la sua debolezza. La Fondazione «Rigoberta Menchú» è una Ong e come tale è solo un gruppetto di persone che abitano nella capitale. Vale a dire, il solo collante dell'identità etnica non funziona se non c'è un filo che tiene insieme il tutto. L'identità è come il vento, è molto potente, ma ha bisogno di questo filo visibile, concreto e tangibile, che arrivi fino ai villaggi più remoti.Una seconda spiegazione è che Rigoberta è vista dagli indigeni, per quello che possiamo capire e sentire, come una persona che si è allontanata. Dicono che non ha distribuito il Premio Nobel, ma lo ha investito mettendo in piedi una catena di farmacie. Dicono che è superba, che non vuole più parlare con i poveri, che non va a Chimel, il suo villaggio, che si è già dimenticata della sofferenza del suo popolo. «Andiamo alla Fondazione per incontrarla - dicono - e ci rispondono di tornare fra tre mesi, ma se arriva un nordamericano o un europeo lo ricevono immediatamente». Molte donne indigene, con cui ci siamo messi a discutere difendendo Rigoberta, invece che essere contente perché una donna corre per la presidenza, provano una sorta di invidia e la attaccano duramente.Una terza spiegazione è che il Guatemala è già transitato attraverso una grande speranza di cambiamento radicale negli anni Ottanta, uscendone con una altrettanto grande frustrazione. In quel periodo, una scintilla di entusiasmo negli occhi dei giovani faceva sì che essi si muovessero e si sacrificassero. La benzina per questo movimento era una speranza: «possiamo vincere!». Ora questo non si vede. Se anche Rigoberta arrivasse alla presidenza, non vinceremo niente, perché lei si ritroverà prigioniera. Non c'è possibilità di cambiamento.Un quarto elemento è che la campagna è percepita dalla gente come un business. Non solo perché occorre denaro per pagare gli spot televisivi, i manifesti elettorali, i sostenitori, ma anche perché il successo stesso equivale a un affare. Così, se Rigoberta non ha denaro per la campagna elettorale, la gente non è disposta a finanziarla. Infatti, l'idea diffusa è che questi soldi non andrebbero a una causa comune, ma semplicemente ad arricchire una persona. La campagna elettorale non viene vista nemmeno come una lotta per una fetta di potere, ma semplicemente come una lotta per una quota di affari. Una motivazione ulteriore è che, nonostante Rigoberta si sia alleata con un imprenditore che è stato presidente del Cacif, cioè della cupola imprenditoriale del Paese, non si vede realmente scorrere denaro nelle sue fila. Una società di ricerche ha calcolato, per il mese di maggio, quante donazioni aveva raccolto ciascuno dei principali partiti: Une (Unidad Nacional de la Esperanza) quasi 3 milioni di quetzal (285mila euro), Gana (Gran Alianza Nacional) 2,7 milioni, Pp (Partido Patriota) un milione, Eg (Encuentro por Guatemala), il partito della Menchú, 53mila. Inoltre, sui media non emergono il suo carisma, la sua arguzia e la sua intelligenza. Quando compare in video, Rigoberta sembra tesa, come prestata a programmi di altri. Per di più, l'imprenditore che corre con lei per la vicepresidenza, Luis Fernando Montenegro, è visto più come un ricco retrogrado e razzista che non come un simpatizzante della famosa «terza via» inseguita dalla socialdemocrazia in tutto il mondo.
UNA TORTA GIÀ DIVISAAncora e soprattutto, risulta nociva a Rigoberta la prigione in cui si trova. Il partito non è suo, né del popolo indigeno. È di Nineth Montenegro, moglie del candidato vicepresidente, che si sta preparando la strada per le elezioni del 2011. Lo spazio in cui Rigoberta si muove è molto angusto. Non vuole apparire di sinistra. Non si è alleata con il partito degli ex-guerriglieri perché ciò l'avrebbe bruciata. Non sembra intenzionata a proporre riforme radicali.Rigoberta, in realtà, si è messa in questa prigione prima ancora di lanciarsi nella corsa, nel momento in cui ha accettato di essere «Ambasciatrice di buona volontà per gli Accordi di pace», un ruolo inventato dall'attuale governo di Oscar Berger. Un'altra prigione che lei stessa si è imposta è l'aver taciuto di fronte alla denuncia della magistratura spagnola contro il generale Efraín Ríos Montt, colpevole di genocidio, causa che lei stessa aveva promosso. In campagna elettorale ha detto che per «motivi etici» non soffia sul fuoco della polemica e non attacca il generale (a sua volta candidato per il parlamento in modo da ottenere l'immunità). Ma che cosa significa la parola «etica»? Rigoberta deve spiegarcelo. Perché ora tace? Forse perché il partito, che non è suo, gliel'ha proibito?In ogni caso, come si diceva, l'esito del voto è ancora molto incerto. I rappresentanti dell'Eg sono convinti di poter dare la zampata vincente. Bene, aspettiamo questa zampata. Tuttavia, come ci ha confidato un politico di Alta Verapaz quando era stata appena annunciata la candidatura di Rigoberta, «qui è già tutto suddiviso». Ogni partito, con il proprio candidato a sindaco, ha già la propria gente, i propri legami, e non si riesce a intaccare questa suddivisione della torta, fatta di denaro più che di potere. Una torta che potrà forse darci più infrastrutture, più strade, più asfalto per il nostro oratorio, ma che non cambia lo Stato, il sistema fiscale, la distribuzione delle terre.

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L'INDAGINE DI AMNESTY SUI FATTI DI OAXACA

da Lettera 22
Venerdi' 3 Agosto 2007 Amnesty sui fatti di Oaxaca
Managua - La gravità della situazione dei diritti umani in Messico ha ricevuto un’autorevolissima conferma dalla relazione di Amnesty Inernational sui fatti di Oaxaca, resa pubblica martedì scorso, e dalle parole del Segretario generale dell’organizzazione umanitaria internazionale, signora Irene Khan, in missione in Messico.In una conferenza stampa a Città del Messico la Khan, 51enne bengalese di Dacca che fu anche un’alta funzionaria dell’Unhcr, il Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, ha affermato che il governatore dello stato di Oaxaca Ulises Ruìz, “non ha dimostrato di avere la volontà politica necessaria per affrontare i gravi casi di violazione dei diritti umani che si sono verificati in questo Stato, molti dei quali Amnesty ha documentato”.Un’affermazione pacata ma pesante, che rende molto più difficile alle autorità governative messicane continuare nella linea del silenzio e dell’occultamento adottata dopo la durissima repressione del movimento sociale che da più di un anno si svolge in uno degli stati più poveri del Messico. Oaxaca, non lontano dal Chiapas della selva Lacandona, degli zapatisti e del subcomandante Marcos, ne condivide le problematiche. Povertà, emarginazione delle popolazioni indigene, presenza ostinata di formazioni guerrigliere. E la pesantezza della repressione operata dall’esercito e dalle forze speciali della polizia federale.Proprio il tentativo di collegare le protese sociali condotte dall’Assemblea popolare dei popoli di Oaxaca (Appo) e del movimento dei maestri con la guerriglia e il terrorismo è stata la linea del governatore Ruiz, avvallata dal governo federale del presidente Felipe Calderòn, per giustificare una violenta azione repressiva che è costata decine di morti, desaparecidos, arresti abusivi, torture e tutta una sequela di violenze che hanno fatto sprofondare Oaxaca e il Messico in un clima che non si sentiva più dai tempi della “guerra sporca” degli anni 70 e 80. Ma le indagini svolte da Amnesty e la missione in Messico del suo Segretario generale richiamano l’attenzione internazionale sull’evidenza di fatti gravissimi che nessuno stato di diritto può tollerare. La Kahn, basandosi su investigazioni precedentemente condotte da funzionari dell’organizzazione e sulle risultanze di numerosi incontri con persone direttamente coinvolte nei fatti, ha affermato che “in questo stato (Oaxaca) c’è un serio problema di pubblica sicurezza, gravi violazioni ai diritti umani, aggressioni e abusi della polizia contro la popolazione”. E ha stigmatizzato l’atteggiamento delle autorità: “Né il Governatore né i suoi funzionari sono stati capaci di dirci cosa sono disposti a fare per risolvere questi problemi”.Al contrario, il governatore Ruiz, del Pri, partito che fu al potere per più di 70 anni e che ora è alleato del Pan del presidente Felipe Calderòn, ha qualificato il documento consegnatogli personalmente dalla stessa Kahn, come “di parte, schierato con la Appo” e contenente “solo accuse avventate e senza alcun fondamento”. Ma Amnesty ha raccolto con un lavoro paziente e professionale prove difficilmente confutabili e la reazione stata ferma: “non aspettavamo questa risposta” ha detto la Kahn “ la posizione del governatore è un pretesto, una maniera per sfuggire alle sue responsabilità”. E informando la stampa che Amnesty ha inoltrato un appello urgente alla Suprema corte di giustizia del Messico affinché apra un’inchiesta, ha accusato anche il Governo federale: “ ha le sue responsabilità e deve realizzare un’indagine imparziale e rispondere alle preoccupazioni della comunità internazionale per Oaxaca”. Da notare che anche la Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) ha chiesto un’indagine.Così il Messico del presidente Calderòn, uscito vincitore per pochi voti, e con pesanti accuse di brogli tanto che la sua vittoria non è stata riconosciuta dal suo rivale Manuel Lopez Obrador, nelle elezioni del luglio 2006; il Messico che vorrebbe essere uno dei paesi guida dell’America latina si rivela essere uno stato dove, secondo la Khan, “in molti casi vi è collusione attiva di elementi dello stato, che sono i violatori dei diritti umani; e le vittime sono gruppi vulnerabili: poveri, indigeni, donne”. “E sebbene il Messico” continua la segretaria di Amnesty “ promuova internazionalmente i diritti umani, in casa propria non li garantisce. L’impunità attorno a questi casi ha lunghe radici ed è deludente il fallimento dello stato federale in materia di giustizia. Si tratta di un fallimento costante ed endemico della giustizia e di un trionfo dell’impunità”.La missione di Amnesty, che terminerà il 5 agosto, prosegue con una visita nello stato di Guerrero, dove si incontrerà con familiari di desaparecidos, e con incontri ai massimi livelli istituzionali, tra cui un’audizione alla Suprema corte di giustizia.
Leggi il rapporto completo “Oaxaca, clamor por la justicia”

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Secondo incontro tra i popoli zapatisti e i popoli del mondo

Il Secondo Incontro Internazionale dei popoli zapatisti con i popoli del mondo si è concluso, con una forte presenza internazionale, nel caracol de "La Realidad"."Un incontro" - dice Vilma Mazza dell’Ass.ne Ya Basta - "con cui gli zapatisti hanno voluto mostrare, con una voce multipla, la forza e l’estensione di un processo di autonomia, di costruzione di autogoverno che rappresenta, anche per noi, un laboratorio molto concreto e valido di elaborazione politica".In un breve incontro con il SubComandante Marcos è stata sottolineata la necessità di collegare le mobilitazioni che vengono fatte in questa parte del mondo con le lotte come quella di Vicenza per la difesa della terra e contro la guerra.In Chiapas è in corso un tentativo da parte del governo sia statale che federale, di costruire piccole e grandi provocazioni nei confronti dell’esperienza zapatista. Un esempio è quello di El Momón, dove alcune famiglie zapatiste sono assediate dall’esercito e minacciate di sgombero dalle terre che avevano occupato nel 1994.La carovana "Construir autonomia" che ha partecipato all’incontro ora si è divisa in diversi gruppi che ora si trovano a Oaxaca, Città del Messico e al nord del Messico.

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UNITED FRUIT: BANANE, AVVOCATI E MITRAGLIATRICI

L'ORIGINE DELLA REPUBBLICA DELLE BANANE
DI ROBERTO BARDINI Tlaxcala (Edizione Francese)
Creata nel 1899, la compagnia bananiera United Fruit si è stabilita in una decina di paesi del continente. I pionieri dell’impero delle banane non furono né economisti, né contabili, né imprenditori, né ancora meno filantropi. Erano speculatori, avventurieri e tipi svegli disposti ad arricchirsi con ogni mezzo. Nel 1916, un diplomatico nordamericano accreditato in Honduras, definì un’impresa commerciale, che in seguito si fuse con la United Fruit, “uno Stato nello Stato”. Ed anche se cambio più volte di nome, essa fu sempre un potere dietro il trono. Essa corrompe politici, finanzia invasioni, favorisce colpi di stato, sopprime e rimpiazza presidenti, pone fine agli scioperi con le armi ed appoggia gli squadroni della morte. Nel 1970, l’United Fruit si fuse con un altro marchio e si chiamò allora United Brands. Nel 1990 cambiò di nuovo nome: al momento è la Chiquita Brands. Con 15.000 ettari in America latina e quasi 14.000 lavoratori, essa continua ad essere un gigante del commercio. Attualmente la banana è la seconda coltura al mondo dopo l’arancio. Nei paesi poveri essa è il quarto alimento maggiormente accessibile dopo il riso, il grano e il mais. In alcuni paesi africani, come il Ruanda e l’Uganda, il consumo di banane pro-capite raggiunge persino i 250 chilogrammi per anno.
continua:
http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=1019

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