10 ottobre, 2012
Honduras: il lato oscuro delle città modello
Lo stato centroamericano firma il primo contratto per la loro costruzione. Sono veramente la panacea di tutti i mali dei paesi in via di sviluppo? Assassinato l’avvocato Antonio Trejo, che aveva presentato ricorso contro il progetto delle ’aree modello’ e difensore delle comunità contadine
Aggiornamento: il
presidente della Corte Suprema dell’Honduras ha convocato una riunione
plenaria per il prossimo 17 ottobre per decidere rispetto
alla costituzionalità o meno delle città modello dopo che una sentenza
non all’unanimità della Sala Costituzionale della Corte Suprema di
Giustizia ha dichiarato incostituzionale il progetto.
di Annalisa Melandri per L’Indro*
28 settembre 2012
Il 4 settembre scorso, la Commissione per la Promozione del Partenariato Pubblico-Privato(Coalianza), statale, e dirigenti della compagnia statunitense NKG (rispetto alla quale tuttavia trapelano ben poche informazioni), hanno firmato il contratto per la costruzione della prima città modello nel paese.
Il progetto sta ovviamente scatenando numerose polemiche tra critici e sostenitori, ma di cosa si tratta veramente? L’idea di costruire ’città private’ trae origine dalle ’charter cities’ di Paul Romer, economista ed imprenditore statunitense fuori dagli schemi, “abile a camminare lungo la linea sottile che separa il rivoluzionario dal folle”, secondo la rivista’Time’ uno dei 25 americani più influenti, che ha recentemente rinunciato alla sua cattedra di economia presso la Stern School of Business di New York per portare avanti il suo ambizioso progetto.
Paul Romer le definisce come “zone di riforma speciali che permettono ai governi di poter adottare rapidamente sistemi di regole nuovi e innovatori; regole che siano notevolmente diverse da quelle adottate nel resto del paese”. Le zone di riforme speciali possono essere di diverso tipo e gli attori in gioco devono essere necessariamente tre: il paese anfitrione che mette a disposizione il terreno e ospita la costruzione della città, il paese fornitore della massa umana che le abiterà (chiamato anche ’paese d’origine’) e il paese garante che farà in modo di far rispettare lo statuto amministrativo della città.
In alcuni casi paese anfitrione, paese garante e paese d’origine possono coincidere (come avviene in certi casi in Cina con alcuni esperimenti di città a statuto speciale) o in altri casi possono coincidere il paese anfitrione e il paese garante, ospitando intere comunità di persone o di migranti provenienti da un’altra regione, possono infine coesistere diversi paesi garanti che saranno a loro volta anche paesi d’origine. In ogni caso i requisiti principali del progetto devono essere tre:
1. Avere a disposizione terreni disabitati della grandezza di una città, concessi volontariamente da un governo anfitrione. Le dimensioni del terreno preferibilmente devono essere non inferiori a mille chilometri quadrati che permetteranno di costruire una città di circa 10 milioni di abitanti.
2. La città deve necessariamente contare su un sistema normativo speciale, uno statuto che quindi costituirà la base della sua amministrazione.
3. I residenti della città, gli investitori e coloro che offriranno il lavoro avranno piena libertà di decidere se vivere all’interno della zona di riforma o al di fuori di essa e quindi piena libertà di movimento.
Paul Romer ipotizza che la città debba essere interamente costruita da investitori privati stranieri i quali riceveranno introiti per i servizi offerti, mentre la proprietà del terreno rimarrà nelle mani del paese anfitrione che finanzierà la spesa pubblica con gli incrementi del valore del medesimo. I terreni inoltre saranno affittati agli investitori stranieri privati i quali saranno proprietari delle strutture ma non degli stessi.
Le charter cities vengono presentate quindi come la panacea adatta a risolvere tutti i mali e le disfunzioni croniche dei paesi in via di sviluppo, dove ad amministrazioni corrotte ed incapaci si aggiungono sistemi economici al limite del collasso. Infatti, sono state pensate proprio per questo tipo di paesi, che sono anche quelli che posseggono più terreni disabitati da poter offrire al libero mercato.
Romer spiega che le Nazioni Unite prevedono che nei prossimi decenni circa 3 miliardi di persone migreranno nelle zone urbanizzate del pianeta, andando ad affollare ulteriormente i cinturoni di miseria che già esistono intorno alle città più grandi, o affollando al limite della sopportazione umana quelle delle zone più industrializzate del pianeta con flussi migratori imponenti ormai totalmente fuori controllo.
Il fenomeno della crescente urbanizzazione, particolarmente grave in America latina e nei paesi del terzo mondo, può essere ridotto notevolmente creando proprio nuove città dove queste enormi masse umane potranno trovare lavoro e potranno avere accesso garantito ai servizi basici essenziali dei quali adesso non beneficiano. Praticamente, come affermaRomer, “invece di espandere le baraccopoli negli attuali centri urbani, nuove charter cities potrebbero offrire sicurezza, alloggi a basso costo e nuovi posti di lavoro”.
Il futuro, ipotizza e immagina l’economista, è proprio nelle città e nel desiderio innato delle persone di vivere una accanto all’altra per avere più opportunità. Opportunità che — rispondendo perfettamente all’ideologia neoliberista espressa in forma così allettante da Romer - stanno proprio negli scambi commerciali e nel business.
Perché mai milioni di persone dovrebbero “essere disposte a pagare affitti elevati solo per vivere e lavorare vicino ad altri milioni di persone che a loro volta pagano affitti elevati?”.“Solo per ottenere benefici che derivano dallo scambio e dalle interazioni con molte altre”, risponde Paul Romer all’interrogativo, forse un poco banale.
La cosa sembrerebbe affascinante, una specie di neo-colonizzazione del pianeta organizzata a tavolino che risolverebbe per incanto anche i problemi delle migrazioni; pensiamo per esempio agli haitiani che potrebbero avere, ipotizza il visionario Romer, in Brasile lapossibilità di vivere in una charter city pensata per loro, dal momento che il colosso latinaomericano ha investito notevoli risorse economiche ed umane nella missione MINUSTAH ad Haiti, che non ha affatto risolto la situazione del piccolo paese caraibico.
Sembra uno scenario da film post apocalittico: la ricolonizzazione del pianeta pensata dopo una grande catastrofe, enormi masse umane di indigenti che vengono ricollocate e rese funzionali al grande capitale mondiale. Nessuno spreco, né di uomini nè di risorse, perchétutto sarà gestito dalle élites mondiali imprenditoriali. Gli uomini saranno solo ingranaggi necessari per permettere il corretto funzionamento di quelle che sembrano grandi macchine per produrre ricchezza. Come gli schiavi (con qualche diritto in più) di una volta?
Al modello coloniale si rifà in certa misura infatti Paul Romer. Egli stesso afferma: “un percorso più veloce [per lo sviluppo di alcuni paesi ndr.] sembrerebbe essere quello di imporre da parte di un paese sviluppato nuove regole con la forza, come successo nel periodo coloniale. Alcune ex colonie oggi sono più prospere grazie alle norme stabilite durante la colonizzazione”.
L’esperimento delle charter cities è stato già realizzato, pur se con modalità diverse in alcune aree del mondo. La più nota e forse meglio riuscita ad oggi rimane Hong Kong, seguita da Macao, ambedue città con regimi di amministrazioni speciali. Songdo, in Corea del Sud è per esempio un distretto imprenditoriale autonomo la cui costruzione si prevede terminera nel 2015, mentre in Mozambico era stata firmata una bozza di accordo per la costruzione di una charter city, saltata poi in seguito ad un colpo di Stato.
In Honduras, come dicevamo, il progetto e gli accordi per la costruzione di charter cities sono a un livello già avanzato. Probabilmente è proprio in questo paese dell’America centrale - territorio nei decenni scorsi di dominio economico (e politico) incontrastato delle Standard Fruit Company e della United Fruit Company, giganti statunitensi per la produzione e commercializzazione di frutta tropicale, soprattutto banane — che un progetto del genere può funzionare.
Si dice che queste imprese fossero un vero e proprio ’stato nello stato’, nella patria diFrancisco Morazán e probabilmente, almeno in Honduras, rappresentano forse l’embrione — con i dovuti distinguo — delle prime charter cities che l’attuale l’oligarchia honduregna, rappresentata da non più di dieci famiglie, brama costruire oggi.
Le difficoltà, sia nella realizzazione pratica del progetto sia rispetto alle proteste e al rifiuto da parte della società civile verso un modello futuro che mette a rischio la sovranità nazionale e mina nelle fondamenta il già traballante Stato di Diritto vigente nel paese sono tante.
Il 30 novembre del 2009 Porfirio Lobo venne eletto presidente dell’Honduras a seguito di elezioni farsa realizzate dopo il colpo di Stato del 28 giugno dello stesso anno, quandoil presidente in carica Manuel Zelaya fu cacciato dal paese in pigiama dai militari. Accusato di voler apportare modifiche costituzionali illegittime, in realtà quello che aveva spaventato la recalcitrante oligarchia honduregna probabilmente fu l’apertura a sinistra di Zelaya e le sue simpatie verso i governi progressisti della regione.
Nel dicembre del 2011 Porfirio Lobo ha nominato l’economista Paul Romer insieme ad alcuni suoi collaboratori del calibro di George Akerlof (Nobel all’economia nel 2001), NancyBirdsall (presidente del Center of Global Development), Boon-Hwee Ong (manager diBeyond Horizon Consulting -BHC) ed Harry Strachan (manager di Mesoamerica Investments) nella Commissione Trasparenza prevista dalla normativa delle Regioni Speciali di Sviluppo(RED nella sigla in spagnolo) per sorvegliare la trasparenza del progetto della costruzione delle città modello nel paese.
Proprio in questi giorni la notizia dei primi problemi. Paul Romer ha infatti lasciato l’incarico nella Commissione Trasparenza denunciando, per mezzo di una lettera inviata direttamente al presidente Lobo, che quello che mancava nella realizzazione del progetto era proprio la trasparenza.
La lettera, firmata dai 5 membri della Commissione e datata il 7 settembre scorso, denuncia la “mancata pubblicazione del decreto formalizzante il loro incarico sulla Gazzetta Ufficiale”. Quindi, conclude, la “Commissione per la Trasparenza non è mai stata legalmente costituita e non è mai stata in grado di esercitare una delle sue funzioni in base allo Statuto costituzionale sulle Regioni Speciali di Sviluppo”.
Da questo momento in poi il Congresso Nazionale si configura pertanto come unico depositario della verità relativa ad un progetto di interesse nazionale e di importanza strategica per il paese e che viene portato avanti con assoluta segretezza.
Sullo stesso accordo, firmato dalla Commissione per la Promozione del Partenariato Pubblico-Privato (COALIANZA) e dalla fantomatica compagnia statunitense dal nome ancora poco chiaro (il Congresso nella sua pagina la chiama prima MKG e poi NKG) vige il più assoluto riserbo. Allo stesso Romer e ai suoi collaboratori è stata sempre negata la visione degli atti del contratto.
L’’Heraldo’, quotidiano honduregno a diffusione nazionale, fa notare che la compagnia MKG (o NKG) sembra una compagnia fantasma. Nessun dato in rete, una scarna pagina web realizzata in tutta fretta proprio nelle ultimissime ore, l’unico riferimento ai dirigenti è a Michael Strong come firmatario dell’accordo con il quale l’americana MKG si impegna ad investire 15 milioni di dollari nella realizzazione dello stesso. Ad accrescere il mistero, il fatto che Michael Strong non abbia esperienza di nessun genere nella realizzazione di questo tipo di progetti, ma piuttosto appare come il fondatore di una fantomatica corrente filosofica conosciuta come FLOW.
Intanto Carlos Pineda, commissario di COALIANZA, fa trapelare che la MKG starebbe terminando l’acquisizione dei primi lotti di terreno da rivendere poi allo stato honduregno che a sua volta li affitterà agli investitori.
Sono state identificate tre zone dove poter costruire le città modello: alcune località del dipartimento di Colón, nella valle di Cuyamel nel dipartimento di Cortés e nel Golfo di Fonseca, tra Choluteca e Valle. Tutte sulla costa, perchè uno dei requisiti per il successo delle città modello è proprio che abbiano a disposizione l’accesso al mare per gli scambi commerciali.
Riserbo totale tuttavia, sulla quantità dei terreni, sul prezzo degli stessi e anche sul tipo di investimenti che verranno portati avanti. E anche sull’organizzazione amministrativa che avranno: le città modello infatti, nell’idea originaria dovevano avere un governatore e un proprio sistema normativo che Paul Romer avrebbe dovuto vigilare con la sua Commissione di Trasparenza. Adesso, rimane tutto nelle mani del Congresso.
Nonostante il presidente del Congresso Nazionale Juan Hernandez assicuri che le città modello in Honduras creeranno immediatamente 5mila posti di lavoro e nei prossimi anni almeno altri 200mila, è comprensibile che a fronte di così poca trasparenza il progetto abbia sollevato numerose perplessità, che si sono aggiunte a quelle iniziali e meramente ideologiche.
Contro il progetto delle città modello sono stati presentati infatti vari ricorsi di incostituzionalità (a oggi in tutto 24) alla Corte Suprema di Giustizia honduregna da parte di ampi settori organizzati della società civile. Tuttavia, probabilmente il rifiuto più grande viene dalle comunità indigene e nere del paese riunite sotto la sigla OFRANEH(Organizzazione Fraterna Negra dell’Honduras).
In modo particolare la comunità garifuna, discendente dagli schiavi originari dell’Africa occidentale, accusa il governo di voler “svendere intere porzioni di territorio alle potenze straniere”. Denuncia la coordinatrice generale di OFRANEH, Miriam Miranda che “in diverse occasioni, tanto il potere esecutivo come il legislativo hanno indicato che la prima RED in Honduras si troverà tra la Baia di Trujillo e il fiume Sico, area che comprende 24 comunità garifuna considerate santuario culturale. Inoltre – ha aggiunto– si è parlato di destinare le RED alla produzione degli agrocombustibili, presumibilmente nei boschi della Moskitiahonduregna”.
Le città modello, o città private o charter cities o come le si voglia chiamare, pur presentandosi come soluzione post moderna agli squilibri sociali derivati dalla fase odierna dello sviluppo umano, mostrano tuttavia un inquietante paradosso.
Come le ’città ideali’ di rinascimentale memoria, hanno come elemento centrale intorno al quale ruota tutta la loro organizzazione, l’uomo. Ma mentre nel primo caso l’uomo era centrale nella sua essenza spirituale, culturale e animica, nel caso delle charter citiesinvece l’uomo riveste lo stesso ruolo di una macchina o una fabbrica, esclusivamente quindi utilizzato come mezzo di produzione di ricchezza, ragionando cioè in termini marxisti, esclusivamente come forza lavoro.
Le masse necessarie a popolare le charter cities, i dieci milioni di abitanti di una città modello ipotizzati da Romer cosa sono se non una enorme forza lavoro da destinare alla produzione della ricchezza per alcuni grandi gruppi economici? Gli haitiani che troverebbero posto nella loro città modello in Brasile a cosa sarebbero funzionali visti da una prospettiva più ampia? L’uomo viene usato perché il grande capitale economico e finanziario per riprodursi ha bisogno di lui, ancora non può farne a meno. Anzi, vista la massa di indigenti a disposizione perchè non approfittarne?
Una notizia recente: l’avvocato Antonio Trejo, che aveva presentato ricorso di incostituzionalità contro il progetto delle città modello — e difensore delle comunità contadine che stanno lottando in Honduras per difendere le loro terre dall’accaparramento dei grandi latifondisti - è stato brutalmente assassinato due giorni fa.
per L’Indro il reportage é stato realizzato in due uscite:
la prima (Le città private dell’Honduras) qui e la seconda (Honduras: il lato oscuro delle città private) qui
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