14 febbraio, 2010

Honduras: Palma insanguinata

Più di 20 mila ettari seminati con palma africana nella regione del Bajo Aguán, nel dipartimento settentrionale dell'Atlantico honduregno, sono scenario di uno dei tanti conflitti agrari che affliggono l'Honduras. L'ex presidente costituzionale Manuel Zelaya Rosales aveva tentato di trovare una soluzione promuovendo il Decreto legislativo 18-2008 sulla mora agraria ed attraverso negoziazioni tripartite tra organizzazioni contadine, imprenditori e l'Istituto nazionale agrario, Ina.

Con il colpo di Stato, gli importanti passi in avanti fatti negli ultimi anni hanno subito un brusco arresto. Il Movimento Contadino Unificato dell'Aguán (MUCA), affiliato alla Central Nacional de Trabajadores del Campo (CNTC), ha quindi ripreso la lotta per il recupero delle terre usurpate dagli imprenditori vincolati al colpo di Stato.

Con il sostegno solidale della Resistenza, i membri del MUCA hanno iniziato il recupero dei 20 mila ettari e hanno subito tre sgomberi da parte dell'esercito e della polizia, con vari feriti, alcuni dei quali gravi.

A dispetto della repressione sistematica, il MUCA continua le sue mobilitazioni in difesa dei diritti dei suoi affiliati sulle terre in conflitto, denunciando contemporaneamente le continue violazioni ai diritti lavorativi nelle piantagioni di Palma Africana e la situazione di estrema povertà in cui versa la popolazione della zona. Quella stessa popolazione alla quale i proprietari terrieri Miguel Facussé, René Morales e Reynaldo Canales avevano venduto la falsa idea che con questa monocoltura avrebbero risolto tutti i loro problemi.

Sirel e la Lista Informativa "Nicaragua y más" hanno dialogato con Yony Rivas e Rudy Hernández, membri del Movimento Contadino Unificato dell'Aguán (MUCA).

- Pochi giorni fa c'è stato un nuovo sgombero violento. Cosa è successo?
- YR: Di fronte alla paralizzazione delle negoziazioni a causa del colpo di Stato, lo scorso 9 dicembre abbiamo deciso di riprendere la lotta per recuperare le terre che ci appartengono sulle sponde destra e sinistra del fiume Aguán. Siamo stati sgomberati violentemente l'8 gennaio, mentre il 14 dello stesso mese abbiamo deciso di abbandonare il posto prima dell'arrivo della polizia per evitare un bagno di sangue.
Abbiamo comunque deciso di fare nuove azioni. Il 27 gennaio, sfruttando il fatto che tutta l'attenzione del paese era rivolta all'insediamento del nuovo presidente Porfirio Lobo Sosa, siamo ritornati per riprenderci le nostre terre.

Dopo poche ore è però arrivata la polizia e ci ha represso selvaggiamente. Quattro compagni sono stati feriti da colpi di arma da fuoco ed uno di loro, Marco Antonio Estrada, è grave per uno sparo alla testa.

Continuiamo a vivere in un regime che risponde agli interessi dell'oligarchia nazionale. Abbiamo tutta la documentazione che certifica i nostri diritti su queste terre che sono state usurpate da Miguel Facussé, René Morales e Reynaldo Canales. Un totale di 20 mila ettari quasi interamente seminati con Palma Africana.

- In che condizioni vive la popolazione in queste zone?
- RH: C'è disoccupazione, povertà, fame e questa situazione ci obbliga a lottare per recuperare le nostre terre ed anche per implementare progetti di produzione di alimenti. Quando queste terre erano dei contadini, più del 60 per cento di esse venivano usate per produrre alimenti basilari per la popolazione. Solo una parte veniva utilizzata per la Palma Africana, per generare entrate immediate e soddisfare alcune altre necessità. Ora, la produzione di alimenti è quasi sparita.

- Durante la cerimonia di donazione all'Honduras di un impianto per raffinare olio di Palma Africana, il presidente della Colombia, Álvaro Uribe, ha parlato della possibilità che i piccoli produttori si associno con i grandi latifondisti affinché questi ultimi li aiutino con le sementi, i concimi e la formazione tecnica. È reale questa prospettiva in Honduras?
- RH: È assolutamente impossibile. Anni fa, le cooperative di queste zone si erano riunite in Coapalma, un'impresa contadina che in quel momento era l'unica a produrre olio di palma.
Quando la terra di 28 cooperative è passata nelle mani dei grandi imprenditori, questi ultimi hanno costruito i loro impianti ed hanno cercato subito d'impadronirsi di tutto il mercato. Hanno aumentato i prezzi affinché i piccoli produttori smettessero di vendere la loro produzione a Coapalma. L'impresa dei contadini è stata sul punto di fallire.

In tutta la zona è quindi diminuito drasticamente il circolante, la gente è entrata a lavorare nelle piantagioni come braccianti nelle piantagioni e non abbiamo mai visto la crescita e il benessere promesso. È invece cresciuta la disoccupazione e la sottoccupazione, la fame e la disperazione, perché ora ai lavoratori il denaro non basta nemmeno per comprare il cibo per tutto il mese.
Questo tipo di produzione genera solamente ricchezza per i grandi imprenditori e non è vero che possa esistere un'alleanza con i poveri, perché il loro obiettivo è quello di accaparrare tutto.

È per questo motivo che dobbiamo recuperare le nostre terre e benché nel passato la paura della repressione abbia paralizzato molta gente, ora la popolazione si è svegliata e sa che dobbiamo riprendere in mano i mezzi di produzione.
Quando guardiamo la terra, non guardiamo la Palma, ma la terra stessa, per lavorarla insieme alle nostre famiglie e tornare così a riprendere fiducia. È necessario che di fianco alla Palma si sviluppino progetti che ci salvino dalla crisi alimentare. È per questo motivo che continueremo a lottare.

- Come sono le condizioni di lavoro nelle piantagioni di Palma?
- YR: Si vive una condizione di grande sfruttamento. Quasi tutti i lavoratori sono braccianti che non godono di nessun diritto, né di prestazioni sociali. Guadagnano in media di 5,5 dollari al giorno e il loro salario è di molto inferiore al salario minimo nazionale, stipulato dal presidente Manuel Zelaya con un decreto.
Lavorano dalle 5 di mattina all'una del pomeriggio, svolgendo lavori molto pesanti e senza nessuna garanzia di potere conservare il posto di lavoro.
Nel mio caso, ho una sorella che ha lavorato tre anni nello stabilimento dove si estrae l'olio, che è proprietà dell'imprenditore Miguel Facussé. Quando hanno saputo che era simpatizzante dei movimenti per il recupero della terra, l'anno licenziata in tronco senza pagarle nulla di quello che le dovevano.

Ultimamente si sono visti anche molti casi in cui per evadere il pagamento di prestazioni sociali e la quota da versare alla Previdenza sociale, i proprietari delle piantagioni assumono una persona a tempo fisso e poi gli delegano il pagamento degli stipendi degli altri lavoratori, come se fosse lui il datore di lavoro. In questo modo i lavoratori restano senza alcun tipo di protezione e completamente indifesi.

- Che prospettive avete per il futuro?
- YR: Siamo pronti a riprendere la negoziazione in qualsiasi momento. Tuttavia, se il nuovo governo non dimostrasse interesse per il nostro caso, siamo disposti a continuare la lotta per il recupero delle nostre terre ed arrivare fino alle ultime conseguenze.

© (Testo Giorgio Trucchi - Lista Informativa "Nicaragua y más" di Associazione Italia-Nicaragua - www.itanica.org )

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