08 dicembre, 2012
Americhe, difensori dei diritti umani sempre più sotto attacco
dic
07
“Bruceremo la tua f*** col succo di lime fino a quando non urlerai e a quel punto godremo tutti quanti. Non c’è niente di meglio che fottere una p******. Finirai ammazzata”. Questa è solo una delle minacce ricevute quest’anno da Dina Meza, giornalista ed esponente del Comitato dei familiari dei detenuti e degli scomparsi dell’Honduras (nella foto, con l’Amnesty Media Award, nel 2007). Messaggi del genere continuano ad arrivarle, senza che gli autori vengano individuati. Ne avevamo già parlato sul nostro blog e da allora niente è cambiato.
Quello contro Dina Meza è uno dei 300 attacchi in meno di 1000 giorni subiti dai difensori dei diritti umani delle Americhe da gennaio 2010 a settembre 2012.
Le loro storie sono raccontate da un nuovo rapporto pubblicato oggi da Amnesty International, che denuncia la recente escalation di aggressioni, intimidazioni, minacce e omicidi nei confronti dei difensori del diritti umani nelle Americhe, ad opera delle forze di sicurezza, dei gruppi paramilitari e del crimine organizzato. Nel 2011 il secondo rapporto sui difensori dei diritti umani nelle Americhe redatto dalla Commissione interamericana dei diritti umani, aveva confermato la preoccupante tendenza.
Criminali, corrotti, bugiardi, agitatori, sovversivi, amici di pregiudicati o di guerriglieri. Così vengono etichettati, talora dalla stampa nazionale e dalle autorità di governo, i difensori dei diritti umani: donne e uomini le cui attività pacifiche hanno per obiettivo la difesa dei diritti umani, soprattutto dei gruppi più deboli.
Solo pochi giorni fa, il 28 novembre, una campagna di Amnesty International ha spinto la Corte suprema del Messico ad annullare le condanne a sette anni di carcere inflitte il 12 luglio 2010 a José Ramón Aniceto Gómez e Pascual Agustín Cruz. I due uomini, difensori dei diritti delle popolazioni native impegnati in una campagna per l’accesso libero e gratuito all’acqua pubblica, erano stati giudicati colpevoli del furto di un’automobile, sulla base di prove precostituite da un gruppo di interessi economici dello stato di Puebla.
Sono proprio i grandi e piccoli progetti di sviluppo, con le dispute sui terreni che ne conseguono, sempre più spesso al centro dell’azione dei difensori dei diritti umani. È il caso di Argentina, Brasile, Colombia e Honduras. La metà dei 300 casi analizzati dal rapporto di Amnesty International si colloca proprio in questo contesto.
Altrove, come a Cuba, i difensori dei diritti umani subiscono persecuzione giudiziaria o arresti sulla base di prove false, spesso brevi periodi di fermo di polizia ma sistematici e con lo stesso obiettivo: far desistere. Se quello della blogger Yoani Sanchez è il caso più noto, sono le Damas de blanco il bersaglio preferito delle autorità dell’Avana.
Quanto le vite dei difensori dei diritti umani siano quotidianamente a rischio lo dimostra questa storia.
Il 9 novembre 2011 una coppia armata ha fatto irruzione nell’abitazione di Jackeline Rojas Castañeda a Barrancabermeja, in Colombia. Jackeline Rojas Castañeda fa parte dell’Organizzazione femminile popolare e si occupa della tutela dei diritti delle donne, soprattutto le più povere. I due intrusi hanno chiuso la donna e sua figlia di 15 anni in due stanze separate puntandogli contro le armi da fuoco. Le hanno intimato di non provare a telefonare per chiedere aiuto, altrimenti sua figlia sarebbe stata uccisa. L’hanno legata e imbavagliata, le hanno imbrattato con vernice rossa il corpo e i vestiti, chiedendole al contempo informazioni su suo figlio e suo marito, il sindacalista Juan Carlos Galvis. I due aggressori si sono allontanati portando con sé due computer, chiavette usb, cellulari e documenti.
Il giorno dopo Jackeline Castañeda ha denunciato l’aggressione alla procura generale. Inizialmente, hanno rifiutato di ricevere la denuncia, sostenendo che la donna si era inventata l’accaduto. Alla fine l’hanno registrata, ma da allora non è stato fatto un passo avanti nelle indagini.
Sugli oltre 300 casi esaminati da Amnesty International, solo quattro si sono conclusi con la condanna dei diretti responsabili: un chiaro segnale di tolleranza, se non di attiva complicità, con gli aggressori.
Il rapporto di Amnesty International indirizza ai governi delle Americhe una serie di raccomandazioni. Le autorità, afferma l’organizzazione, devono garantire che i difensori dei diritti umani siano pienamente protetti, come minimo attraverso il riconoscimento dell’importanza e della legittimità del loro lavoro, lo svolgimento di indagini approfondite sugli attacchi subiti e l’adozione di misure efficaci di protezione.
http://lepersoneeladignita.corriere.it/2012/12/07/americhe-difensori-dei-diritti-umani-sempre-piu-sotto-attacco/
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