15 gennaio, 2010

USA-HONDURAS-AMERICA LATINA: lo scontro finale e il nostro silenzio

Pubblicato su Oltre Confine – La voce rossa

Abissale, stupefacente, suicida il silenzio, l’indifferenza, tranne poche eccezioni – PdCI e manifesto – con cui la sinistra, associazioni tematiche, giornali, radio "libere", addirittura l’informazione tutta, hanno occultato e dunque seppellito un avvenimento drammatico e foriero di incalcolabili conseguenze, come il colpo di Stato fascista in Honduras. Golpe allestito da Obama, l’uomo del “change”, dai militari gorilla e dall’oligarchia honduregni, poi presentato come evoluzione “democratica” dopo le elezioni-farsa tenute sotto le baionette degli quadroni della morte, con la minaccia di licenziamenti e persecuzioni, ma disertate da due terzi dei cittadini. Era successo la stessa cosa sotto Reagan in Cile. Ci ricordiamo degli scioperi della CGIL, del blocco delle navi cilene, del boicottaggio, dei cortei, presidi, picchetti, di “Armi al MIR”, quando Pinochet ammazzò Allende e il Cile? Meglio non specificare cosa ci sarebbe da dedurne. Un'altra caduta del nostro internazionalismo e antimperialismo. Ci occupiamo più di Myanmar che di un continente fratello a quattro secchi d’acqua e otto ore di volo da qui. Una terra che per molti è “il Continente della Speranza”. Forse ignorato perché implicita misura della nostra astenia.

Il golpe di Roberto Micheletti, presidente fellone del Congresso, istigato tra falsi arricciamenti di naso di Obama e poi confortato dal suo assenso, dopo finti negoziati di pace e di riconciliazione sceneggiati dalla Clinton e dall’Organizzazione degli Stati Americani (di netta obbedienza yankee), e stato poi sacralizzato con elezioni gestite dagli stessi militari che, usciti dalla base Usa di Palmerola, hanno compiuto il golpe sequestrato il legittimo presidente Manuel Zelaya, lo hanno deportato in Costarica e poi assediato nell’ambasciata brasiliana fino ad oggi. Da questo voto-truffa è uscito vincitore Porfirio – Pepe- Lobo, esponente dell’ultradestro Partito Nacional. Primo provvedimento: l’uscita dall’ALBA, l’Alternativa Bolivariana delle Americhe lanciata da Hugo Chavez con la partecipazione di nove paesi del Cono Sud e dei Caraibi. L’entrata nel concerto progressista e rivoluzionario dell’ALBA , insieme alla cancellazione di tutti i provvedimenti di emancipazione sociale, indipendenza nazionale, limitazioni alle multinazionali, è stato, alla fine di tre anni di mandato di Zelaya, il fattore scatenante, la classica goccia, per l’intervento pinochettista di Washington e delle famigerate “Dieci Famiglie” di feudatari e speculatori che controllano il paese di 7 milioni e mezzo di abitanti. Il più povero, perché il più depredato, delle Americhe, dopo Haiti.

Questa è la brutta notizia. Quella buona è enorme ed è rappresentata dalla straordinaria Resistenza che il popolo honduregno, pur decimato negli anni’70 e ’80 dai Contras che Reagan lanciò a sterminio dei sandinisti del Nicaragua e delle sinistre honduregne, ha saputo mettere in piedi e mantenere in piazza, in ogni parte del paese, durante tutti i mesi di dittatura e stato d’assedio fino ad oggi. L’ultima grande manifestazione di centinaia di migliaia a Tegucigalpa si è svolta, a dispetto degli assassini mirati, dei desaparecidos, dei sequestri di persona, delle torture, della soppressione dei diritti civili, il 7 gennaio scorso. Le decine di movimenti sociali e sindacali che hanno composto fin qui il Frente Nacional de la Resistenza al Golpe de Estato, con un inusitato ruolo di punta delle donne, si sono ora dati per programma una lotta di lunga durata che veda il consolidarsi di un soggetto politico democratico anticapitalista, antimperialista e anti-oligarchia, nella prospettiva di uno scontro decisivo in vista delle prossime elezioni presidenziali.

L’ignavia di tante forze che si proclamano antimperialiste è tanto più grave se si pensa che i fatti dell’Honduras rappresentano, nell’analisi di tutti i più qualificati commentatori, come anche apertamente nelle campagne propagandistiche degli Usa, il primo episodio di un ritorno all’Operazione Condor, la sanguinaria strategia kissingeriana per imporre in tutta l’America Latina, attraverso feroci dittature, un libero mercato controllato dalle proprie multinazionali, a rapina delle risorse continentali: petrolio, gas, agroindustria, minerali, legname, acqua, biodiversità, immigranti schiavi di stampo rosarniano. E a gestione monopolistica della droga. Sette basi in Colombia, con il corollario di forze speciali Usa, come al solito immuni da incriminazione per ogni genere di delitto, per la guerra elettronica e di bassa intensità (affidata a esperti israeliani), in ispecie contro il Venezuela; nuove basi militari nelle Antille olandesi, sempre ad accerchiamento del Venezuela, capofila con Cuba della spinta rigeneratrice latinoamericana; addestramento di paramilitari colombiani all’intervento di sostegno a destre fasciste (già impiegate in Honduras); attentati alla vita di presidenti progressisti come Evo Morales in Bolivia e Fernando Lugo in Paraguay; movimenti secessionisti e destabilizzanti allevati in Bolivia, Ecuador, Nicaragua; violazioni dello spazio aereo cubano da parte degli Usa e irruzione di paramilitari colombiani; riattivazione della IV Flotta Usa che con portaerei e cacciabombardieri scorrazza nelle acque latinoamericane. Il presidente venezuelano Chavez parla di “tamburi di guerra” e, se non ce la fanno con le solite rivoluzioni colorate, gli Stati Uniti ritroveranno gli strumenti dei colpi di Stato, dei regimi fascisti e della guerra. Lo sostengono senza pudicizie democratiche, i più qualificati rappresentanti repubblicani al Congresso e al Senato. E Obama non ha mai smentito nei fatti di essere arnese, volente o nolente, del Pentagono.

La gran parte degli Stati latinoamericani, fatta eccezione per Colombia, Perù e Cile, ha disconosciuto le elezioni in Honduras e non riconoscono il nuovo regime. Il presidente brasiliano Lula si è erto a difensore di Manuel Zelaya e delle rivendicazioni delle masse honduregne. Il fronte del Sud è vasto, forte e determinato. Gli Stati Uniti sono impegnati in cinque guerre antislamiche: Iraq, Afghanistan, Pakistan, Yemen, Somalia, e, a ulteriore espansione dell’intervento, si inventano Al Qa’ida nel Maghreb, nel Sahara, nella Penisola Araba e in Somalia, dappertutto. La partita è aperta. Purchè ci stiamo anche noi.

Il golpe e la Resistenza in Honduras, i riflessi su tutta l’America Latina nel nuovo docufilm di Fulvio Grimaldi “IL RITORNO DEL CONDOR”, che dal 16 gennaio al 7 febbraio verrà presentato in tutta Italia con la partecipazione dell’autore e di Esly Banegas Avila, dirigente del Fronte della Resistenza al Colpo di Stato in Honduras e presidente del Sindacato dei contadini nel Nordovest dell’Honduras (visionando@virgilio.it)

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